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martedì 10 marzo 2009

I GUASTI PRODOTTI NELLA SOCIETA' E NELL'ECONOMIA NAPOLETANA

I GUASTI PRODDOTTI NELL'ECONOMIA E NELLA SOCIETA' NAPOLETANA RICHIEDONO UN IMPEGNO VASTO E DURATURO.
di Amedeo Lepore



Napoli, 10/03/09. L'impegno per costruire una nuova prospettiva per Napoli e la sua area metropolitana può essere legato, data la portata dei problemi da affrontare, solo ad un arco di tempo non breve. I guasti strutturali dell'economia e della società napoletana richiedono uno sforzo vasto e duraturo, a maggior ragione di fronte allo scenario della crisi internazionale, che ora investe pesantemente anche il nostro paese. E di ben altra iniziativa rispetto al rischioso progetto del cosiddetto "federalismo fiscale" - come ha giustamente osservato Massimo Villone - avrebbe bisogno il Mezzogiorno, per riuscire a fondare, a partire dalle proprie energie, un progetto di profondo riscatto, che punti ad un riequilibrio effettivo. Proprio per questi motivi, l'idea che sia terminato il tempo delle analisi e occorra individuare un insieme di proposte (più o meno aggiornate), per fronteggiare la situazione, è inadeguata.
Infatti, l'inusitata mole di lavori di saggistica e di narrativa, gli studi e gli articoli, pubblicati in quest'ultimo periodo su Napoli, è il frutto, più che di un approfondimento analitico della realtà, di un'interpretazione dei fatti, o, al massimo, di quella che Marco Rossi Doria ha definito una "chronica" degli avvenimenti recenti.
Una ricerca seria delle cause e delle responsabilità del declino napoletano - cui è necessario far fronte nell'immediato, ma con una visione di medio-lungo periodo - non può fermarsi al racconto di quello che è accaduto, affidando ad una specie di "impressionismo soggettivo" la chiave di volta per disegnare il futuro.
È da troppo tempo che manca la capacità di collegare la cronaca alla storia e la proposta all'analisi rigorosa dei problemi, per comprendere davvero l'andamento e lo stato dell'area metropolitana più complessa e martoriata del paese.
Al contrario, una riflessione di largo respiro consentirebbe di poggiare su pilastri concreti l'edificazione di una nuova e "grande" Napoli, in grado di riprendere a svolgere il ruolo, ormai inesistente, di capitale del Mezzogiorno.
Se guardiamo ai dati economici, le origini della crisi attuale del nucleo metropolitano risalgono agli inizi degli anni settanta del Novecento, quando gli shock petroliferi e la rottura dell'equilibrio mondiale uscito da Bretton Woods determinarono la fine dell'età dell'oro del modello di sviluppo occidentale.
La provincia di Napoli, alla fine della ricostruzione post-bellica era dotata di un apparato industriale di estensione e struttura del tutto sovrastanti rispetto a quello di ogni altra area del Sud. Il processo di industrializzazione, che era proseguito nel decennio successivo, sia pure con ritmi diversi, fu interrotto bruscamente dalla crisi internazionale del petrolio, che contribuì a modificare il sistema fordista, fondato sulla grande industria e sulla produzione standardizzata. Il colpo fu particolarmente grave, perché alla crisi degli impianti di maggiori dimensioni, si univa la condizione di particolare degrado del tessuto urbano metropolitano.
Il nuovo modello di crescita, di tipo terziario, poi, servì a consolidare la concentrazione nella città delle funzioni direzionali, delle risorse umane qualificate, delle attività commerciali e di servizio. Tuttavia, negli anni successivi e, in particolare, dopo il terremoto del 1980, Napoli perse definitivamente il primato di crescita, all'interno del Mezzogiorno, ed esaurì perfino la sua funzione di traino dell'economia regionale.
I punti di forza si erano trasformati, irrimediabilmente, nei fattori di debolezza, che, da allora, hanno condizionato pesantemente e senza soluzione di continuità la situazione economica e sociale di Napoli. Nel corso degli anni ottanta, infatti, l'area napoletana ha evidenziato un differenziale di crescita negativo, non solo rispetto al Sud, ma anche nei confronti del resto della Campania, non riuscendo a cogliere alcuna opportunità di ripresa.
Questa condizione non è decisamente migliorata nel corso degli anni novanta, quando la struttura del territorio metropolitano è continuata a permanere in uno stato di difficoltà, nonostante il recupero di orgoglio e la rappresentazione d'immagine della città. In questo periodo, volendo richiamare solo un dato, Napoli è scivolata dal 44° posto in graduatoria in termini di PIL pro-capite delle province italiane, conseguito nel 1951, all'83°, nel 1981, per risalire lievemente al 77°, nel 1999.
La situazione, quindi, non si è presentata affatto rosea agli inizi del nuovo millennio. Anzi, se si considerano le indagini internazionali esistenti per quest'ultimo breve volgere di anni, la realtà napoletana ha accentuato il suo carattere di isolamento e di regressione economica, che diviene particolarmente preoccupante in un quadro di comparazione con altre aree urbane di analoghe dimensioni e qualità.
I dati elaborati dall'OCSE, in particolare, mostrano che, sia dal punto di vista della quota del PIL delle metropoli (o delle "metro-regioni", come vengono definite dall'organizzazione internazionale), sia dal punto di vista del PIL pro-capite, Napoli si colloca nelle ultime posizioni, ben al di sotto della media delle altre settantotto città del mondo considerate. Insomma, pur trattandosi di una riflessione appena abbozzata, solo con l'analisi dei fatti si può contribuire alla definizione di un progetto credibile per la conurbazione metropolitana.
La ripresa di un ruolo di leadership da parte quest'area richiede scelte strategiche di grande coraggio, che non posso essere solo di carattere locale: l'impegno di una nuova classe dirigente di questa parte del paese deve unirsi alla consapevolezza di tutto il paese che Napoli può uscire dal tunnel del declino solo se viene interpretata come una risorsa e come la metropoli-guida del processo di ripresa dell'intero Mezzogiorno.

Raffaele Pirozzi direttore giornaleonline"www.notiziesindacali.com"

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