DIFENDERE LO STABILIMENTO DI POMIGLIANO D'ARCO DELLA FIAT: PER NON PERDERE LA TRADIZIONE INDUSTRIALE DELLA NOSTRA REGIONE.
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
di: Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco
Dall'inizio dell'anno i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d'Arco della Fiat, sono in lotta per la difesa del posto di lavoro.
Ed oggi si terrà a Pomigliano una giornata di lotta ed una manifestazione, per ottenere dal Governo un tavolo di confronto per definire il futuro produttivo dello Stabilimento. Appena l'anno scorso, con una grande ristrutturazione degli impianti, un lungo periodo di formazione del personale ed un ulteriore decentramento di alcune parti della produzione, lo stabilimento aveva recuperato ben 7 punti di efficienza produttiva e i dipendenti erano appena 5000: il più basso livello di occupazione nella storia di quella azienda. Ma tutto questo non è bastato, la crisi che ha sconvolto i mercati, ha provocato la cassa integrazione per i dipendenti della Fiat, mentre aumentano le preoccupazioni per il futuro.
La denuncia che fanno i Sindacati ed i lavoratori è che lo stabilimento non sembra avere più una missione produttiva. Dietro questa affermazione tecnica si nasconde una verità difficile da digerire: i modelli prodotti in quello stabilimento sono in fase di uscita dal mercato, perché non più adeguati alle nuove esigenze degli automobilisti, che hanno necessità di comprare vetture a prezzi contenuti,con consumi bassi e con motori ecologicamente avanzati.
La battaglia dei lavoratori di Pomigliano, deve tenere conto, come sempre, che il loro destino è legato alla difesa della fabbrica, tra le poche ancora rimasta nella nostra Regione. Non si tratta di una vertenza qualsiasi, perché in Campania, attorno alla produzione dell'auto lavorano ancora 20.000 addetti.
La Fiat, da oltre 20 anni proprietaria dello stabilimento di Pomigliano, decise di chiamarlo con il nome di un importante intellettuale meridionale; sia per valorizzare il territorio, sia per dimostrare lo stretto rapporto esistente tra la ricerca culturale e lo sviluppo industriale. La scelta cadde sulla figura di Giambattista Vico, indubbiamente il più importante e conosciuto filosofo napoletano. Purtroppo, il riferimento è talmente appropriato, che se ne sarebbe fatto volentieri a meno. Vico è conosciuto per la sua teoria dei corsi e dei ricorsi storici e nel caso dello stabilimento di Pomigliano, nei suoi 40 anni di vita le crisi e le difficoltà sono state ricorrenti.
Lo stabilimento dell'Alfasud di Pomigliano d'Arco fu costruito in soli 4 anni da maestranze meridionali ed entrò in produzione nel Giugno del 1972. Lo stabilimento aveva una tale rigidità produttiva che bastava poco per far fermare la produzione. I dipendenti erano tutti giovani e senza esperienza industriale, erano gli anni della contestazione e delle lotte operaie per il cambiamento dei contratti di lavoro e per l'applicazione dello statuto dei lavoratori.
La fabbrica stentò a raggiungere gli standard produttivi stabiliti a tavolino. Mentre ci si interrogava su quali soluzioni adottare, giunse la crisi petrolifera della seconda metà degli anni 70, che introdusse in uno stabilimento appena partito, la cassa integrazione e lunghe sospensione delle attività lavorative. A quel tempo, lo stabilimento di Pomigliano era una società per azioni autonoma e con i propri dirigenti. I dipendenti erano ben 17.856. Quello stabilimento, tranne i reparti della fonderia e delle fucine che si trovavano al Portello di Milano, avevano tutto il ciclo produttivo dell'auto. Dal motore alla scocca, tutto era montato in azienda.
Quel particolare modello di stabilimento produttivo, non poteva reggere a lungo al profondo cambiamento del sistema produttivo internazionale introdotto dai giapponesi. Negli anni 80, bisognò effettuare una ristrutturazione industriale e produttiva che portò alla espulsione dalla azienda di 3500 lavoratori, mentre altre migliaia furono costretti a lunghi periodi di cassa integrazione speciale, che durò dal 1982 al 1990. Nel frattempo l'Alfa Romeo era stata ceduta dall'IRI alla Fiat, che trasformò ulteriormente lo stabilimento di Pomigliano, rendendolo in grado di produrre vetture di ogni tipo e di qualsiasi cilindrata.
E' una storia di lavoro, di sacrifici dei dipendenti, di cassa integrazione, di mobilità, di produzioni di alta qualità, una tradizione produttiva che identifica la nostra regione. In quello stabilimento, senza che nessuno lo ricordi mai, sono state prodotte oltre 7 milioni di vetture, per quell'immenso territorio dello stabilimento: oltre un milione di metri quadri, di cui ben 300.000 mq coperti sono passati ben 35.000 lavoratori, che a vario titolo e con diverse professionalità, hanno dato un contributo allo sviluppo dell'industria nel Sud.
Se la sfida degli anni 70 era quella di dimostrare che nel Mezzogiorno si potevano costruire automobili, bene quella sfida, quei lavoratori l'hanno vinta. Quello stabilimento è stato, inoltre, un presidio di democrazia in un territorio sempre a rischio, che non può e non deve scomparire. La lotta dei lavoratori di Pomigliano è quella di portare nuove produzioni, ma anche e soprattutto far restare sul nostro territorio una potenzialità di sviluppo industriale, che altrimenti andrebbe perduta.
La nostra Regione, ora più che mai ha bisogno di lavoro industriale, proprio ora che i miti di uno sviluppo totale del settore terziario stanno scomparendo, adesso non possiamo perdere il lavoro in fabbrica, nella più antica azienda automobilistica del Sud, che rappresenta una tradizione, una storia un esempio di lavoro e sacrificio che fa onore a tutti i meridionali. La lotta di Pomigliano è la lotta di tutta la Campania, è una battaglia che deve crescere e che non possiamo perdere.
Raffaele Pirozzi direttore giornaleonline"www.notiziesindacali.com"
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