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martedì 13 marzo 2007

Intervista a Gianni Mura, stilista della cravatta

Tra gli operatori del Made in Italy di qualità, ci sono veri e propri personaggi particolarmente capaci di abbinare passione e creatività in tutte le loro attività. Uno di questi è senza dubbio Gianni Mura, l'apprezzato stilista della cravatta che, alcuni anni fa, ha aperto un proprio atelier a Milano, nella centralissima Via Torino, a pochi passi dal Duomo. Dinamico, instancabile e dotato di grande carattere, Gianni Mura è uno degli esempi più significativi di ciò che si deve intendere per creatività italiana. Scopriamo insieme a lui il suo approccio al mondo del fashion, il suo percorso professionale e le sue idee in movimento.

- Come è nata la passione di Gianni Mura per le cravatte?

Siamo nati insieme. Al momento della nascita, pare avessi intorno al collo la cravatta sotto forma di cordone ombelicale. Secondo la mia definizione, la cravatta è arte e come tale possiede la capacità di suscitare un sentimento. Per quanto mi riguarda, non è solo un’immagine da ammirare, ma una materia da indossare con passione. Passione visiva, sonora e perfino un tantino olfattiva. Quasi facesse parte della mia struttura fisica ed emozionale.

- Quali sono i significati di cui è portatrice la cravatta come accessorio di moda?

Ho già detto che, secondo il mio punto di vista, la cravatta è segno di ordine anche interiore e contribuisce a mantenere vive le dinamiche della società civile. È un distillato di sensibilità etica e sociale. Metaforicamente, la cravatta rafforza la propria leadership. In qualche occasione, conquista. In altre, affascina. Ma sempre attrae.

- Lei è autore del libro autobiografico “Colori & Cravatte”. Come è nata l'idea del libro?

Da parte mia, non è mai nata nessuna idea di scrivere libri. Non lo saprei fare. Semplicemente, fin da bambino, rimanevo affascinato dalla cravatta e da chi indossava questo accessorio. Succedeva, però, che ogni volta che vedevo una persona con cravatta la osservavo e, ad un certo momento, alla passione si è unita la curiosità e ho cominciato a prendere appunti. Su che cosa? Prima di tutto, notavo che la persona che indossava la cravatta era più se stessa, più solare, più creativa e perfino più colta. Questo come base. E sono andato oltre. Notavo sfumature caratteriali differenti tra chi indossava una cravatta di tinta pastello rispetto a chi indossava una cravatta di colore forte o scuro. Allo stesso modo, notavo differenze caratteriali tra chi indossava una cravatta con grossi disegni rispetto a chi preferiva piccoli motivi. Chi ha scritto il libro? Chi, a un certo punto, si è presa la briga di mettere insieme i miei appunti. E gli aneddoti? Sono battute appartenenti a quelle persone che rappresentavano una fascia di persone più vasta e più vicine tra loro per corrispondenza caratteriale ed insieme per preferenza a un dato colore o disegno. Allora è vero che anche i colori determinano il carattere. Più che determinarlo, lo svelano. Almeno, è così per quanto riguarda le mie ricerche sulla cravatta.

- Lei è di origine sarda. Cosa lo ha indotto a trasferirsi a Milano e ad aprire il suo atelier nella centralissima Via Torino?

Sono nato nella Sardegna di fine guerra. In una Sardegna ancora vestita di scuro e illuminata dal ghigno malefico degli aerei che seminavano bombe. Noi bambini giocavamo nella strada. Le birichinate non si contavano e i pericoli facevano parte del gioco. Poi, la vita cambia, prende altre forme, si apre ai misteri di altri mondi. I film di Hollywood mostravano una vita opulenta con pulsione edonista e io mi sentivo quasi parte di quel mondo. Non per nascita, non per ricchezza, ma per desiderio. Non ho mai amato i posti squallidi e ho sempre navigato verso il piacere materiale, verso il bello. Ognuno è quello che si sente. Amavo la cravatta perché rappresentava ordine. Questione di stile, forse involontario, senz’altro inimitabile perché naturale. A Milano, pulsante e attiva, non si viaggia per tranquilla abitudine e i ruoli, quando si gioca alla pari, si confondono. Ho sempre saputo di avere per motore l’ambizione estetica. Parola d’ordine “creation”, ma anche “imagination”. Svolgere un lavoro che accoglie le emozioni e le esperienze dell’esistenza significa andare dentro il sogno. Un lavoro che si nutre della creatività e la ripaga tutelando uno spirito di celebrazione non può essere svolto a tutte le latitudini. Bisogna essere laddove è facile trasformare la materia (seta) in cravatta (forma) e, magari, i sogni in realtà, compreso quello di tornare ogni tanto nella mia terra e illudersi di respirare i sapori dell’infanzia.

