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venerdì 28 maggio 2010

Beppe Facchetti, presidente Assorel: Relazioni Pubbliche, rotta verso la qualità

Relazioni Pubbliche, rotta verso la qualità

(Notizia FERPI) Il neoeletto presidente di Assorel, Beppe Facchetti, in un'intervista con Pubblicità Italia Today parla della professione di relatore pubblico e dei principi cui devono ispirarsi le associazioni ed i soci che ne fanno parte. Unica eccezione l'etica, che "non si insegna, perché chi viola le regole le conosce talmente bene che vuol approfittare di chi onestamente le rispetta".


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di Federico Unnia

Da poco eletto ai vertici di Assorel, Beppe Facchetti si è dovuto misurare con alcune delicate questioni, sia esterne sia interne l 'associazione. Un segno di vitalità, non c' è che dire, anche se i terni sul tappeto sono tutt' altro che chiariti. In questa intervista Facchetti fa il punto della situazione, forte anche di dati previsionali che sembrano tendere al recupero. Partiamo dalla
qualità, elemento centrale della sua presidenza, più volte richiamato. "Questo richiamo discende direttamente da una valutazione del nostro scenario: società globalizzata, massificazione anche dei valori, grande confusione di ruoli. Siamo ancora immersi nella stagione dei faccendieri che vengono sbrigativannente definiti "uomini di Pr": Tarantini è un uomo di relazioni, indubbiamente, e cosi Anemone, tanto per fare dei nomi, ma cosa c'entrano con le Relazioni Pubbliche? Chi, come noi, lavora sulla reputazione sa meglio di chiunque altro che sovrapporre, nella percezione collettiva, piani tanto diversi rischia di cancellare con un titolo di giornale lo sforzo quotidiano di crescita qualitativa di una professione e di imprese come le nostre".

Quali progetti avete avviato in tal senso?

Non sono necessari particolari "progetti", ma è decisiva l' attenzione ai nostri stessi comportamenti . Dobbiamo parlare con i fatti ad un mercato disorientato, e la missione di Assorel è quindi innanzitutto quella di aiutare a distinguere, a selezionare.

La vicenda Klaus Davi ha sollevato pesanti polemiche sia dentro che fuori Assorel. Sono state assunte decisioni?

La questione è affidata in questo momento alla valutazione del Collegio dei Probiviri, tre persone che conoscono bene la comunicazione ma non sono parti in causa. Di fronte ad una denuncia giornalistica (che in verità voleva soprattutto essere critica con chi è superficiale nel controllo delle fonti), il mio compito era quello di trasferire prontamente gli atti a chi può statutariamente dare una valutazione di merito.

Non crede che si dovrebbe fare di più per moralizzare un settore troppo spesso ombroso?

Il punto, come dicevo, è proprio che le ombre vengono da un panorama molto ampio e differenziato, in cui si muove di tutto. Gli operatori di Rp potenzialmente censibili sono migliaia, dallo studio professionale al procacciatore di affari. Tanti si definiscono PR, da chi fa il butta dentro in una discoteca a chi regala appartamenti con vista . Noi siamo imprese, cioè aziende che danno occupazione, pagano tasse, vogliono rispettare leggi e codici di autoregolamentazione. C'è una bella differenza e il nostro sforzo principale è quello di farla capire. Assorel non è più il salotto buono dei primi tempi, chiuso e autoreferenziale; è un'Associazione che sta in Confindustria,che si confronta con la società economica . La moralizzazione non è una bandiera da sventolare, è la buona pratica di tutti i giorni.

Rapporti Media – PR : quali sono le posizioni di Assorel?

