Pagine

venerdì 29 dicembre 2006

Fincipit, è bello divertirsi sul web con un gioco antico come l'arte

Viaggio semiserio fra gli interventi dei lettori

Con una certezza: non c'è limite all'assurdo

Fincipit, è bello divertirsi sul web con un gioco antico come l'arte

di STEFANO BARTEZZAGHI

"T'amo, pio bue. Anzi: ne amo due". Così scriveva l'artista e poeta Toti Scialoja, anni fa; e mite un sentimento in fondo al cor ci infondeva: di ironia, di grazia inappariscente, in una sola parola, di gioco. Senza conoscerne il nome, stava giocando a Fincipit, un gioco di incipit letterari che finiscono subito, voli poetici che non giungono alla fine della pista di atterraggio: "Dopo una notte di sogni inquieti, Gregor Samsa si ritrovò uguale al giorno prima, ed andò a lavorare".

Questo esempio è stato uno dei primi a comparire, alla fine di novembre, sul blog " E io che mi pensavo" di Alessandro Bonino. Di qui l'epidemia si è diffusa sullo stesso e su altri blog, e poi "Repubblica.it", magari in forme letterariamente meno raffinate: "Dormi sepolto in un campo di grano, ché la mietitrebbia non ci ha il freno a mano".

E' un gioco che sguinzaglia le preferenze di chi partecipa, come in un test di libera associazione. Se l'avvio è obbligato - l'inizio di una poesia, di un romanzo, di una canzone, meglio se celebri - si è poi completamente liberi di rispettare rima, metrica e prosodia o no; di proseguire in modo quasi sensato o di deragliare completamente; di mirare alla quieta follia del limerick o ai graffi della satira; di mostrare un gusto intellettuale per la sfida letteraria o di aderire gioiosamente alla goliardia.

Con rima, da Ungaretti: "M'illumino d'immenso. Il polonio sul sushi era troppo denso" (Luca Passani).

Con rima, da Venditti: "Sara, svegliati è primavera, hai fumato già l'erba di un'annata intera" (Luca Passani )

Da Vasco, con rima e prosodia: "Respiri piano per non far rumore... C'hai il polmone che fischia, sembri un treno a vapore" (Dario Lazzaretto)

Da Leopardi, con conservazione di metrica e rima: "Sempre caro mi fu il vespino in folle" (Simone Bellisai).

Da Baglioni, con rima e prosodia: "Quella sua maglietta fina / tanto stretta al punto che / mi immaginavo tutto /La mia fuga repentina / una volta appreso che /non mi sbagliavo affatto" (Giuseppe Romano).

I temi sessuali e corporali sono ricorrenti, consentendo il rapido sbalzo dal registro più alto all'infimo: "Nel mezzo del cammin della mia vita, / mi ritrovai con una selva oscura, / ché la lametta mia era smarrita... " (Alessandra Partese); "Respiri piano per non far rumore o proprio non ci so fare?" (Andrea).

"Si sta come d'autunno / sugli alberi le foglie" fa venire in mente i contratti a progetto alla quasi totalità degli intervenuti: e si può sospettare che quello sia in realtà merito di Ungaretti. Ugo Foscolo offre l'occasione per alludere alle polemiche postelettorali: "All'ombra dè cipressi e dentro l'urne da bianche molte schede io vidi farsi azzurre" (Leonardo Barucca). Da Tolstoi si passa alla Cogne mediatica: "Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo, il che ha fatto la fortuna di Bruno Vespa".

In altri casi il nesso con vicende d'attualità è più libero e fantasioso, come in questo Manzoni rimato dal lettore Bruno: "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti... è proprio lì che George Clooney unisce ville con i ponti".

Ma l'assurdo alla Cochi e Renato vince in molte occasioni, come qui da García Márquez: "Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre l'aveva condotto a conoscere il ghiaccio. "Agitato, non shakerato", aveva detto papà" (Santo Piazzese)

Il gioco proprio nuovo non è. Recentemente lo aveva giocato anche Flavio Oreglio, che al proposito ricorda in un'intervista un bell'intervento di un suo corrispondente: "L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, duecento risme ha reso alla Fabriano". Ma dall'inizio blasfemo dell'Ulysses di James Joyce (un vero e proprio fincipit sulla Messa) allo Scialoja citato, di gente che ha messo i baffi alla Gioconda ce n'è stata parecchia: anche molto prima del Novecento. Questo non toglie nulla al piacere di chi il gioco lo ha reinventato per suo conto oggi e lo ha proposto come una battuta che si fa con gli amici e che finirà per dominare la serata.

In "Fratelli d'Italia" di Arbasino i protagonisti a un certo punto non riescono a smettere di trovare titoli con la parola cielo (come "Il cielo può attendere" o "Il cielo in una stanza"), immaginando di cambiare una vocale alla parola cielo. In certe serate, lo spirito del gioco può far diventare contagiosa e irresistibile anche un'idiozia qualsiasi: e ora che c'è Internet il gioco sembra andare avanti sempre. La prossima volta che se ne avrà voglia, almeno, sarà ancora lì.


Origine: Repubblica

Nessun commento:

Posta un commento