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venerdì 18 aprile 2008

ENEA: Paganetto su: "Riduzione delle emissioni e sviluppo delle rinnovabili: il ruolo di Stato e Regioni"

COMUNICATO STAMPA

ENEA
Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente


ENEA in supporto delle Amministrazioni centrali e locali
per la riduzione delle emissioni e dello sviluppo delle rinnovabili


Roma, 18 aprile 2008.Il Presidente dell’ENEA, Prof. Luigi Paganetto, in apertura del workshop “Gli obiettivi di riduzione delle emissioni e di sviluppo delle rinnovabili: quale ruolo per Stato e Regioni?”, ha dichiarato: “Le scelte europee in materia di riduzioni dei gas serra e sviluppo delle rinnovabili, esigono una ripartizione condivisa dei relativi oneri che permetta di coinvolgere concretamente Regioni, Province e Comuni nelle politiche per il clima, mobilitando risorse e facilitando le procedure amministrative”.

“La gestione energetica e le relative emissioni di gas serra sono temi sui quali un preciso atteggiamento e un intervento a livello centrale, sono condizioni essenziali per l’efficacia di una strategia complessiva”.

“E’ decisiva, in ogni caso, una spinta all’efficienza energetica. Senza una politica determinata su obiettivi di riduzione dei consumi, anche il coinvolgimento delle Regioni difficilmente permetterà di raggiungere obiettivi sufficienti di sviluppo delle fonti rinnovabili e diminuzione delle emissioni di gas serra”.

“ENEA, con questa iniziativa, intende mettere a disposizione di tutti le proprie competenze tecnico-scientifiche e le proprie metodologie di analisi, a supporto della pianificazione energetico-ambientale e della gestione del territorio”.


Workshop ENEA, Roma 18 aprile 2008


RIDUZIONE DELLE EMISSIONI E SVILUPPO DELLE RINNOVABILI:
QUALE RUOLO PER STATO E REGIONI?



