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venerdì 20 luglio 2007

On. Cassola (Verdi): l'Unione è una coalizione troppo litigiosa. I Verdi sono indispensabili perchè gli altri sono ambientalisti di facciata


La Sua attività, Onorevole Cassola, viste anche le competenze in ambito europeo, è volta principalmente verso le dinamiche dei rapporti fra gli stati membri dell’Unione e la relativa legislazione: può dirci, in tal senso, quali sono i progetti su cui sta lavorando – o ha già lavorato – e vuole esporre?

Essendo uno dei dodici deputati eletti dagli italiani all’estero, mi concentro molto anche sulla loro condizione, come una delle priorità principali. Per il resto, io ho una precedente esperienza come segretario europeo dei Verdi, con tre anni e mezzo trascorsi a Bruxelles e nove anni nell’esecutivo del partito; per questo mi sta molto a cuore la tematica europea. Ora sono membro della Commissione Europea al Parlamento italiano, organo che tuttavia non ha possibilità operativa, dato che vi si cerca di vedere la compatibilità delle leggi italiane con quelle europee, senza entrarne nel merito. Infatti ogniqualvolta vi sia una questione di merito, il tutto passa alle apposite commissioni: non è come in Austria o in Germania, tant’è che molti di noi si battono per cambiare questo stato di cose, per far sì che la commissione abbia un ruolo attivo, anziché passivo e di mero smistamento. Non si tratta di quindi di una sede che permette di intraprendere grandi iniziative europee, anche se la tematica europea vi è protagonista.

Qual è il Suo ruolo all’interno del Suo partito e del movimento europeo dei Verdi?

Io sono stato il fondatore del partito verde maltese, essendo nato a Malta; sono poi stato delegato al partito verde europeo dal 1990, mentre nel 1997 sono stato eletto nell’esecutivo e nel 1999 segretario generale una prima volta, poi rieletto nel 2003 rimanendo in carica fino al 2006, momento dell’elezione al parlamento italiano. Ho pertanto abbandonato l’incarico precedente, non credendo nel cumulo della cariche, cosa consona a chi possiede invece una mente evidentemente eccezionale; penso che ognuna di esse assorba a tempo pieno la mente di chi la detiene. Seguo con molta attenzione le varie attività nei paesi del Mediterraneo e sono tornato ora dal Portogallo, proprio alla vigilia della sua presidenza dell’Unione, dove ha avuto luogo a Setubal un convegno sull’energia ed il cambiamento climatico nel Mediterraneo. Seguo anche il Consiglio dei Verdi europei, che si riunisce due volte l’anno.

Quali partiti trova vicini come temi ed approcci riguardo le battaglie da voi affrontate?

Oramai tutti parlano delle tematiche ambientali, solo che è difficile trovare un approccio che vada veramente alla radice dei problemi: penso che, grazie all’operato del ministro Pecoraro Scanio, stiamo riuscendo a mettere sull’agenda delle priorità del governo e delle finanziarie delle vere azioni per cominciare a guardare verso un futuro un po’ più verde, che migliori la qualità della vita e che sia economicamente realizzabile. Oggi infatti l’ambiente ha sempre più un impatto economico, dato che grazie alla riconversione dell’industria in un apparato ecocompatibile si creano migliaia di posti di lavoro; in questo senso basti pensare alla Germania, dove il partito verde-rosso ha creato centoquarantamila posti di lavoro solo in ambito ambientale. In Italia abbiamo ottenuto attraverso questa finanziaria alcune importanti sovvenzioni per l’energia solare e fotovoltaica, con il 55% dei costi sgravati alle famiglie che investano il quel settore. Vi sono anche percentuali di sgravio per chi usa materiali ecologici per la costruzione e riconversione delle case. Su queste tematiche, solo noi dei Verdi, lavoriamo intensamente. Poi troviamo tanti che si dicono verdi, ma poi abbiamo un Di Pietro che sarebbe per una costruzione continua, con un insieme di grandi progetti o altri partiti che parlano di ambiente ma alla fine vanno in direzione opposta, dando soldi e fondi per iniziative che vanno a toccare dei problemi ambientali. Il cambiamento climatico è un problema attuale, quello energetico anche: tutti possiamo dire di essere per l’ambiente ma se poi vogliamo privilegiare il carbone o il nucleare, di cui abbiamo visto qualche giorno fa gli effetti dannosi nel mare del Giappone, con 1200 litri di liquido nucleare in mare – per non parlare delle scorie – lo siamo solo per convenienza elettorale. A livello superficiale, dunque, sono tutti alleati tanto a destra quanto a sinistra: in realtà è difficile trovare degli alleati.