- I clienti che entrano nel suo atelier cosa cercano e cosa trovano di particolare?

Un cliente mi ha detto che sono come la calamita. Chi entra una volta torna per sensibile e irresistibile richiamo. A Roma, devi buttare la monetina nella fontana. A Milano, devi schiacciare le palle al toro. Da Gianni Mura si torna per necessità. Necessità di indossare cravatte di classe. Un autentico Made in Italy che metto a disposizione a costi controllatissimi. Con le mie creazioni, la gente sconfina nelle tentazioni, nei colori, nelle passioni. In tema di cravatta, produco di tutto. “Non ho mai visto tante cravatte insieme, tutte belle”, mi dicono spesso e spessissimo ribattono: “da quando indosso le cravatte di Gianni Mura non riesco a indossare altre cravatte”. Ci credo, lo dimostrano giorno dopo giorno. Le mie cravatte sono piene di fascino e si acquistano per intima assonanza.

- Che valore e che significato attribuisce al termine “Made in Italy”?

Il Made in Italy non avrebbe solo bisogno di creare nuove sinergie tra industria e distribuzione, ma di varare progetti comuni di marchio di qualità. Nel panorama della griffe, è indubbio che il prodotto italiano detta legge e proprio per questo andrebbe tutelato con più passione. Il nostro è un marchio che rassicura il cliente a tutte le latitudini, lo allontana dallo spettro dell’omologazione dell’offerta di importazione. La mia grande soddisfazione? Vedere la persona attenta che sa riconoscere il buon prodotto.

- Quali sono i prossimi progetti di Gianni Mura?

Come per la cravatta che insegue la ripetizione modulare dei colori e delle sue sfumature, anch’io inseguo le mie aspirazioni. Un intreccio fluido di esperienze e un lavoro che non riesce a lasciar posto al riposo pensionistico. Il mio atelier non è una creatura del consumismo, ma un progetto che vuole rendere omaggio all’inventiva. Mi piacciono i pezzi unici, mi piace spaziare. Un pensiero sempre in divenire è la mia metamorfosi naturale. Nella vita lavorativa mi sono riciclato. Sono il clone di me stesso. Porto avanti un lavoro e non mi fermo. Ogni volta il piacere si rinnova. Mi ritrovo sempre sul campo, pieno di progetti, pieno di impegni da portare a temine. Ho una scaletta strettissima. Avevo detto che mi sarei fermato a 80 anni, ma una ventina d’anni non credo mi bastino a portare a termine tutto quello che ho in mente. I prossimi progetti? La seconda edizione del libro “Colori & Cravatte”, nato per estensione di interesse sulla cravatta. Devo farlo per necessità, per promessa ai clienti. Le richieste incombono e in molti mi rinfacciano di essere in ritardo. Gli abbinamenti per la cravatta con il codino a vista (che avrebbero dovuto occupare il primo posto) mi stanno assorbendo cuore e anima, ma, con un colpo all’incudine ed uno al martello, credo di fare bene l’uno senza trascurare l’altro. Progetti anche per l’estero. Collezioni sempre più elaborate e sempre meno stereotipate. Ma non posso svelare ogni cosa…


Quindi, passione, creatività, innovazione, voglia di comunicare e di misurarsi con sempre nuove sfide sono gli aspetti fondamentali della vita di Gianni Mura, uno stilista che, nel volgere di pochi anni, ha saputo imporre il proprio gusto anche in una città esigente come Milano. Di un personaggio così eclettico e vulcanico, è più che lecito pensare che se ne sentirà parlare sempre più spesso.

Intervista a cura di:
Marco Mancinelli
Free Lance Journalist, P.R.

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