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mercoledì 25 aprile 2007

Irpinia felix

IRPINIA FELIX

Negli ultimi decenni una profonda e convulsa trasformazione economica,
antropologico-culturale e identitaria, si è compiuta nelle aree
interne dell'Irpinia, sconquassando furiosamente una società rimasta
ferma e immutata per lunghi secoli di storia.
Già nel corso degli anni Sessanta la società irpina, ancorata per
secoli ad un assetto economico di tipo latifondistico, ha conosciuto
un primo, sconvolgente sviluppo verso la modernità, con il trapasso da
un modo di produzione agricolo e semifeudale ad un'economia non più
solo rurale, incline al settore terziario, per cui una parte
consistente delle classi sociali si sono riversate nell'ambito dei
commerci, dei servizi e del pubblico impiego, mentre l'emigrazione in
massa dei braccianti agricoli ha causato l'abbandono e la
sterilizzazione di fertili terreni prima coltivati.
La meccanizzazione dell'agricoltura irpina ebbe inizio proprio durante
gli anni Sessanta, contrassegnati dal primo "boom" economico
nazionale.
Successivamente, nel corso degli anni Ottanta, in virtù dei fondi
economici statali assegnati per i lavori della ricostruzione dei
centri terremotati, fu avviato un ambizioso quanto controverso
esperimento, quello dell'industrializzazione delle aree interne.
Si decise di trasferire e impiantare le fabbriche, le stesse fabbriche
installate in pianura (ad esempio nella grande pianura attraversata
dal Pò), in zone di montagna, in territori aspri e tortuosi,
difficilmente raggiungibili e percorribili, in cui non esisteva ancora
una rete moderna di infrastrutture stradali, di trasporti e
comunicazioni, in cui i primi soccorsi legati all'emergenza
post-sismica stentarono non poco ad arrivare a destinazione.
Un'impresa ardua, velleitaria, forse impossibile, perdente sin dalla
nascita. E non poteva essere diversamente, dati i presupposti
iniziali.
Un processo di sottosviluppo che ha rivelato la propria natura
regressiva e rovinosa, in quanto ha arrecato guasti e scempi
irreparabili all'ambiente, al territorio e all'economia locale, di
carattere prettamente agricolo e artigianale.
Basta farsi un giro in Alta Irpinia per scoprire un paesaggio ormai
sfigurato per sempre.
Si trattava di un tentativo di industrializzazione e modernizzazione
economica storicamente determinato dalla trasformazione
post-industriale e dalla post-modernizzazione delle economie
capitalisticamente più avanzate del Nord. Questo piano presupponeva il
trasferimento di capitali e di incentivi statali destinati a
finanziare la dislocazione di macchinari e attrezzature industriali
ormai obsolete e superate dai processi di ristrutturazione
tecnico-produttiva in atto nelle aree capitalisticamente più evolute
del Nord Italia. Pertanto, quel progetto di (sotto)sviluppo era
destinato a fallire sin dal principio, nella misura in cui è stato
concepito e gestito in maniera clientelistica, favorendo
l'insediamento di imprese provenienti dal Nord Italia, senza
valorizzare e tutelare le ricchezze, le caratteristiche e le esigenze
del territorio, senza tenere nel dovuto conto i bisogni e le richieste
del mercato locale, senza promuovere le produzioni e le coltivazioni
indigene, sfruttando la manodopera disponibile a basso costo,
innescando un circolo perverso e vizioso, come si è infine dimostrato
alla prova dei fatti.

Le nuove forme di precarizzazione economica e sociale.

L'espansione e l'accelerazione storica impressa nelle nostre zone
dalla ricostruzione post-sismica, sostenuta da un ingente flusso di
denaro pubblico, hanno determinato soprattutto un imbarbarimento dei
rapporti umani e sociali.
Dopo oltre 26 anni la fase dell'emergenza e della ricostruzione
post-sismica non si è ancora pienamente conclusa, perlomeno non in
tutti i centri più gravemente danneggiati dal terremoto del 1980.
Negli anni Novanta l'espansione e, successivamente, la crisi e il
declino, sia ideologico che strutturale, di quel processo di
globalizzazione economica neoliberista contestata e rigettata ormai in
tutto il mondo, costituiscono un fenomeno che si è rapidamente
determinato anche in Alta Irpinia, con tutte le drammatiche
conseguenze che ciò ha inevitabilmente comportato.
Questa nuova, improvvisa accelerazione storica ha condotto fasce
sempre più estese di popolazione, soprattutto giovanile, verso il
baratro della disoccupazione, dell'emigrazione, dell'alienazione,
dell'emarginazione, della precarizzazione, della disperazione.
Rispetto a tali problematiche, le "devianze giovanili", i suicidi e le
nuove forme di dipendenza - dall'alcool e dalle droghe pesanti - sono
solo i sintomi più evidenti e inquietanti di un diffuso e crescente
malessere sociale.
Occorre aggiungere che anche un'ampia percentuale della popolazione
senile accusa stenti, tormenti e privazioni, derivanti soprattutto
dall'abbandono e dalla solitudine, disagi che in passato erano
ammortizzati e compensati da una fitta rete di relazioni di mutua
solidarietà tra le generazioni, che ora non esiste più, almeno nelle
forme, nelle caratteristiche e nelle dimensioni di un tempo.
Piccoli centri di montagna, che non offrono nulla o quasi, ai giovani,
sia in termini di prospettive occupazionali, sia in termini di
opportunità e occasioni di svago e divertimento, di aggregazione
sociale e di crescita culturale, tranne qualche bar, pub o altri tipi
di locali pubblici nei casi più fortunati, sono diventati luoghi
desolanti di noia e di vuoto esistenziale, per cui attecchiscono
abitudini insane, allignano in forma massiccia devianze e dipendenze
da alcolici e droghe di vario tipo, comportamenti che fino a 20 anni
or sono erano assolutamente impensabili e sconosciuti.