Una domanda “provocatoria”: anche nella destra radicale si rivendica un primato nell’attenzione all’ambiente, all’ecologia, al rapporto con la natura come fonte di valori tradizionali e tramite diretto del rapporto dell’uomo con il mondo spirituale. In cosa voi vi differenziate, o meglio, quale altro tipo di strada percorrete in tal senso? Può esserci una vicinanza di intenti e vedute in questa visione?

La risposta è implicitamente compresa in quella precedente: è facile dirsi ambientalisti, ma poi essere nel frattempo a favore della caccia, credendo che il tema del benessere degli animali non rientri nella tematica. Non si può solo prendere la parte che fa più comodo ed in quello dichiararsi ambientalisti. Analogamente vi è il tema dei biocarburanti, da tutti apprezzato ma al quale non siamo molto sensibili in quanto non possiamo, per essi, fare come in Sud America dove si trasformano intere zone per le colture intensive procurando gravi danni alla biodiversità. Bisogna stare attenti ai problemi nella loro interezza, non solo nei vantaggi immediati, che hanno poi ripercussioni economiche importanti.

La coalizione di cui fate parte vi vede con un ruolo importante, dati i ristretti numeri di cui dispone. Qualora cambiasse la legge elettorale e la soglia dello sbarramento fosse più elevate, pensa che potrete prendere in considerazione l’ipotesi di alleanze “strategiche” oppure vi schierate fermamente contro il referendum per la modifica dell’attuale?

Rispondo da maltese, dato che la mia cultura politica è diversa da quella italiana: io provengo da un paese che – insieme all’Inghilterra – pratica il bipartitismo da sempre, il mio DNA è quindi all’opposto della situazione italiana. Noi da 43 anni di indipendenza abbiamo solo due partiti in parlamento: vediamo dunque bene l’arroganza del vincitore delle elezioni che, in pratica, si prende tutto. Lo si può anche in Inghilterra, malgrado quella realtà sia più sfumata; ma la cosa si presenta anche negli USA dove Bush, malgrado i voti contrari del Parlamento e del Senato, può mettere il veto, comportandosi come un generale. Un’arroganza del genere si inizia ad intravedere anche qua, dove alcuni grandi partiti pensano di essere onnicomprensivi. Anche la questione del PD sta condizionando molto la politica ed il governo, dando per scontato che si possa arrivare alla creazione di due grandi poli monolitici; ed è un discorso comune a FI ed AN, tanto quanto nel centro sinistra. Tutti gli altri pare che si debbano adattare: questa è una mentalità da bipartitismo, quando invece ancora non lo abbiamo. Personalmente ho sempre lottato a favore del pluralismo, come esiste in gran parte d’Europa.

Collegata alla domanda di prima: quale tipo di sistema elettorale preferireste?

Personalmente adotterei quello tedesco, con uno sbarramento al 3%. Vorrei però quel sistema nella sua interezza, non solo con lo sbarramento nazionale – che garantisce una buona rappresentatività – ma anche con la possibilità di eleggere nominalmente i candidati. In questo modo può essere eletta anche un candidato non messo in lista, ma che si presenta da solo. Si adotterebbe così un criterio più meritocratico e, nello stesso tempo, maggiormente sganciato dalle segreterie dei partiti. Senza la possibilità di indicare preferenze, si commette un grande errore. Un tipo di sbarramento del genere farà sì che molti piccoli partiti facciano alleanze, ma questo è anche un bene: io sono sfavorevole ad un soggetto unico, ma favorevole ad alleanze funzionali al superamento dello sbarramento. Se i partiti grandi pensano di voler continuare su questo passo, continueranno ad esserci due grandi coalizioni, che si sfasceranno al momento di insediarsi al Parlamento, ognuno con il suo gruppo proprio. Vedo bene invece piccole coalizioni di tre o quattro partiti: le leggi non possono cambiare la storia e le tradizioni di un popolo.

