In Via San Gregorio Armeno, affollata in questi giorni da turisti per la visita al fantasmagorico mercatino di pastori, sughero e presepi, non può sfuggire una visita all'omonima chiesa, affrescata da Luca Giordano con i due grandi organi ridondanti d'oro e l'annesso chiostro e, poco più avanti le chiese di San Gennaro all'Olmo e San Biagio Maggiore restaurate e riaperte al pubblico, dopo quasi quarant'anni.
Di fronte il palazzo settecentesco con l'epigrafe "Domus Januaria". La targa ricorda che in questo luogo, molti secoli prima, nacque il più illustre cittadino di Napoli: San Gennaro. Nello stesso edificio, in fondo al cortile, si trova la bottega "dove nascono gli angeli" dei fratelli Antonio e Rosario Lebro, definita in modo cosi pomposo, intorno agli anni Cinquanta, quando di qui uscirono i quattro maestosi angeli e le quattro cariatidi scolpiti per l'Abbazia di Montecassino.
In un angolo del laboratorio s'intravedono statue e gruppi scultorei del Sei e Settecento. Figure a mezzo busto o intere, alcune a grandezza naturale, in legno o terracotta, vestite di broccati e sete preziose nell'attesa di essere curate, rivestite e ridipinte. Si riparano i danni provocati dal tempo e dall'incuria. Alcune sono opere di grandi artisti altre semplici immagini di devozione popolare. I fratelli Lebro sono depositari di un'arte quella della scultura e del restauro ligneo che si tramanda da padre in figlio da cinque generazioni.
Capostipite Antonio, noto per la "Madonna col Bambino" realizzata per la chiesa del Divino Amore nel secolo scorso. Lo seguirono il figlio Salvatore, scultore di legno e Luigi specialista in veroplastica. Poi venne Antonio, padre di Antonio e Rosario, che in più di mezzo secolo eseguì una serie di opere di gran pregio: fra loro il corpo reliquiario di Santa Patrizia venerato nell'attigua chiesa e la statua di Santa Trofimena per la chiesa di San Giuseppe nella Little Italy di Brooklyn.
Fra le tante opere eseguite dall'antica bottega va ricordato il restauro dello splendido presepio settecentesco della duchessa Orsini, esposto ogni anno nella chiesa di Santa Maria in Portico.Venticinque statuine lignee attribuite a Giuseppe Picasso Ceraso e Jacopo Colombo, insigni maestri che operarono nella città partenopea in quell'epoca. Ardua l'opera di recupero di gambe, dita, una decina di occhi, nasi, capelli, oltre all'integrazione pittorica di ogni pezzo. Coadiuvati dalle mogli e dalla sorella, rivestirono i pastori attenendosi con scrupolo ai modelli originali, usando raso in seta di San Leucio, broccato, lamè e galloni d'oro.
Nel laboratorio conosciuto anche come la "clinica dei santi" arrivano statue da tutto il Meridione. Dopo il terremoto del 1981, sono state portate in Via San Gregorio Armeno centinaia di opere, molte delle quali in condizioni disastrose. Tra queste il San Michele di Sant'Angelo all'Esca, l'Assunta di Laviano, la statua di San Rocco di Lioni,
"Spesso è il tempo a rovinare la struttura dell'opera", dichiara Rosario, il più giovane dei fratelli Lebro, ormai ottantenne. "Se il legno è tarlato, si rimedia eliminando i parassiti immergendo la statua in un bagno chimico; anni addietro per lo stesso procedimento si adoperava la camera a gas. Se la statua presenta sbucciature o stirature, queste possono essere stuccate, se di lieve entità la riparazione non altera l'aspetto originario. Nel caso di un pezzo rotto, il ripristino è affidato ai moderni adesivi". Restaurare una scultura è impresa delicata: pittura, doratura, gesso riparatore, brunitore e pietra d'agata sono indispensabili, oltre naturalmente ai ferri del mestiere, adoperati come bisturi.
Fra le opere affidate alle loro cure negli ultimi anni i fratelli Lebro ricordano il presepio Cuciniello nel Museo di San Martino; quello delle nove Muse nel teatrino di Corte di Palazzo Reale, sulle quali durante l'ultima guerra mondiale, gli americani si esercitarono al tiro al bersaglio; la splendida sala ora restaurata e riaperta in questi giorni;
I due maestri lamentano che non ci sia chi continui una tradizione che va scomparendo. I figli di Antonio e di Rosario, tutti laureati, non sembrano interessati alla nobile arte. "Un tempo intorno al maestro c'era un folto gruppo di apprendisti e collaboratori" dichiarano i Lebro "Oggi non esiste più il ragazzo di bottega. Ormai questa è diventata un'attività di vecchi; i giovani non sono disposti a fare un lavoro che richiede molto studio e sacrifici". Perché non incoraggiare allievi dell'Accademia di Belle Arti a frequentare queste botteghe? Se ebanisti, orafi, decoratori, intagliatori non troveranno continuatori, chi ridarà vita agli angeli e restituirà all'originale splendore le opere d'arte offese dal tempo e dall'incuria dell'uomo?
mario carillo - Il Roma 26/10-2010
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