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mercoledì 2 settembre 2009

Semenya Caster, o del divino androgino

Semenya Caster, o del divino androgino PDF Stampa
semenya.jpgNata nel nordest Sudafricano diciotto anni fa da una famiglia povera, entra nella scena internazionale di soppiatto in occasione dei Campionati del mondo giovanili di atletica del 2008, ma senza entusiasmare troppo e riportando un tempo mediocre che non le ha neanche permesso di passare il turno.
Ma il 31 luglio di quest’anno si è già rifatta, migliorando il record nazionale sudafricano degli 800 metri e realizzando la migliore performance mondiale dell’anno. Infine, il 19 agosto di quest’anno è esplosa, sbaragliando le concorrenti e vincendo la medaglia d’oro ai Mondiali di Berlino, registrando un incremento incredibile nelle sue prestazioni personali e facendo storcere il naso a tanti.

Chiunque abbia seguito le rubriche sportive in queste ultime settimane sa che stiamo parlando del “caso Semenya Caster”, l’atleta sudafricana dall’aspetto maschile, della quale è stato detto tutto ed il contrario di tutto: secondo alcuni è un uomo, per altri è semplicemente lesbica, chi la conosce assicura che è una donna, ma la voce è da uomo, il testosterone è troppo, i cromosomi sono incerti, i genitali sembrano essere femminili.

Una cosa è certa, Semenya Caster fa paura, ha spaventato non poche atlete. Semenya Caster richiama la potenza magica dell’androgino di platonica memoria.
Il mito dell’androgino rappresenta la primitiva identità sessuale degli uomini, con tratti e caratteristiche insieme maschili e femminili. Non è chiaro quale sia il motivo per cui esso fu scisso in due parti, forse perché era troppo felice e questo disturbava la malinconia degli dei; ma tutto lascia pensare che esso fosse troppo potente e “magico”, e quindi potenzialmente pericoloso.
L’androgino ritorna ciclicamente nella storia, e fa paura, come la Caster. Fa pensare ad una sorta di ritorno al caos primordiale, incontrollabile, dal quale ogni essere umano emerge, il che contrasta con il fatto che la nostra storia individuale e collettiva, caratterizzata dal passaggio dal disordine all’ordine della cultura e della civilizzazione. Per l’uomo è quindi necessario abbandonare il disordine sessuale per inscrivere ogni individuo nella bipolarità obbligata dei sessi.

Da qui nasce la paura ed il malessere provato di fronte ad un corpo ambiguo, non inscrivibile nella dicotomia maschio-femmina, che fa emergere paure che rimandano alle origini dell’umanità. All’impressione di ritorno verso le origini si accompagna una paura fantasmatica della auto-fecondazione – biologicamente impossibile – che magicamente regalerebbe l’immortalità ad un individuo la cui funzionalità sessuale è sostanzialmente autarchica, caotica, indipendente dal desiderio e dalla ricerca romantica dell’amore. Si passerebbe in questo modo, insensibilmente, dalla paura del caos originale alla paura della fine del mondo, di fronte a creature che sfidano il divino.
Ma aldilà di ciò che è mito e leggenda, queste figure, spesso vissute nell’ombra e più raramente emerse nel marasma della cronaca sfidano il progetto positivista della misurabilità assoluta e del dominio sulla natura promesso dalle scienze naturali, che contemplano due e solamente due sessi.

Vediamo quindi nei “difetti” di questi sessi un fallimento della meccanica, abitualmente oliata alla perfezione, di Madre Natura. La nostra società, quindi, vede in essi una crudele beffa alla naturalità della divisione di ruolo dei generi: bisogna essere o uomini o donne perché socialmente non sono contemplate altre possibilità, se non nel “mostruoso”. E per il mostruoso, laddove non riesce a nascondere ed isolare, la società ha trovato una soluzione medico-chirurgica perfettamente in linea con il progetto positivista: la normalizzazione di ciò che è fuori dai canoni.
Ma nello sport non è possibile nascondere in quanto esistono delle categorie ben definite all’interno delle quali inserire gli atleti, classificati ed etichettati per sesso, per pratica, per età e per peso, a seconda delle discipline di riferimento. E’ quindi chiaro come sia facile l’emergere di ciò che precedentemente era nell’ombra, specialmente con lo sviluppo dello sport di massa negli anni ’20 del secolo scorso.

Perché se è facile che un uomo “un pò femminile” o una donna “un pò mascolina” possa condurre tranquillamente la loro vita nell’ombra della quotidianità metropolitana senza attirare troppo l’attenzione, non è facile che passi inosservato un individuo come Aleksandra Chudina, classe 1929, nel momento in cui ottiene due argenti e un bronzo in atletica (nel lungo, nel giavellotto e nel salto in alto) nell’ambito di una carriera costellata da 40 record e 50 titoli sovietici, ed infine tre trofei mondiali e quattro europei come pallavolista - era un ermafrodita.

E non è neanche facile che passi inosservato il bell’Andreas Krieger, nel momento in cui mostra i suoi trofei a nome di Heidi Krieger. Ma questi sono solamente alcuni casi tra i tanti.
A questo punto è necessario fare un po’ di chiarezza. Si è solitamente portati a credere che i sessi siano due e solamente due. In realtà l’identità sessuata di un corpo è la delicata risultante di una complessa stratificazione di elementi, che vanno dal “micro” dei cromosomi al “macro” della società e della cultura.

Semplificando, possiamo dire che questa identità si compone di cinque livelli: quello genetico, dato dai cromosomi (XX per la femmina e XY per il maschio); quello ormonale o endocrino (alcuni ormoni determinano i caratteri sessuali maschili e femminili ed alcuni comportamenti); quello anatomico, ossia quello dei caratteri sessuali secondari, visibili ad “occhio nudo”; il livello psicologico, relativo alla auto-percezione dell’individuo; infine quello socio-culturale, definito dalla percezione che i membri del gruppo sociale e della cultura hanno relativamente all’individuo stesso.

In sostanza i primi tre livelli sono relativi alla dimensione biologica, o naturale, dell’individuo, mentre gli ultimi due sono relativi a quella sociologica, o culturale. Solamente se questi cinque livelli sono coerenti tra di loro, allora l’identità dell’individuo è chiara e netta, socialmente accettabile. Se, invece, tra le varie possibilità, non vi è coerenza tra i primi tre livelli, allora l’individuo può essere definito “intersessuato”. Non si tratta di una condizione patologica rarissima in quanto il 3 % circa dei nati vivi non ha caratteri genetici e/o anatomici chiaramente maschili o femminili, e forse questo è il caso di Semenya Caster, una ragazza dall’identità sessuale non ben definita, non totalmente femminile, a cui le manie classificatorie stanno strette.


di Alessandro Porrovecchio Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
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*Alessandro Porrovecchio è Dottorando di Ricerca in Sociologia del Corpo e Sociologia della Sessualità presso l' Università degli Studi di Torino.

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