Alcuni dati emblematici.

Le cifre più significative che attestano le dimensioni di un diffuso
disagio sociale, sono inequivocabilmente drammatiche e sconcertanti.
I numeri indicano chiaramente una crescita massiccia e costante di
fenomeni davvero allarmanti come, ad esempio, le stime relative ai
suicidi.
Il numero dei suicidi registrati nella provincia di Avellino
relativamente allo scorso anno, il 2006, ha purtroppo oltrepassato
quota 40.
Addirittura pare che alla provincia di Avellino spetti il triste
primato dei suicidi nell'ambito delle regioni meridionali. Con sette
suicidi ogni centomila abitanti l'Irpinia condivide con la provincia
di Potenza questo lugubre e angosciante primato rispetto a tutto il
Meridione d'Italia. A voler essere più precisi, il dato riferito alla
provincia di Avellino riguarderebbe in modo particolare le zone
dell'Alta Irpinia.
All'origine di questo doloroso e inquietante fenomeno starebbero
anzitutto due ordini di cause: la miseria economica e il disagio
psicologico.
L'Istat riferisce che gli italiani poveri sono 7.577.000. Il 22 per
cento della popolazione meridionale vive praticamente sotto la soglia
di povertà.
In Alta Irpinia la percentuale della popolazione che versa in
condizioni di povertà, si attesta oltre il 20 per cento.
Il tasso della disoccupazione giovanile in Irpinia è salito oltre il
50 per cento, aggirandosi intorno al 52 per cento: quindi, nella
provincia di Avellino un giovane su due è disoccupato. Inoltre, e
questo è un motivo di ulteriore apprensione, il numero dei disoccupati
che hanno superato la soglia dei 30 anni è in costante aumento. Molto
elevato è altresì il numero dei disoccupati ultraquarantenni, che
dunque nutrono scarsissime speranze e possibilità di reinserimento nel
mondo del lavoro. Nel contempo, anche in Alta Irpinia si diffondono e
si estendono a dismisura i rapporti di lavoro precarizzati,
soprattutto in quella fascia di giovani che hanno tra i 20 e i 25
anni, ossia tra i giovani alla loro prima occupazione lavorativa.
I tossicodipendenti in Irpinia si contano a centinaia; i decessi per
overdose risultano in continuo e pauroso incremento.
Da questo punto di vista, le realtà di Caposele, Calabritto e
Senerchia formano un vero e proprio "triangolo della morte", così come
la zona è stata mestamente definita in seguito ai numerosi decessi
causati da overdose. Comunque, è estremamente difficile quantificare
con esattezza la portata di un fenomeno come l'uso di sostanze
tossiche nei paesi irpini, ma basta guardarsi intorno con maggiore
attenzione per rendersi conto della gravità della situazione. I Ser.T
(Servizio Tossicodipendenti), ad esempio, non sono affatto
rappresentativi delle tossicodipendenze in Irpinia perchè qui si
recano, in genere, eroinomani che hanno bisogno di assumere il
metadone oppure quando, segnalati dalla prefettura, sono costretti a
seguire una terapia. Dunque, stabilire con precisione quanti siano i
consumatori delle altre sostanze (cannabis, cocaina, crac, kobrett,
psicofarmaci, alcool) è praticamente impossibile. Certo è che piccoli
paesini con più o meno 4 mila abitanti, come Andretta o Frigento,
hanno assistito ad una crescita davvero spaventosa del fenomeno negli
ultimi dieci anni. In queste piccole realtà montane si conta ormai un
elevato numero di giovani tossicomani che fanno uso di sostanze
deleterie quali l'eroina, il kobrett e il crac, i cui centri di
spaccio sono da ricercare altrove, notoriamente identificati nelle
periferie e nei quartieri più depressi e degradati dell'area
metropolitana di Napoli, come, ad esempio, Scampia e Secondigliano.

Quali sono le risposte fornite dalle istituzioni e dalle
amministrazioni pubbliche locali?

Nella migliore delle ipotesi, nessuna. Invece, nella peggiore delle
ipotesi, il ricorso sistematico, ottuso e controproducente alla forza
pubblica, attraverso l'inasprimento dei controlli (anche di tipo
elettronico), dei posti di blocco, della repressione poliziesca e
carceraria. Come se tali sistemi e provvedimenti di natura autoritaria
e quasi draconiana, derivanti dalla legislazione proibizionista, si
fossero mai rivelati un efficace deterrente contro il consumo di
stupefacenti e altri simili comportamenti. Come se la semplice e pura
repressione potesse provvedere un valido rimedio rispetto ai disagi
psicologici ed esistenziali in rapido e costante aumento anche nelle
nostre zone, che denotano piuttosto un tipo di malessere originato da
altre gravi emergenze, sociali e ambientali, non ancora risolte. Mi
riferisco soprattutto alla disoccupazione, alle nuove forme di
emigrazione, alla precarizzazione delle condizioni e dei rapporti di
lavoro e di vita, all'assenza di regole, diritti, tutele e speranze
per le giovani, e meno giovani, generazioni irpine.
Se non si affrontano seriamente e non si risolvono alla radice tali
problematiche, difficilmente si potrà estirpare il malessere dilagante
e diffuso anzitutto tra i giovani delle nostre comunità. Giovani
abbandonati all'angoscia, allo sconforto e alla disperazione, nella
misura in cui non possono coltivare nemmeno la fiducia e la speranza
verso un avvenire più radioso e più ameno.
L'ottimismo è ormai diventato un lusso riservato a pochi privilegiati.

Lucio Garofalo

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