La storia dei verdi è sempre stata caratterizzata da un forte connotato pacifista: questo atteggiamento è stato spesso criticato sotto diversi punti di vista per alcune ambiguità, sia nel momento del rifinanziamento delle missioni in medio Oriente ed in Aghanistan, sia nel momento della questione della base USA a Vicenza. Alcuni hanno detto che si è trattato di un tema strumentale fin quando si è stati all’opposizione…insomma, se ne sono dette tante: Lei cosa dice?

I Verdi sono pacifisti, ma pacifismo non vuol dire stare a guardare con le mani in mano gli eventi del mondo. Gli eventi degli anni ’90 hanno fortemente inciso su questa prospettiva: quando abbiamo assistito al genocidio del Ruanda, alla guerra in Bosnia e nel Kosovo, all’impotenza dell’Europa, che perde tempo a palleggiare la responsabilità e le competenze fra i vari paesi, senza contare tutti i morti di ogni giorni, non si può rimanere indifferenti. Fare il pacifista puro ad oltranza è sbagliato: noi dobbiamo essere pacifisti responsabili, disposti anche ad inviare forze di interposizione fra due fazioni in lotta, per impedire ulteriori morti e tragedie. Questo sempre sotto mandato internazionale, sotto l’egida dell’ONU e sotto mandato della UE: io auspico che l’Europa abbia una vera politica europea. Meglio avere un’unica armata europea, che ventisette armate, che agiscono senza coordinamento, con spreco di armi e risorse. Dobbiamo auspicare la creazione di un’armata di pace europea, che sia presente nei posti “caldi”, anche imbracciando le armi, ma assolutamente scevra della logica del dominio o del colonialismo. Dobbiamo infatti chiederci non solo quante persone siano morte, ma anche quanti ne sarebbero morti qualora una forza di interposizione fosse mancata; i Verdi sono maturati su questa prospettiva. Non vedo così contraddizioni in atto: non crediamo certamente che le armi vogliano dire sempre guerra, ma possiamo lavorare per portare pace e stabilizzare il mondo.

Data la Sua esperienza all’estero, anche in Africa se non sbaglio: quali ritiene che attualmente siano le maggiori piaghe per i paesi del terzo o quarto mondo? Quali le cause dei loro mali? In che modo l’Europa può essere d’aiuto?

Su questo tema ci sarebbe molto da dire: il colonialismo ha lasciato profonde ferite; se vediamo la cartina mondiale delle guerre, vediamo che i teatri in questione sono stati oggetto di colonialismi. In secondo luogo vi è il problema della distribuzione delle risorse: nel mondo ce ne sarebbero a sufficienza, a cominciare dal cibo, ma non sono distribuite in maniera omogenea. In terzo luogo c’è il problema del petrolio: la maggior parte delle guerre sono causate da questa risorse, come dal controllo dell’acqua, altro grande problema che sarà sempre maggiore in futuro. Su questo tema mi ricollego al discorso precedente sull’energia: il petrolio finirà – ed è già causa di grandi tragedie, pensiamo solo che il 40% di questa risorsa passa attraverso il Mediterraneo, che rappresenta lo 0,7% della superficie marina mondiale – mentre si bisogna puntare su energie rinnovabili. Il petrolio causa anche tragedie come quella del Prestige o di Erika, che mettono in ginocchio l’economia di diverse regioni, data la loro posizione strategica. Dovremo però investire nei paesi più poveri, affinché si creino strutture e posti di lavoro, cosa che va poi ad incidere su un altro tema caldo, ossia quello dell’immigrazione. Non è una cosa facile, anche perché parliamo di realtà in cui la democrazia – almeno per come la conosciamo noi – è assente; a mio giudizio si tratta di una condizione indispensabile, oltre al peso dell’intervento della società civile.

La posizione decisamente anti-ambientalista di Bush quale risposta trova da parte vostra? Lo scorso 9 giugno è stato in visita a Roma, su questo tema Lei personalmente cosa avrebbe voluto dirgli?

La sua politica è stata dannosa per tutti e va considerato che la sua politica non è quella del popolo statunitense, tanto quella di guerra – che è anche opposta a quella della UE, per come la delineavamo prima e che sta fallendo, basti pensare che in Afghanistan il terrorismo non è stato distrutto e che la produzione di oppio è quadruplicata, alla faccia dei comunicati di vittoria – quanto quella ambientale, posizione da noi ribadita nel 2001, quando abbiamo fondato i Verdi mondiali. Da allora abbiamo lanciato un boicottaggio delle compagnie petrolifere americane, proprio contro la politica di Bush, il cui atteggiamento è proprio di lui e dei suoi consiglieri, mentre il popolo americano non vorrebbe più essere coinvolti in questo genere di azioni. A quanto pare lui però non tiene conto dell’opinione dei paesi più deboli degli USA; il potente deve essere infatti anche intelligente per saper ascoltare le critiche ed i suggerimenti da qualsiasi parte essi provengano, senza offendersi.

