Passeggiando lungo le stradine di Spaccanapoli, zona umile e allo stesso tempo brulicante di vita e di testimonianze storiche, culturali non può sfuggire in Via Tribunali, nel decumano superiore, attigua alla Chiesa delle anime del Purgatorio, l'antica pizzeria Sorbillo.
Ad attirare l'attenzione dei viandanti, turisti e indigeni, la porta a vetri del ristorante con affisso alla rinfusa, ritagli di giornali italiani e stranieri risalenti agli anni cinquanta e, tra questi, uno del più antico quotidiano di Napoli, Il Roma che a firma Giuseppe Di Bianco riporta la singolare storia dell'allora proprietario con il titolo: "Interpella gli avventori in latino il celebre pizzaiolo". Il sommario ancora più significativo: "Più che alla sua indiscussa arte di manipolatore di pizze squisite, Luigi Sorbillo deve la sua fama all'avere avuto ventuno figli in ventotto anni di matrimonio".
La cosa ancor più sorprendente scorrendo l'ampio servizio a quattro colonne, ormai sbiadito dal tempo che il padre del prolifico pizzaiolo, Giuseppe, ricco commerciante di pellami, ebbe trentasei figli da quattro mogli, nove da ognuna, insidiando da vicino il primato di Priamo, l'ultimo Re troiano, personaggio dell'Iliade che ebbe 50 figli, fra cui Ettore e Paride e fu ucciso poi da Pirro, figlio di Achille.
Dei trentasei figli, ognuno prese la sua strada, Luigi, classe
Pur potendo usufruire del beneficio di non rispondere alla chiamata alle armi come riserva, nel marzo del 1942 fino al 1943, volle riprendere la sua vecchia divisa grigioverde presentandosi al 40.mo Fanteria di Cava de' Tirreni. Ma anche in quel periodo trovò il modo di non interrompere la consuetudine, mettendo al mondo altri due pargoletti.
Soltanto nei primi anni del dopoguerra, il ritorno in famiglia e le difficoltà di far ripartire l'attività commerciale, rallentò la voglia di procreare e dal 1947 al 1953 le nascite divennero con suo disappunto biennali. Unico rammarico, lui tifoso della squadra azzurra, di Vinicio e di Pesaola, aver messo al mondo tredici figli maschi, ma nessuno con il bernoccolo della pedata.
Il collega Di Bianco, racconta che entrando nella pizzeria, la prima cosa che nota, due parole scritte a grandi caratteri rossi e blu su un cartello poggiato sul banco di marmo inondato di farina: "Siste Viator". Si tratta aggiunge di un vero e proprio editto gastronomico che il Sorbillo rivolge al viandante: "Quo Vadis, Domine?"
La dinastia dei Sorbillo continua con la terza generazione, a pochi passi dalla storica pizzeria che vanta articoli del New York Tribune e riviste gastronomiche, quella di Salvatore con il figlio Gino, targata 1935; poco più avanti, Esterina con il fratello Patrizio, altri componenti la numerosa famiglia sono emigrati al Nord aprendo tipici locali con forno a legna, facendo lievitare la pasta molto lentamente, addirittura il giorno prima per consumarla all'indomani e, facendo arrivare dalla Campania, olio, pomodoro e mozzarella. Solo con una crescita adeguata la pizza è veramente made in Napoli, commenta uno dei nipoti, Gino che ha presentato la sua tesina all'esame di scuola superiore sulla celebre famiglia.
mario carillo - il roma di napoli, 4 gennaio 2011
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