Le
dimissioni del Papa sono state un fulmine a ciel sereno. Peggio, un forte terremoto.
Hanno provocato sconcerto, smarrimento e dolore ma anche una gamma di
sentimenti deprecabili e tanta ironia gratuita. Non accadeva da oltre sei
secoli che il Pontefice rinunciasse al soglio di Pietro. L’ultimo dimissionario
era stato Gregorio XII, in carica dal 1406 al 1415. Prima di lui, avevano rinunciato
altri cinque Papi, fra cui Celestino V, che abdicò nel dicembre 1294 dopo
appena quattro mesi di pontificato. Di lui, Dante scrisse che “fece per viltade
il gran rifiuto”. Ora, per quanto il Codice di Diritto canonico (canone 332,
comma 2) contempli la possibilità che il Papa si dimetta, è normale che il
gesto di Ratzinger sia apparso ai più abnorme. C’è chi l’ha ritenuto inedito e
inverosimile. Invece, esistono dei precedenti e ha una sua logica. Già, ma
quale?
Molte persone mi hanno chiesto cosa penso della rinuncia di Benedetto XVI
e se anche nel suo caso, come per Celestino V, si può parlare di viltà. Dopo
avere riflettuto e fatto indigestione di commenti nazionali e internazionali
sull’accaduto, sono arrivato alle mie conclusioni. Si tratta di convinzioni
personali ma forse non originali. In sostanza, condivido il pensiero di alcuni
illustri esperti di fenomenologia ecclesiastica. In primis, ritengo che la
sua decisione non sia vile ma coraggiosa. Ratzinger merita rispetto per la
dignità del suo gesto, che sarebbe assurdo definire una “fuga”. Credo che il
Papa abbia deciso di “scendere dalla croce” (cosa che non fece un Giovanni
Paolo II stanco e malato, come ha rimarcato il cardinale di Cracovia Stanislaw
Dziwisz, che di Wojtyla fu il segretario personale) per compiere a sua volta un
gran rifiuto che ha il profumo dell’estremo sacrificio. Penso abbia agito per
il bene della Chiesa. Ha cercato di rimettere Cristo al centro della Chiesa con
un atto di libertà e insieme di estrema ribellione alla nomenclatura
ecclesiastica. Purtroppo, il suo tentativo è anche una resa senza condizioni. E
qui, è il caso di evidenziare i retroscena delle sue dimissioni, che non sono
segreti. Da tempo, la Chiesa cattolica apostolica romana è un campo di
battaglia, un nido di serpenti, un’arena dove si affrontano forze antagoniste.
C’è una curia nefasta, conservatrice, malata di potere e non solo. È la
corrente che ha portato la Chiesa alla deriva e l’ha allontanata ulteriormente
dal popolo dei fedeli. È la Chiesa, tanto per intenderci, dei preti dediti ai giochi
finanziari, schiavi della lussuria, misogini e velenosi come scorpioni. La
Chiesa degli alti prelati faccendieri e pedofili che hanno tradito Gesù e il
Vangelo e rimpiangono il potere temporale dello Stato della Chiesa. È il cuore
di tenebre del Vaticano. Sul versante opposto c’è una nuova Chiesa, composta da
uomini di Dio che hanno compreso che la barca di San Pietro deve cambiare rotta
per uscire dalla tempesta, per non naufragare e sparire, inghiottita dai flutti
del relativismo e della sua crisi senza fine. I membri della nuova Chiesa sono
consapevoli che il mondo è cambiato ma la vecchia Chiesa no, resta ancorata
alle sue convinzioni, ai suoi sbagli, alle sue dottrine obsolete, ai suoi vizi
insopportabili. Come disse in un intervista il cardinal Martini poco prima di
morire “la Chiesa è rimasta indietro di duecento anni”. I fautori del
rinnovamento sanno che bisogna prendere il coraggio in mano e riformare radicalmente
l’istituzione. Come? Permettendo ai sacerdoti di sposarsi e alle donne di
assumere ruoli fino ad ora preclusi. Spazzando via il marcio. E magari
iniziando a distribuire le proprie ricchezze ai poveri. Non sarebbe male, ad
esempio, se la Chiesa vendesse alcune proprietà immobiliari e col ricavato
costruisse diecimila pozzi in Africa. Il Papa sa di questa lotta fra il bene e
il male. Si è trovato nel mezzo della titanica faida. Ha cercato di cambiare la
Curia romana, viziosa e corrotta, ma ha fallito. S’è reso conto di non avere la
forza né il potere per infondere nuova linfa al cattolicesimo, che è in agonia.
Forse non ne aveva le capacità. Ci voleva un guerriero carismatico e insieme
diplomatico e non un fine studioso per riuscire nell’impresa di stanare Satana
e le sue orde dal Vaticano. Sta di fatto che Ratzinger si è arreso e la sua
resa, che si presta a tante interpretazioni e qualcuno ha definito un “vulnus”,
una ferita per la Chiesa, mette a nudo la crisi di governo della Chiesa stessa,
il grave conflitto interno costellato di intrighi, manovre, dissidi e tradimenti.
Nemmeno fossimo ai tempi dei Papi simoniaci e dei Borgia, della santa
inquisizione e delle crociate contro i pagani. Di questo conflitto, una vera
guerra fra i cardinali, parlerò in modo approfondito più avanti, in prossimità
del conclave, che mai come questa volta potrebbe essere un Armageddon. Ma
torniamo agli eventi di queste ultime ore. S’è fatta anche l’ipotesi che
Ratzinger si sia dimesso per motivi di salute. È vero che soffre di cuore e che
tre mesi fa, nel riserbo assoluto, è stato sottoposto a un intervento chirurgico nella
clinica romana Pio XI. Pare che i suoi problemi cardio-circolatori gli
provochino una dispnea che lo affatica e debilita. Ci sta ma le condizioni
cliniche di Giovanni Paolo II erano di gran lunga peggiori delle sue eppure non
mollò la presa. Al massimo, le condizioni di salute di Ratzinger potrebbero
averlo indebolito ma non indotto a uscire di scena in modo così clamoroso. Insomma,
sul Papa veglia lo Spirito Santo, che non può essersi dissociato a causa di un
pacemaker o della stanchezza psicofisica. Una cosa è certa: la dimissione di
Benedetto XVI è il paradigma di una Chiesa allo sbando, incapace non solo di cambiare
marcia ma anche di fronteggiare la crisi morale e spirituale dei nostri tempi.
La Chiesa ha abdicato prima del Santo Padre. Ha spezzato il cordone ombelicale
che la univa all’assemblea dei fedeli. Ha dato ripetutamente scandalo, sia sul
piano morale e sessuale che su quello economico-finanziario. Si è mostrata
debole, ottusa, farisea. Da tempo, ha rinunciato ad essere la guida degli
uomini di buona volontà, che si sono allontanati, svuotando le chiese, e il
fatto che il suo leader sia stato costretto a cedere le armi sta a significare
che la cancrena ha ormai corroso le difese immunitarie del sistema. Tra le
possibili implicazioni del gran rifiuto del 256esimo Papa della Chiesa
cattolica c’è la fine della Chiesa stessa, evitabile solo con la sua
palingenesi. Dipenderà dall’esito del conclave ma di ciò, ripeto, scriverò in
seguito.
Voglio concludere citando una frase del Papa dimissionario che la dice
lunga. “La Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo
dominio ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo”. Mi domando se
Benedetto XVI lo pensasse veramente. In ogni caso, GAME OVER. La sua resa indica che non crede più
alle favole.
www.giuseppebresciani.com
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