Un’ultima domanda: perché gli italiani pare che preferiscano attualmente il centro destra? Se domani si dovesse tornare a votare, per quale motivo dovrebbero continuare a votare centro sinistra e, in esso, per quale motivo dover votare per i Verdi?

È vero: in questo momento gli italiani voterebbero per il centro destra. In primo luogo perché gran parte degli elettori del contro sinistra non torneranno al voto: sono delusi dalla litigiosità della coalizione, ovvia conseguenza – in democrazia – di una coalizione di nove partiti e non certo di due. La nostra è poi una coalizione che va dal centrismo “ortodosso” di Mastella alla sinistra radicale, è naturale quindi che ognuno voglia distinguersi in qualche modo. In Italia però la politica non si basa solo su essa, ma si basa molto sull’apparenza: chi sa fare notizia, chi riesce a fare una bella battuta, chi sa bucare lo schermo e va in televisione, chi riesce a farsi fotografare accanto ad un personaggio importante o gli da addosso, oppure si fa vedere in barca con veline e calciatori ha notorietà. Questo è un grande limite dell’Italia: il mito di oggi è il playboy, come Berlusconi o Briatore, che passano le serate al Bilionaire. C’è invece tanta gente che lavora e dice cose intelligenti ma non è famosa e non andrà mai al telegiornale o a “Porta a Porta”, perché il peso del quarto potere è molto forte. Questa è un’altra ragione per cui il centro destra è in vantaggio su di noi, anche se noi effettivamente non siamo riusciti finora a dare una buona parte di tutto quel che avevamo promesso. Tuttavia anche alcune cose promesse e realizzate, come quelle di noi Verdi, vengono taciute al grande pubblico e passano inosservate, così come i benefici relativi. Le cose che siamo riusciti a fare, poche se vogliamo, non vengono fuori. Tuttavia temi come il “tesoretto” – chissà chi ha coniato questo termine! – rimangono in aula per tre mesi, perdendo tempo in interrogazioni e giochi di chiacchiere, tipicamente italiani. In un contesto in cui sempre più gente non arriva a fine mese si perde tempo così e ci si riduce all’ultimo minuto sui questioni importanti su cui si finisce per chiedere la fiducia. La situazione economica generale è però il risultato della politica quinquennale di Berlusconi e di un solo anno di Prodi, ma non è un risultato del solo governo di centro sinistra. Gli italiani sono stufi e questo malumore è particolarmente sentito all’estero, che invocano un’unità della sinistra, e che vedono sui media un’immagine dei modelli della società italiana superficiale, con donne nude ovunque e scandali di gossip. All’estero queste cose non mancano, ma non pervadono di certo ogni cosa: da noi il modello diffuso è quello della velina da una parte, come esempio di bellezza, successo ed esteriorità e le notizie di ogni tipo che coinvolgono molti politici; tutto questo in confronto ad un Prodi serio, anche monotono, rispetto ad un Berlusconi “uomo di mondo”, causa un calo di attenzione. Non si tratta di solo marketing, ma certamente non abbiamo dato una bella immagine, anche nei lavori parlamentari, basti pensare a tutti gli “scalini e scaloni”, che causano una perenne insicurezza tra di noi e tra gli italiani. Votare verde vuol dire votare per i propri figli, perchè fra quarant’anni il Mediterraneo aumenterà il suo livello di un metro, con il conseguente innalzamento dei livelli delle acque in zone come Ragusa o le coste liguri, con gravi danni all’economia e nessuno ricorda che a settembre ci sarà la conferenza nazionale sulle misure che l’Italia intraprenderà per i prossimi cinquant’anni nei confronti del cambiamento climatico: zone oggi agricole diventeranno zone di acquicoltura, così come ci sono tanti altri piani futuri. Senza i verdi non ci sarebbe questa attenzione, che riguarda la vita, l’economia e il futuro: chi vuole un futuro per sé stessi e le generazioni venture, ha bisogno di un partito verde in Italia.


Jacopo Barbarito

19 luglio 2007

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