E' diventato un problema più difficile da gestire rispetto a ieri , quando ancora la ricerca di Toni Muzi e Chiara Valentini aveva evidenziato che la volontà di collaborare e agire su valori comuni era molto diffusa . Ma oggi la crisi dell' editoria e i licenziamenti massivi di giornalisti hanno contributo a rompere le barriere e i confini tra mestieri complementari ma diversi. Nel nostro Statuto è scritto che non possiamo associare aziende che appartengano a gruppi editoriali, proprio perché vogliamo tenere distinti due mondi autonomi, nell'interesse del cittadino lettore o cliente. Ma se poi vediamo che giornalisti singoli o associati vendono ai nostri clienti spazi a pagamento camuffati da articoli, tutto salta. Non è un momento buono, questo, perché tutto si è incattivito e vengono meno certi presupposti di lealtà reciproca. Quando è colpa nostra è dovere dell'Associazione intervenire, ma Ordine e Fieg sono disposti a fare altrettanto?

Qualità e certificazione: in Assorel si assiste a una profonda spaccatura. Non le sembra un controsenso per una professione che deve aumentare la sua credibilità?

Nella nostra Associazione si discute, questo è certo, ma è un bene , è un segno non retorico di vitalità. Abbiamo aperto un dibattito interno non sull'importanza della certificazione di qualità, questione su cui l'accordo è generale, ma sulla sua obbligatorietà come requisito di Associazione . Mi sembra comprensibile che l'obbligatorietà possa sembrare un eccesso per aziende che fanno parte di network internazionali abituati a regole diverse ovvero per chi ritiene che il vero certificato lo rilascia il mercato con il successo competitivo. Stiamo comunque risolvendo serenamente il problema con un Gruppo di Lavoro che preparerà le basi di un'Assemblea dedicata alla questione.

Formazione: per quale ragione non avete intrapreso progetti formativi sull'etica e il diritto della comunicazione?

Assorel Academy è un contributo di servizio per i nostri Soci, che quest' anno, grazie all' impegno intenso di Filomena Rosato, stanno inviando molti loro Senior e Account a riflettere sulle questioni operative di aggiornamento e arricchimento professionale. Anche il diritto della comunicazione può essere un argomento, ma l'etica – mi consenta – non si insegna. Qualche volta si predica, ma non ha bisogno di docenti . Chi viola le regole non lo fa perché non le conosce e non ha frequentato corsi. Anzi le conosce talmente bene che vuol approfittare di chi onestamente le rispetta.

Tratto da Pubblicità Italia Today

2 Commenti

toni muzi falconi il 24/05/2010 :

ben detto!
solo un punto: se l'etica venisse insegnata da una prospettiva utilitaristica e organizzativa varrebbe la pena farlo. Mi spiego. Ci sono organizzazioni per o con le quali lavoriamo che guardano al breve e basta. In questo caso l'etica diventa un lusso. Ma ce ne sono anche molte che adottano politiche e comportamenti sostenibili nel medio e lungo. In questo caso, la sostenibilità dei comportamenti organizzativi diventa essenziale per raggiungere gli obiettivi. E la comunicazione è comportamento. In 50 anni di professione, sbagliando e risbaglliando ovviamente, mi sono definitivamente convinto che comportamenti sostenibili sono essenziali per la sopravvivenza stessa dell'organizzazione.
Eppoi che dire della etica del singolo professionista e per quella della professione? Forse sarebbe sufficiente parlare di responsabilità invece di etica….

valeria232 il 25/05/2010 :

Perché quando si parla di etica a me resta sempre la sensazione di rimanere con un pugno di mosche? Leggendo gli interessanti interventi di Oppi e i commenti, e l'intervento del presidente Facchetti, mi domando se si possa provare a lavorare sull'etica parlando e individuando regole concrete, relative a casi, dinamiche e comportamenti sì tipici, ma specifici.

Dico questo perché mi sembra che parlando di etica ritorni in prima linea un'esigenza della nostra professione rilevata anche in altri ambiti di discussione di questo sito: la definizione dell'identità, l'individuazione di differenze e specifiche. Il presidente Facchetti collega la questione della qualità alla questione della confusione dei ruoli.