Le proposte di Direttiva Europea di revisione della Direttiva sull’Emission Trading da un lato, e la nuova ripartizione degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili al 2020 tra gli Stati membri dall’altro, portano nuovamente il tema del burden sharing, ovvero della ripartizione degli obblighi, al centro del dibattito sulla strategia di riduzione delle emissioni serra, a livello europeo.
In Italia il ricorso alla divisione degli obblighi quale strumento per gli obiettivi di riduzione, è stato trasposto dal livello Europa-Stati Nazionali a quello Stato Nazionale-Regioni.
Il tema riscuote interesse e non qualche preoccupazione. Da un lato giungere ad un burden sharing regionale permette di coinvolgere livelli inferiori di sussidiarietà (Regioni, Province e Comuni) in una concreta azione nelle politiche per il clima, mobilitando risorse e facilitando le procedure amministrative, dall’altro la gestione energetica e le relative emissioni di gas serra sono temi sui quali un preciso atteggiamento e un intervento a livello centrale sono condizioni per l’efficacia di una strategia complessiva.
Il Dossier predisposto in occasione del Workshop odierno vuole fornire il punto della situazione relativo ai contenuti e alle implicazioni del pacchetto di nuove direttive recentemente presentato in Europa, soffermandosi in maniera particolare sulle diverse metodologie impiegate per l’assegnazione di obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni. Quindi, passando in rassegna gli strumenti ed i livelli istituzionali messi in campo dal nostro Paese per perseguire gli obiettivi di Kyoto, il lavoro si sofferma su possibili applicazioni di una divisione degli oneri a livello regionale sul modello europeo.
Un punto fondamentale riguarda la divisione degli obiettivi tra settori soggetti alla direttiva sull’Emission Trading (settori ETS), e settori non-ETS. Per i primi è lo strumento di mercato a conseguire gli obiettivi di riduzione di gas serra: si rende quindi inutile un trasferimento di obiettivi alle Regioni e, in questo ambito, si profila a livello europeo, una assegnazione delle quote a livello centrale e non più nazionale. Per i settori non compresi dalla direttiva ETS, quali il settore dei trasporti e quello dei consumi civili, la regionalizzazione degli obiettivi si prospetta invece come un obiettivo di policy funzionale al raggiungimento degli obiettivi nazionali di contenimento delle emissioni.
Su questo inquadramento si inserisce un avanzamento del tema di burden sharing a livello nazionale. La legge Finanziaria per il 2008 indica di giungere, già entro marzo 2008, ad una ripartizione degli obiettivi di sviluppo, per le sole fonti rinnovabili del settore elettrico e il DPEF 2008-2011 indica la necessità di introdurre un sistema di scambio di quote di emissione tra le Regioni per i settori trasporti e consumi civili.
Mentre il primo tema rappresenta un sottoinsieme del settore elettrico interamente compreso nella direttiva sull’Emission Trading, l’impostazione della Finanziaria sembra più uno strumento per rimuovere le barriere amministrative delle Regioni, in particolare nella generazione elettrica, più che uno strumento strategico di una politica nazionale di contenimento delle emissioni.
Una divisione condivisa degli oneri risulterebbe un valido strumento di policy anche se necessiterebbe da subito di un’estensione del periodo di compliance almeno sino al 2020 ed una inclusione degli altri settori di impiego delle fonti rinnovabili: trasporti, calore, refrigerazione, perché diventi da subito uno strumento pienamente compatibile con i futuri impegni europei.
Il secondo spunto sul tema di burden sharing emerso a livello nazionale è strettamente connesso con l’introduzione di un meccanismo di scambio di quote nei settori non ETS che appare difficilmente praticabile senza una preliminare divisione degli oneri. Una impostazione questa che risulta pienamente compatibile con gli sviluppi recenti della normativa europea.
Quanto alla scelta del criterio di ripartizione degli oneri il lavoro si sofferma su un aspetto centrale in tema regionale. Mentre, infatti, il burden sharing tra Unione Europea e Stati nazionali trasferisce impegni di riduzione ma non risorse per il loro raggiungimento, tra lo Stato e le Regioni la gran parte degli strumenti sono accompagnati dallo stanziamento di risorse centrali impiegate in maniera diversa dalle realtà regionali. Questo elemento introduce un’ulteriore complicazione nella scelta dei criteri con i quali giungere ad una divisione degli oneri.
Tutte le metodologie di divisione degli oneri, del resto, mostrano aspetti positivi e negativi. Adottare la metodologia scelta dall’Europa in base al reddito pro-capite, anziché in base ai potenziali per la ripartizione degli obblighi tra le Regioni, deve essere combinata con un meccanismo di trading intraregionale. In questo modo, l’obiettivo sarebbe comunque raggiunto con un trasferimento di risorse dalla Regioni a maggior reddito a quelle a maggior potenziale.
Il coinvolgimento delle Regioni può rappresentare, soprattutto per i settori non ETS, un valido strumento di rafforzamento delle politiche nazionali in tema di clima ed energia e l’assetto regionale italiano può contribuire a raggiungere il cittadino/consumatore finale nell’applicazione degli strumenti. La Regione sarebbe in grado di moltiplicare il dividendo fornito dalle risorse stanziate per la diminuzione delle emissioni combinando, ad esempio, questi obiettivi con quelli relativi alla qualità dell’aria dove spesso le politiche si sovrappongono. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nelle esperienze di ecopass adottate a livello locale dove non si fa riferimento alle emissioni di CO2 dei mezzi di trasporto ma unicamente alle emissioni di impatto locale.
D’altra parte i vantaggi di un burden sharing regionale non devono tradursi in uno “scarico di responsabilità” a ridosso della scadenza del 2008-2012. La tempistica di compliance deve avere un maggiore respiro e alle Regioni responsabilizzate va trasferito una proporzionale capacità di raccogliere e gestire risorse per il raggiungimento degli obiettivi fissati.
Il burden sharing non deve essere sostituitivo di uno sforzo di razionalizzazione dell’assetto istituzionale nelle reciproche competenze ma, al contrario, potrebbe rappresentare l’occasione per rafforzare il rapporto Stato-Regioni in tema di clima ed energia. Pur in presenza della decentralizzazione di una parte degli obiettivi (non ETS), si potrebbe giungere attraverso questo strumento ad un rafforzamento dell’intero assetto istituzionale altrimenti non in grado di regolare importanti ambiti di consumo energetico.
Anche nella considerazione di una politica nazionale che si voglia avvalere dello strumento di burden sharing regionale, emerge l’importanza di definire una quadro di politica energetica coerente con l'assetto europeo e con i diversi strumenti, sino nelle declinazioni amministrative locali, ed in linea con gli obiettivi nazionali di breve e lungo periodo di riduzione della CO2.
In tale politica è necessario accelerare, anche anticipando la normativa europea, gli obiettivi di incremento dell’efficienza energetica negli usi finali. Senza infatti una politica determinata su obiettivi di riduzione dei consumi, anche il coinvolgimento delle Regioni difficilmente permetterà il raggiungimento di obiettivi sufficienti di sviluppo delle fonti rinnovabili e diminuzione delle emissioni di gas serra.

