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mercoledì 2 aprile 2008

Flash back: 2 aprile 2005 "il mio viaggio verso l'ultimo saluto a Giovanni Paolo II"

scritto da Daniele Memola
Il mio viaggio verso il Papa

Questa è la storia del mio viaggio verso San Pietro per rendere omaggio a Giovanni Paolo II. Molto più corto rispetto a quello che milioni di persone stanno affrontando da tutte le parti del mondo ma lungo e interminabile come quelle dodici ore che mi hanno separato da ponte S.Angelo fino all’altare maggiore della Basilica, dove per dieci secondi (il tempo di fare il segno della croce) sono stato tra i fortunati che hanno potuto dare l’estremo saluto al Papa. Non abbiamo avuto paura io e la mia ragazza (tornata a Roma due ore prima dalla Sicilia) della folla mostruosa, del caldo della calca tra le transenne e della brina mattutina che ti entrava nelle ossa all’alba, quando cominciavi a vedere il Cupolone avvolto dalla nebbia. E come noi non si sono arresi i tantissimi anziani e ragazzi come me che ho conosciuto nel tragitto senza fine, senza bagni,senza cibo, senza la possibilità di sedersi un attimo per far riposare i piedi.
Non sono mai stato un pellegrino e ancora oggi, all’indomani della mia personale esperienza i miei amici continuano a darmi del pazzo: “Chi te la fatta fare” mi dicono “potevi vedere tutto dalla tv” ma poi con il sorriso di chi voleva esserci aggiungono: “com’è stato racconta….”. Lo ammetto, se non era per la mia ragazza che mi spronava a resistere, ad un certo punto avrei mollato; sapere dopo cinque ore, scandite da pochi passi alla volta, che me ne aspettavano più del doppio e vedere quelli contromano che rinunciavano dicendomi “preparati a stare qui fino a domani mattina” non era facile da digerire. Ma nello stesso tempo sentire la signora Lucia che veniva dalla Calabria con i suoi 75 anni suonati (a cui due minuti prima avevo ceduto il posto su un motorino parcheggiato a Borgo S.Angelo) mi ha dato un motivo per continuare ad andare avanti malgrado il mio stato febbrile: “Non li dare retta, vogliono solo scoraggiarti”, “appoggiati qui –se la tua ragazza non è gelosa, ride – e cerca di dormire un po’, ti avviso io quando ci muoviamo”. Quando la notte cala mi sveglia Gabriella, la mia ragazza, che batte le mani a ritmo di “Giovanni Paolo” e io chiedo cosa succede. “Forse tra un po’ riaprono la Basilica e avanziamo” mi risponde. La signora Lucia e poco più avanti, non mi ha svegliato perché Gabriella le ha detto di farmi riposare un altro po’.
Ci si rimette in marcia quindi, sono le 6 del mattino e qualcuno, anzi parecchi cominciano a sentirsi male: “Ambulanza, ambulanza!” il tam tam corre veloce tra la folla e dietro di me mi strattonano cinque addetti della Protezione Civile, uno zainetto viene fatto agitare pochi metri avanti; una signora ha perso i sensi ma se la caverà. Ad un certo punto attacco a parlare con due ragazzi calabresi che, sarà per lo stato pietoso in cui versavo dato il raffreddore e l’espressione di chi si appena alzato, mi dicono “non si può continuare così”. Una siciliana, un pugliese (io) e due calabresi insieme presi dalla disperazione sono “pericolosi”. Per la testa inizia a frullarmi qualcosa che spero saranno in tanti a perdonarmi, fare il furbo. Parlo con un carabiniere vicino ad una transenna: “Cerchiamo un bagno e poi usciamo, da dove si va?” L’ufficiale vedendoci in quattro non si fida molto ma alla fine ci lascia passare e così attraversando Vicolo dell’Inferriata ci troviamo immediatamente in via della Conciliazione. Altra scena di pietismo e siamo dentro, a “due passi” dal penultimo sbarramento che ci separa dal colonnato.
Passeranno altre tre ore prima di entrare nella Basilica ma ormai il grosso è fatto. Sono le 9 del mattino e mi avvio a salire la scalinata che mi conduce alla porta ricoperta da un immenso drappo rosso. L’emozione è fortissima, pochi passi mi separano dal Papa, simbolo unico che per tanto tempo ha tenuto uniti i fedeli del pianeta. E lì circondato da guardie svizzere con un piede riverso su un fianco, l’unico segno di sfinitezza di quel corpo che ha contenuto con grande dignità ma umana sofferenza un’anima altissima. Sono distrutto ma l’emozione provata non sarà facile da dimenticare. Ai miei amici che mi hanno dato del pazzo dico che non potranno mai capire quello che si prova una volta arrivati lì davanti.
La tv e i giornali possono sostituire l’esperienza di “essere lì”, possono dare e danno diversi modi di “partecipazione” alla scomparsa del Papa, ma non possono mai riprodurre completamente l’anonimato, l’intento comune delle masse o il dolore e la stanchezza fisica di chi, al di là della spettacolarizzazione, si mette silenziosamente in fila, magari sorseggiando dalla bottiglietta gentilmente offerta dalla Protezione civile per non perdere i sensi; aspettando un’intera giornata tra la calca delle transenne, quei dieci secondi che lo avvicineranno per l’ultima volta all’amato Giovanni Paolo e salutarlo.
Daniele Memola, giornalista freelance

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