Giustizia, è ora di provarci
Il principio fu Castelli. Poi toccò a Clemente Mastella nella passata (e breve) legislatura ricoprire lo scomodo ruolo di Guardasigilli, cercando al contempo di salvare capra e cavoli: difendersi allo stesso tempo dai fischi di mezzo mondo della giustizia per il suo ddl di riforma delle professioni/ordinamento giudiziario e dai fiaschi delle liberalizzazioni di Bersani (le lenzuolate) non era affatto facile. Infatti è andata com’è andata. Clemente ritorna a Ceppaloni e il governo Prodi casca.
Riformare dall’interno le professioni giuridico-economiche e allo stesso tempo pretendere di sciogliere tutti i mali della giustizia italiana è un’impresa titanica. Di mezzo ci sono le tariffe professionali (sui minimi inderogabili nessuno mai molla), c’è la separazione delle carriere tra giudici e pm, ci sono i paletti della Costituzione, l’Europa e le sue direttive. E i “niet” dell’opposizione. Insomma parecchia acqua che bolle in pentola per realizzare l’obiettivo della tanto agognata buona amministrazione della giustizia ( che costa tanto e non garantisce tempi brevi). Da Mastella, vittima sacrificale dell’allora governo Prodi si è capito che non tutto il “Terzo Potere” (quello giudiziario, gli altri due il legislativo e l’esecutivo) è “liberalizzabile”, “lenzuolabile” e/o negoziabile. E così, tra codici deontologici, richiami ai valore di autonomia e indipendenza della magistratura, accesso e tutela dei diritti, Ordini o non Ordini, l’importante è che ora Angelino Alfano non faccia rimpiangere ai molti, quello che fu definitivo dagli addetti ai lavori un “annus horribilis” per il pianeta Giustizia e non solo (tutti ricorderanno le manifestazioni di piazza di allora, dagli avvocati, ai farmacisti, dai tassisti ai giudici.)
Con il governo Berlusconi e con la sinistra all’opposizione, nonostante i buoni propositi iniziali di una nuova fase politica fatta tutta di dialogo post-elettorale, le speranze di arrivare al nocciolo della questione si dileguarono presto. Certo, il buon Silvio ci ha messo anche un po’ di suo con la “salva processi” prima (la norma sul patteggiamento allargato inserita nel Dl sicurezza n.92/2008), l´emendamento Vizzini-Berselli poi ( quello che ordina ai giudici di dare “assoluta priorità” ai reati più recenti stabilendo poi la sospensione di un anno dei processi che riguardano reati commessi fino al 2 maggio 2006 ) e da ultimo il “Lodo” ossia la sospensione dei processi per le 5 più alte cariche dello Stato diventato legge lo scorso 23 luglio.
L’importante però è essere tornati a parlare di riforma del processo, di quello telematico e di accelerazione dei processi civili e penali; di class action (l'azione risarcitoria collettiva) e fondi “dormienti” del ministero da impiegare per le sedi giudiziarie “disagiate” (dl n. 143/08 pubblicato in G.U n. 217 lo scorso 16 settembre).
Ma per passare dalle parole ai fatti è necessario il dialogo. Lo stesso che negli intenti (poi sempre dissolti), si ripropone ad ogni inaugurazione dell’anno giudiziario. Quegli inviti alle toghe a una maggiore correttezza ed equilibrio nel rapporto con la politica che dal canto suo, però, soffre del controllo alla legalità esercitato dalla magistratura. Una collaborazione fattiva quindi che dia al sistema giustizia più velocità nelle decisioni ( e quindi più diritti ai cittadini) e meno costi per lo Stato, costretto da secoli a ripagare le spese per i risarcimenti, legati alla legge Pinto, per l’eccessiva durata dei processi (41,5 milioni di euro dal 2002 al 2006). E si badi bene che il problema non può essere risolto ad una sola stanca e ripetitiva richiesta di incremento delle risorse. Il problema vero è che in Italia una pronuncia di divorzio arriva dopo 582 giorni, una vertenza di licenziamento dopo 696 giorni, un procedimento per inadempimento contrattuale impiega 1210 giorni e in Cassazione un processo civile dura 30 mesi. Come se non bastasse, sono tre milioni i processi civili pendenti e cinque quelli penali ma nel frattempo si “intercetta” (a guardare i dati ufficiali del ministero della Giustizia: 308 milioni spesi nel 2005, 230milioni nel 2006, comunque in media 280milioni di euro l’anno).
