Dopo Sondrio, Bormio, Como e Monza, ora è la
volta di Bergamo. Il tour lombardo del mio nuovo libro L’inferno chiamato Afghanistan continua infatti nella bella “Città dei Mille”. Mercoledì
3 ottobre p.v., alle ore 20:30, anche il pubblico di Berghem e dintorni potrà
conoscere un Afghanistan sorprendente, un po’ diverso da come viene raccontato
dai mass-media. Presenterò la mia ultima opera presso il Caffè letterario di
via San Bernardino 53 e mostrerò un video emozionante, dai contenuti forti. Accanto
a me ci sarà un moderatore illustre, Giorgio Gandola, direttore de L’Eco di Bergamo.
Il viaggio è un sentimento, non soltanto un fatto -
diceva Mario Soldati. Nel lungo racconto-reportage che ho scritto dopo avere
soggiornato per tre mesi in Afghanistan, privo di credenziali e copertura, in
balia degli eventi, i fatti sono così numerosi da stordire il lettore. Ma il
sentimento è ancora più pregnante. La scrittura – lineare e coinvolgente, a
detta di chi ha apprezzato il libro – è il prezioso filo conduttore di un
viaggio ai confini della realtà, ora drammatico ora affascinante, in un Paese scosso
dal tormento, sconvolto dall'odio viscerale. Ho voluto raccontare l'Afghanistan
in maniera diversa dai giornalisti e dagli inviati speciali che là si recano
per compiere un frettoloso raid professionale. Ho raccontato le verità taciute
perché scomode o indigeste. Come un viaggiatore d'altri tempi, un osservatore
disincantato quale sono, ho voluto che il mio racconto si trasformasse in una
affabulazione atta ad evocare lo spirito dell’Afghanistan. Come in un crogiolo,
ho cercato di fondere con l'abilità di un alchimista i minerali più vili con le
pietre preziose, raccontando la vita e la morte e di entrambe facendomi
testimone oculare. Sono riuscito a mettere a nudo la condizione femminile e
quella dei bambini, la quotidianità nelle carceri e nei campi per sfollati, i
retroscena delle operazioni di guerra e di pace a un tempo del nostro
contingente militare e degli aiuti umanitari, il fenomeno dilagante della
droga, il vuoto sanitario, la corruzione politica. Ma ho colto anche gli
aspetti poetici e spirituali di un popolo condannato all’inferno pur amando la
vita. Con le parole ho cercato di squarciare l’omertà e scuotere le coscienze.
Come un plettro, esse solleticano le corde del cuore e le fanno vibrare, con
vigore o dolcemente, suscitando sdegno, rabbia e disgusto accanto alla
commozione, all’empatia e al sentire più intimo, permeabile al fascino
dell’Oriente misterioso e del sogno infranto.
Sbaglia chi pensa che “L’inferno
chiamato Afghanistan” sia solo un reportage, l’ennesima cronaca letteraria di un
viaggio avventuroso. È molto di più, una finestra aperta attraverso la quale è
possibile aggettarsi non solo su uno scenario stimolante ma sulle acque appena
increspate della nostra coscienza. So che a Bergamo si dice che “rasa
bergamasca, sota la sender brasca”, vale a dire “la razza bergamasca arde sotto
la cenere”. È vero, i bergamaschi sembrano freddi da fuori ma nascondono un
grande cuore. Sono certo che il mio racconto toccherà il loro cuore e non
resteranno indifferenti al dramma dell’Afghanistan e del suo popolo, che sembra
pagare il fio di un’antica maledizione. Pur desiderando la pace, infatti, gli
afghani non possono fare a meno della guerra. Ma per scoprire la verità
sull’Afghanistan è giocoforza ascoltarla (e leggerla) da chi l’ha conosciuta. A
Bergamo dicono anche “val püsseé un andà che cént andem”. Chiaro, no? Vale di
più un andare che cento andiamo. Amici di Bergamo e provincia, che altro
aggiungere? Vi aspetto numerosi al Caffè letterario per una serata vivace,
forse infiammabile.
Nessun commento:
Posta un commento