Le emissioni di gas serra IN ITALIA

L’Italia è il terzo paese emettitore dell’EU-27. Rispetto agli obiettivi da ottemperare, Italia deve ridurre le proprie emissioni serra (GHG) nel periodo 2008 - 2012 del 6,5% rispetto ai livello del 1990 mentre, rispetto allo stesso anno, si rileva nel 2005 un aumento del 12,1%. Sebbene gli impegni internazionali derivanti dalla ratifica del Protocollo di Kyoto impongano all’Italia il rispetto di ben definiti obiettivi di riduzione dei gas serra, nel periodo considerato 1990-2005, ad esclusione dei primi anni novanta, in cui si verifica una leggera riduzione delle emissioni GHG, si registra un aumento delle emissioni.
Le emissioni serra totali passano da 516.850 Gg di CO2 equivalente nell’anno base, a 579.547 Gg nel 2005. Per quanto riguarda la composizione delle emissioni di gas serra, la CO2 contribuisce per una quota pari a circa l’85%, di cui la maggior parte viene emessa dal settore energetico. Analizzando i vari settori produttivi, quelli che emettono maggiormente sono storicamente quelli delle industrie energetiche e dei trasporti, seguiti dal settore civile e industriale. Nell’ultimo periodo, le emissioni del settore civile hanno superato quelle del settore industriale.
Per quanto riguarda i settori della produzione energetica (termoelettrico e raffinerie), le emissioni, in aumento nel periodo 2000-2005, tendono a stabilizzarsi nel 2006-2007 in seguito alla contrazione dei consumi energetici. Le emissioni del settore industriale tendono a rimanere costanti per il 2006-2007, mentre nel settore civile si ha una significativa riduzione delle emissioni. Per il settore civile il trend crescente delle emissioni si inverte con una significativa riduzione sia nel 2006 che nel 2007. Per i trasporti continua il leggero trend di aumento delle emissioni. (vedi figura 1)


L’impegno nazionale di riduzione di gas serra al 2008-2012 (Protocollo di Kyoto)

Per valutare lo stato di attuazione del protocollo di Kyoto si fa riferimento ai dati della Quarta Comunicazione Nazionale inviata alla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), preparata da ENEA, APAT e IPCC – National Focal Point, per il Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare.
Nella valutazione si tiene conto dei dati a consuntivo del 2005, di uno scenario di riferimento al 2010 e della valutazione del quadro delle politiche e misure, messe in atto a livello nazionale. Lo scenario tendenziale definito a partire dal 2005 tiene conto dei dispositivi legislativi e normativi decisi e operativi fino a quella data. In particolare, dei nuovi impianti a ciclo combinato, delle misure di efficienza energetica relative ai certificati bianchi del luglio 2004 e parzialmente delle misure di incentivazione delle fonti rinnovabili legati al sistema dei certificati verdi.
Considerando le emissioni all’anno di riferimento, 1990, pari a 516,85 MtCO2eq l’obiettivo individuato per l’Italia dal Protocollo risulta pari a 483,26 MtCO2eq. Tenendo conto dello scenario tendenziale al 2010 pari a 587,0 MtCO2eq la distanza da colmare per raggiungere l’obiettivo risulta pari a 103,7 MtCO2eq. (vedi figura 2)