E da qui che bisogna ripartire per ritrovare il dialogo, perché la lotta tra “caste”, è fatta solo di riforme non fatte, deboli, o di controriforme. Il mix ormai impazzito del nostro sistema giustizia, è formato da regole e procedure che sembrano inventate ad hoc per offrire scappatoie ai colpevoli, e condannare la “domanda” di giustizia dei cittadini (ad esempio tutti ricorderanno il giudice,ora Pm a Milano, finito su tutti i giornali perché ha impiegato otto anni a scrivere le motivazioni di una sentenza emessa a Gela). Troppi sono gli orpelli e inutili burocratismi da eliminare se si vuol rendere la giustizia “ragionevole”. Sono questi i nodi da affrontare subito, l’unica possibilità di tirarsi fuori dalle secche di una situazione ormai al collasso.
Il Guardasigilli Angelino Alfano ci sta provando a portare una boccata di novità. Il processo telematico, dopo la sterzata imposta dalle misure in materia di Giustizia contenute nella manovra d’estate (decreto 112/08) ha avuto una piccola, ma importante accelerazione (dopo la sperimentazione nei Tribunali di Milano, Napoli e Catania la platea degli uffici giudiziari dove vi viaggerà a ritmo di posta elettronica certificata e decreti ingiuntivi on line, si allargherà prima Tribunali di Roma, Genova, Catania per poi comprendere tutti entro il 2009). L’articolo 51 del decreto (“comunicazioni e notificazioni per via telematica”) regola infatti la disciplina sulle notificazioni telematiche e sulle comunicazioni nei processi civili, introducendo l’obbligo della posta elettronica. Il Dl 112/08 ha poi modificato l’articolo 18 del codice di procedura civile prevedendo che, se nessuna delle parti compare all’udienza successiva dopo aver “disertato” anche la prima, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo. Per il penale invece, il decreto sicurezza, con gli articoli 2-bis e 2-ter, ha allargato lo spazio per il giudizio immediato e per quello direttissimo (che prevedono l’esclusione dell’udienza preliminare) riaprendo i termini per il patteggiamento in primo grado, ma cancellandolo invece in appello. Fin qui le novità per così dire “tecniche”.
Ma anche sul versante del dialogo, quello politico, almeno sul fronte giustizia, Angelino ce la sta mettendo tutta. I segnali che sono usciti dall’ultimo seminario bipartisan dell’Udc lasciano ben sperare: su celerità dei processi, certezza della pena e imparzialità della magistratura sembra possibile una convergenza tra gli schieramenti ma anche tra gli stessi protagonisti del pianeta giustizia. Un po’ meno per la separazione delle carriere, riforma del Csm e questione intercettazioni. Prove di dialogo insomma, Di Pietro permettendo. Di sicuro è un passo in avanti per ora, quello del Guardasigilli, che ha trovato il placet all’idea di iniziare una riforma per le categorie giuridico-economiche da inserire poi nel più ampio progetto della riforma della Giustizia. Sulla riforma a blocchi per i vari settori dei professionisti si va avanti. Adesso notai, avvocati e dottori commercialisti si preparano per presentare (entro fine mese) propose congiunte al ministro, la “loro” ricetta per snellire la macchina della giustizia. Sono dieci anni che sul punto ci si affanna (gli ultimi a provarci sono stati Vietti e Mastella). Prove di dialogo si diceva, l’importante però è provarci.
di Daniele Memola
link: www.opinione.it
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