"Su verità e menzogna in senso extramorale" è il titolo di un breve scritto di Nietzsche del 1873. Sebbene si tratti di un'opera minore rispetto a quelle successive, le argomentazioni del giovane (allora ventinovenne) Nietzsche sono comunque tali da rendere il filosofo tedesco un pensatore più novecentesco che ottocentesco.
Quella di riscrivere (e ripensare) i concetti di verità e menzogna, infatti, è stata un'attività tipica del "secolo breve".
Pensiamo alle avanguardie artistiche e letterarie, alla nascita della psicanalisi, ai saggi di storia, alle analisi dei politologi: le vecchie categorie di pensiero sono state via via sostituite, spodestate, dalla necessità di una maggiore aderenza col Reale, necessità che ha trasformato la vecchia domanda sul dualismo vero/falso («si sta dicendo il vero o il falso?») in una serie di nuove formule interrogative, molto più sofisticate:
«È possibile dire la verità e tuttavia mentire?»
«È possibile essere veritieri ma non per forza sinceri?»
Nel 1927 Martin Heidegger scriveva in "Essere e tempo" che la verità è apertura, cioè disvelamento; vale a dire che per una parte che si svela ce n'è un'altra che resta velata, negata, nascosta a colui che domanda. E ciò perché è la stessa verità ad essere chiaroscurale.
Recitava il personaggio di una storiella ebraica citata molto spesso da Freud e Lacan:
«Perché mi dici che vai ad x per farmi credere che vai ad y quando in realtà vai ad x?»
Ecco il punto: la menzogna del Novecento non si limita a un "dire di essere x quando in realtà si è y", ma si evolve in un "dire di essere x per far credere di essere y quando in realtà si è x"
E questa è una frase che ho letto in un saggio... sul wrestling!
Un saggio scritto da un filosofo della comunicazione (Andrea Corona, autore di Giochi "ringhistici". Perché il professional wrestling è il gioco per eccellenza. Edito da Kimerik ed acquistabile con 1 € di spesa in più direttamente dal sito della casa editrice) il quale ha messo in evidenza, dicendolo solo tra le righe di un libro sulla semiotica gestuale dei wrestlers, che il Novecento è il secolo della menzogna e della confusione.
Come fare dunque a distinguere quest'ultimo caso (dire di essere x per far credere di essere y quando in realtà si è x) da un sincero "dire di essere x quando si è effettivamente x"?
In entrambi i casi, infatti, si dice di essere x e si è effettivamente x.
In un caso, però, si dice la verità (sono x) per indurre però a credere il falso (sono y).
Resta il fatto che si è detta la verità!
Eppure non si è stati del tutto (vedi Heidegger) sinceri.
Che il wrestling offrisse questi spunti di riflessione ne avevo già avuto sentore: mi era capitato, in passato, di leggere che qui il vero ed il falso si mescolano, ma che si arrivasse ad un livello tanto sofisticato è stata una piacevole scoperta.
Lo stile provocatorio di Corona regala spesso, nel corso della lettura di Giochi ringhistici, provocazioni del genere:
«Anche se per un wrestler portare un colpo effettivamente a tradimento non è di nessuna efficacia sociologica, non mancano tuttavia casi di bari che non si attengono al copione. In questo caso il colpo vero si traveste finto, cioè un colpo portato in modo effettivamente crudele si traveste da colpo di wrestling, il quale è finto ma viene portato in modo da sembrare vero. Vale a dire che il colpo vero si traveste da colpo vero passando attraverso la finzione del gioco rappresentativo»
Con queste provocazioni l'autore gioca a prenderci in giro (e a prendersi in giro in quanto spettatore di wrestling) mirando a far cadere il vecchio confine tra il vero e il falso in favore di una "tipicamente americana" strategia della confusione.
In realtà il libro non tratta esplicitamente della strategia della confusione, infatti l'autore alza le mani di fronte all'impossibilità di destreggiarsi.
Si pensi poi che nel wrestling il vero viene spesso detto e mostrato, ma talvolta viene detto e mostrato proprio per rafforzare la finzione (o, se preferite, la menzogna) del gioco rappresentativo (la recita, la pantomima dei lottatori, alla quale nessuno crede sebbene talvolta sia veritiera).
Si potrebbe quasi dire che nel wrestling si è spesso veritieri ma solo di rado sinceri, perché anche «recitare la parte di se stessi non è sinonimo di essere se stessi».
Il saggio di Corona termina con una domanda:
«qui il trucco c'è e si vede ma, proprio per questo, nessuno ci crede... ma allora, quello che sembra il più evidente dei trucchi, è il più sofisticato dei trucchi o non è affatto un trucco?»
Ai posteri l'ardua sentenza
Giorgio Monti
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