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martedì 18 febbraio 2014

Governo: un ministero del "made in Italy" non ha senso. Allargare, invece, le competenze delle Politiche agricole in una visione agroalimentare

Il presidente della Cia Giuseppe Politi ritiene che una scelta del genere sia del tutto inutile. Servono, invece, politiche serie e mirate per rendere ancora più forti i nostri prodotti sui mercati internazionali.

 

            “Un ministero del ‘made in Italy’? Credo che non abbia alcun senso. Quello che invece oggi serve sono politiche per sviluppare il nostro marchio, già apprezzato nel mondo. Non a caso ci opponiamo alla soppressione del dicastero delle Politiche agricole che va adeguato ai grandi mutamenti in atto, allargandone, pertanto, le competenze. Per tale motivo siamo convinti dell’esigenza di un ministero dello Sviluppo dell’Agricoltura e dell’Agroalimentare in grado di promuovere strategie agroindustriali e sanitarie, con una visione anche internazionale del comparto”. Lo ha affermato il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori Giuseppe Politi.

            “Parlare di un ministero del ‘made in Italy’ -ha aggiunto Politi- ci appare quanto mai inutile. Il ‘brand’ che rappresenta il nostro Paese non ha bisogno di un dicastero. Ha urgenza di azioni mirate e di strategie propulsive in grado di rafforzare ulteriormente l’immagine dei nostri prodotti a livello internazionale. Mi pare sinceramente un’idea poco felice”.

            “E’, però, importante l’avvio -ha concluso il presidente della Cia- di una rinnovata politica dell’agroalimentare ‘made in Italy’ importante ripensare al ruolo e ai compiti di un rinnovato ministero. Insomma, un dicastero che abbia competenze specifiche e si occupi seriamente delle imprese e dei loro problemi. Una svolta di cui il settore nel suo complesso (agricoltura, industria di trasformazione e dei mezzi tecnici, cooperazione e distribuzione) ha urgente necessità. Da qui la richiesta, avanzata anche come coordinamento Agrinsieme, di rafforzare e migliorare i compiti delle Politiche agricole, appunto, in una visiona strategica agroalimentare”.

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