Gli interessi legali sono dovuti come obbligazione pecuniaria accessoria rispetto a quella principale relativa al pagamento di somme di danaro, costituendone i "frutti civili", che si aggiungono al capitale quale corrispettivo per il godimento del denaro altrui, purché si tratti, come dispone l'art. 1282, 1° comma, c.c., di crediti liquidi (ovvero determinati esattamente nel loro ammontare) ed esigibili (alla data del ricevimento della prestazione o alla scadenza del termine stabilito per il pagamento).
Il tasso di interesse legale, ex art. 1284 c.c., dall'1 gennaio 1997 con l'emanazione della l. n. 662/1996 è diventato variabile ed è fissato annualmente con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; se entro il 15 dicembre non viene fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato anche per l'anno successivo.
Dal 1 gennaio 2014, il tasso, sulla base dell'ultimo d.m. 12.12.2013, è stato ridotto dal 2,50% all'1%, subendo, così, un abbattimento notevolmente significativo frutto della contingenza economica e della crisi.
Il calcolo degli interessi legali viene effettuato attraverso la correlazione matematica tra il capitale, il saggio e il tempo (generalmente espresso in giorni), ricavato attraverso una semplice equazione matematica (I= CxSxT).
Oggi sono disponibili online numerose applicazioni per calcolare automaticamente il tasso di interesse: un facile strumento di calcolo degli interessi legali, è disponibile sul portale giuridico Studio Cataldi.
Il debito di interessi è debito c.d. "di valuta", in quanto dovuto in misura percentuale rispetto ad una somma di denaro determinata o determinabile, soggetto, pertanto, al principio nominalistico ex art. 1227 c.c., per cui le eventuali variazioni del valore di scambio o del potere d'acquisto della moneta non hanno alcuna incidenza sull'importo oggetto della prestazione, dovendo essere sempre corrisposta la somma originariamente indicata.
A differenza dei debiti di valuta, ai quali pertanto possono applicarsi solo gli interessi legali calcolati sull'importo originario (salvo che il creditore non provi il maggior danno), nei debiti c.d. "di valore", per i quali non risulta ancora fissato l'importo dovuto, trattandosi di obbligazioni aventi ad oggetto ab origine una prestazione diversa dal pagamento della somma di denaro (c.d. crediti illiquidi) che ne costituisce solo la traduzione in termini monetari, trova applicazione la rivalutazione monetaria, intesa come strumento per compensare la svalutazione subita dal credito dal momento della costituzione dell'obbligazione sino alla sua liquidazione, a causa delle oscillazioni del potere d'acquisto della moneta (ovvero della trasformazione da credito illiquido a liquido), affinché la stessa non si risolva in un pregiudizio per il creditore.
Un tipico esempio di debito di valore sottratto al principio nominalistico è l'obbligazione risarcitoria conseguente a un illecito, il cui oggetto primario non è il pagamento di una somma di denaro ma il ripristino della situazione precedente del danneggiato: in tal caso, il responsabile è tenuto a reintegrare il patrimonio del danneggiato mediante corresponsione di un importo che costituisce l'equivalente in termini monetari del danno arrecato, tenendo conto dei fenomeni di svalutazione monetaria nel frattempo verificatisi.
Si può affermare, pertanto, che il rischio svalutazione monetaria, nei debiti di valuta, in virtù della previsione di cui all'art. 1227 c.c., grava sul creditore, mentre nei debiti di valore, per ragioni di equità, grava sul debitore.
Per il calcolo della rivalutazione monetaria ci si avvale degli indici elaborati dall'Istat. Sulla somma così determinata, andranno calcolati anche gli interessi (è anche possibile eseguire online il calcolo congiunto di interessi e rivalutazione monetaria).
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