Per colmare la distanza dall’obiettivo di Kyoto vengono prese in considerazione i seguenti strumenti:
- misure decise e operative (contribuiscono alla riduzione di gas serra per 7,4 MtCO2 eq);
- misure decise ma non ancora operative e allo studio (16,54 MtCO2 eq.);
- il contributo dell’assorbimento di carbonio (Sink) pari a 25,3 MtCO2 eq;
- le quote di emissione dovute agli effetti della direttiva sull’Emission Trading[1] <#_ftn1> (13,25 MtCO2 eq.)
- il ricorso all’uso dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto[2] <#_ftn2> (previste 20,75 MtCO2 eq. di cui 3,42 per interventi già decisi)
Tenendo conto dei contributi complessivi esposti, le emissioni al 2010 rispetto l’anno 1990 risultano pari a – 2,5 % per un valore del gap rimanente di 20,5 MtCO2eq.(vedi figura 3)


L’impegno nazionale di riduzione di gas serra al 2020

La nuova proposta della Commissione Europea sull’obiettivo unilaterale di riduzione di gas serra del 20% al 2020 rispetto al 1990 considera due differenti approcci. Il primo si basa sull’ulteriore sviluppo del sistema europeo di Emission Trading (EU-ETS), la seconda sull’individuazione di obiettivi di riduzione a responsabilità nazionale per quanto riguarda i settori non soggetti al sistema ETS (sostanzialmente settore civile e trasporti).
Per quanto riguarda i settori ETS la Commissione Europea propone una gestione a livello comunitario e non più a livello nazionale. La Commissione propone di prendere come nuovo anno di riferimento il 2005 anziché il 1990. Questo in considerazione del fatto che essendo il sistema ETS entrato in funzione nel 2005 risulta difficile separare per gli anni precedenti e per il 1990 in particolare il contributo dei settori ETS e non ETS. Il nuovo obiettivo di riduzione a livello comunitario per il 2020 riferito al 2005 diventa così 14%.
La Commissione propone inoltre per i settori ETS e non ETS la seguente ripartizione:
- un obiettivo di riduzione del 21% per i settori ETS al 2020 rispetto al 2005;
- un obiettivo di riduzione del 10% per i settori non ETS al 2020 rispetto al 2005, ripartita tra i vari Stati in un intervallo tra +20% e -20% per tenere conto del principio di solidarietà.
All’Italia si propone di assegnare per i settori non ETS il valore di -13%, corrispondente, secondo le proposte della Commissione, ad un limite di emissione pari a 305,32 MtCO2 eq.
Il rispetto per l’Italia dell’obiettivo europeo necessita di un’analisi degli scenari di emissioni tendenziali al 2020 e del quadro delle politiche e misure da mettere in atto nei settori non ETS. Questo tenendo conto del fatto che le riduzioni delle emissioni per i settori ETS vengono gestiti direttamente a livello europeo e non più dallo Stato membro. Ai fini di una valutazione degli effetti dell’obiettivo nazionale del -13% proposto dalla Commissione Europea, è necessario disporre di una metodologia condivisa per la ripartizione degli effetti diretti ed indiretti delle politiche e misure nei settori ETS e non ETS. Inoltre è necessario avere degli scenari emissivi al 2020 disaggregati per i due settori. L’obiettivo del 13% di riduzione al 2020 rispetto al 2005, tenendo conto degli ultimi dati di emissioni complessive e delle emissioni certificate ETS, è pari a 306 MtCO2eq. Considerando lo scenario ufficiale di emissioni di gas serra complessive al 2020 della IV Comunicazione Nazionale si ottiene per i settori non ETS un valore di emissioni pari a circa 380 MtCO2 eq. Questo comporta una distanza dall’obiettivo pari a 73 MtCO2 eq.
Una prima valutazione degli effetti del quadro delle politiche e misure nei settori non ETS, è stata effettuata con una metodologia che tiene conto degli aspetti del doppio conteggio e della sovrapposizione degli effetti, ma che è ancora in fase di approfondimento e omogeneizzazione a livello europeo. I risultati portano ad una riduzione di gas serra pari 65 MtCO2 eq. L’analisi effettuata indica che il 30% di queste misure si possono considerare acquisite (cioè misure decise e operative e misure decise ma non ancora operative), mentre il rimanente 70% riguarda misure allo studio. Il gap da colmare in base a tali valutazioni risulta pari a circa 8 MtCO2 eq. Questo senza tenere conto dell’apporto aggiuntivo dei sink oltre il 2010 e dell’eventuale utilizzo dei meccanismi flessibili.
Lo stato delle emissioni a livello regionale

Ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto ma anche quelli 2020, risulta necessario ed importante il coinvolgimento delle Regioni, anche se per gli obiettivi di Kyoto i tempi risultano strettissimi. In questo senso è utile disporre di un quadro delle emissioni di gas serra regionali. Le valutazioni attuali si fermano all’anno 2004, poiché quelle del 2005 sono in fase di elaborazione. Analizzando le emissioni emerge come a livello nazionale, si sia passati da un valore di circa 400 milioni di tonnellate di CO2 nel 1990, a 450 MtCO2 nel 2004. Si tratta di un aumento complessivo dell’ 13,3 %, dovuto ad un congruo contributo di alcune regioni. In valore assoluto al 2004, Lombardia con 70,04 MtCO2, Puglia con 49,86 MtCO2, Veneto con 43,29 MtCO2, Lazio con 42,46 MtCO2 , Emilia Romagna con 40,82 MtCO2, e Sicilia con 36,91 MtCO2 registrano i quantitativi più alti di CO2, come si evince dalla tabella. Anche nel 1990, le stesse regioni riportavano i valori più alti in assoluto, di emissioni. Se si effettua una ripartizione delle regioni per classi di emissioni di CO2 rispetto ad un valore medio di 35 MtCO2 si ottiene la classe più inquinante delle sei regioni già elencate; una classe intermedia composta da Piemonte e Toscana (rispettivamente con 33,30 MtCO2 e 29,74 MtCO2), Liguria, Campania Sardegna e Friuli Venezia Giulia; una classe con emissioni al di sotto di 10 MtCO2 che comprende le regioni rimanenti, che in valore assoluto hanno emesso bassi quantitativi di CO2. La figura 4 illustra la classificazione delle regioni tramite dei chiaro-scuri che mettono in risalto le emissioni più alte nell’anno 2004.

Nelle regioni della Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna si concentra una area più scura che rappresenta più del 30% delle emissioni totali in Italia. Il centro d’Italia è caratterizzato da Marche, Umbria, Abruzzo e Molise rientrano nella fascia di emissioni inferiori a 10 MtCO2. La regione Lazio fa eccezione che, come è stato già osservato, presenta al 2004 più di 42 MtCO2. Al sud la Sicilia e la Puglia sono le regioni più inquinanti: la prima con emissioni alte più o meno costanti per tutto il decennio, la seconda con variazioni in crescita.



[1] La direttiva prevede che gli Stati membri debbano stabilire limiti assoluti alle emissioni di gas ad effetto serra provenienti da alcune tipologie di siti produttivi. Il campo d’applicazione copre le emissioni di CO2 provenienti da attività energetiche, produzione e trasformazione di metalli ferrosi, industria dei prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni. L’assegnazione delle quote di emissione viene fatta relativamente ai due periodi 2005-2007 e 2008-2012, attraverso un meccanismo di rilascio gratuito.

[2] Meccanismi previsti dal Protocollo di Kyoto che prevedono la realizzazione di Iniziative di riduzione delle emissioni di gas serra effettuate fuori dai confini nazionali.

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Dott.ssa Elisabetta Pasta
Responsabile Ufficio Stampa e Rapporti con i Media
Ufficio di Presidenza
ENEA
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