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mercoledì 21 febbraio 2007

Georges Lemaître: Scienza e Fede

La posizione di Georges Lemaître relativa ai rapporti tra scienza e teologia ha il vantaggio di distinguere metodologicamente i livelli di discussione evitando ogni rischio di concordismo. Tuttavia, ci si può domandare se questa distinzione, spinta troppo in là, rischi di divenire problematica.
In effetti, se è vero che non si può mai confondere, né identificare “immediatamente” (e cioè senza mediazione), un concetto scientifico (per esempio la «singolarità iniziale») con un concetto teologico (per esempio la nozione di «creazione»), non ne consegue che le scienze non possano instaurare un dialogo con la teologia.
Tale reciproco dialogo, infatti, può realizzarsi solo per mezzo di una “mediazione” filosofica. Questa fornisce un’interpretazione, un significato, a partire dai dati scientifici, significato che questi ultimi non rilevano “immediatamente”, ma che può, grazie ad opportuni chiarimenti epistemologici, offrire elementi di riflessione anche ad alcune questioni teologiche.

Il merito di Lemaître è stato quello di aver dimostrato che si possono legittimamente affrontare le questioni cosmologiche e soprattutto quelle relative allo stato iniziale dell’universo (l’inizio fisico naturale) da un punto di vista strettamente scientifico, indipendentemente da ogni opzione metafisica o religiosa: la teoria del Big Bang è una teoria fisica e non una dottrina, né un’opzione “meta-fisica”.
Nondimeno, il limite della distinzione metodologica che Lemaître instaura tra i «due percorsi verso la verità» rischia di suggerire, a torto, che un dialogo fecondo tra cosmologia fisica e teologia della creazione non sarebbe pertinente.
Mons. Lemaître, a motivo della sua formazione e non essendo egli né un teologo, né un filosofo professionalmente coinvolto come tale, non era incline ad accettare dei “compromessi” che conducevano ad una mediazione, a un dialogo tra la sua scienza e l’esplicitazione razionale della sua fede.
Verosimilmente è per questo motivo che, all’inizio degli anni sessanta, essendo in quel momento Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, fu totalmente preso alla sprovvista dalla domanda postagli da Papa Giovanni XXIII circa il possibile contributo di questa Accademia ai lavori preparatori per il Concilio Vaticano II.

Emanuela Riccardi

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