Mi sembra (correggetemi se sbaglio) che per la questione della nostra etica professionale si rimanga molto nell'indefinito poiché ad oggi abbiamo a disposizione solo misure di valutazione che non sono altro che principi generali di etica e morale. Principi che evidentemente non bastano a regolare i comportamenti professionali, come d'altronde quelli personali, mentre tra le due istanze resiste un collegamento primario.

Mi chiedo dunque cosa si può fare di concreto. Per quello che riguarda Ferpi, possiamo emanare un codice di dettaglio vero e proprio (per specifiche categorie di attività e relazioni) che come tutte le leggi preveda e venga applicato a casi specifici (certezza)? Leggendo alcuni interventi nel forum delle professioni del corriere economia di ieri, mi chiedo anche se sarebbe diverso se fossimo un ordine professionale.

Leggevo recentemente nella cartella stampa della conferenza internazionale dei Coach che questi professionisti stanno lavorando per mettere nero su bianco la definizione dei diversi ambiti di applicazione del loro mestiere, in seguito, dicono, a una sentita maturità professionale.
Secondo me darsi delle specifiche potrebbe giovare anche alla causa della nostra maturità professionale.

Intanto propongo qualche esempio per la nostra questione dell'etica:
1)Sul rapporto con il committente, il primo dei punti evidenziati da Oppi (siamo noi che dobbiamo far capire ai committenti che comportarsi bene paga nel lungo periodo ..) la questione da approfondire è anche: in concreto qual è la nostra sfera di influenza verso il nostro committente? e se fosse poca perché il committente vuole decidere in modo autonomo, noi cosa possiamo fare? nel forum di Stoccolma, se non sbaglio Toni aveva affermato che in ogni caso è nostro dovere mettere il committente nella condizione della consapevolezza. Poi non siamo responsabili di cosa il committente scegli e di fare. Questo aspetto può essere previsto e regolato in modo puntuale?

2) Reputazione, immagine e identità, insegnamento: il nostro mestiere per definizione ci pone sempre sull'orlo del burrone, laddove possiamo lavorare per "creare" una percezione e un consenso (e Toni dirà: al massimo "governare.." ) attraverso l'esposizione ai quattro venti di un'immagine strategica di un'organizzazione("noi siamo e facciamo" cosa fa notizia, cosa è di moda,cosa ci fa quotare, cosa ci fa avere ancora credito in banca…. … ) Qui può essere fatto un ragionamento, nell'ambito della regolamentazione, su come comportarsi, evidenziando anche il fatto utilitaristico, di cosa paga nel breve e nel medio termine, come dice Toni. E il ragionamento secondo me può esser fatto anche in ambito formativo, perché a parte il rubare e danneggiare in modo grave gli altri ci sono anche tanti altri ambiti in cu il'etica è minacciata in modo sottile, a volte coperta dall' ingenuità di chi ha poca esperienza (Toni stesso nel suo post dice che ha imparato sbagliando) e pensa che comunicare un posizionamento dell'organizzazione migliore di quello reale giovi alla stessa organizzazione. I rischio le illusioni di questi approcci possono essere insegnati? Io credo di si

3) Affari, progetti, eventi, comportamenti: Tangentopoli 2, alla fine siamo sempre lì: la discriminante è se hai una morale personale per la quale sei abituato a non mentire, non prendere in giro, non danneggiare gli altri. Se questi pre-requisiti personali non ce li hai, la questione è come dice Toni qual è oggi il prezzo professionale che oggi devi pagare? Deve esserci un prezzo. E poi questi principi puoi essere educato e farli tuoi? Alcuni dicono che l'etica è materia che si insegna, perché si tratta di una "attitudine" che, come mi sembra dice il professor Azzoni, si concretizza tra l'altro in un'attività di continua ricerca. Ritorniamo al collegamento tra etica e competenze, quindi la qualità di cui parlava il Presidente Facchetti.


FONTE: FERPI

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