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martedì 5 maggio 2015

L'Italia riparte dalla terra. La Cia porta in Expo il futuro: sono i giovani agricoltori

In aumento le imprese "under 35" e l'86% degli italiani consiglierebbe a un figlio di farsi agricoltore. Ma il settore ha ancora troppi ritardi: per superarli serve integrare le filiere e restituire protagonismo ai coltivatori.

 

            La Cia-Confederazione italiana agricoltori porta in Expo il futuro dell'Italia. Lo fa nella sua prima giornata di presenza all'Esposizione universale presentando le migliaia di giovani agricoltori che aderiscono all'Agia nel corso dell'evento "Giovani: il vivaio da coltivare per far crescere il Paese" come la forza viva per costruire un cambiamento profondo nel modello economico verso uno sviluppo armonico e sostenibile.


            Non è un progetto ambizioso, ma la rappresentazione della realtà costruita con un impegno costante. Mai come in questo momento l'agricoltura è percepita dagli italiani come un valore da difendere e da rimettere al centro dello sviluppo. Lo ha rilevato uno studio del Censis in collaborazione con Cia significativamente intitolato: "Un futuro per l'Italia: perché ripartire dall'agricoltura". Ebbene bastano pochi dati estratti da questa analisi per confermare come agricoltura & giovani non siano più antitetici, ma anzi che gli "under 35" vedono nei campi un valore da tutelare e una prospettiva di lavoro.


            Del resto -come afferma il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino, che da anni si batte per un'agricoltura multifunzionale- "nelle nostre aziende, se sarà restituita centralità al settore primario e se soprattutto ci sarà una forte integrazione di filiera e una visione dell'agricoltura come motore di ricerca, come produttore di turismo, come attore della tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale del Paese, siamo in grado di creare in cinque anni oltre 100.000 posti di lavoro". Occorre ripartire da qui, ad esempio dal dato certificato dal Censis secondo il quale per il 27,2% dei nostri connazionali, e molto di più tra i giovani (41%), il legame con la dieta mediterranea e i prodotti agroalimentari di eccellenza del "made in Italy" è un fattore di orgoglio, superato soltanto dal patrimonio artistico e culturale (66,9% dei giovani). Ma non basta. Si deve considerare che di fronte al desiderio espresso da un proprio figlio o nipote di lavorare in agricoltura, ben l'85% degli italiani consiglierebbe loro di seguire la propria volontà. E che l'agricoltura sia percepita come un valore è confermato dal fatto che il 39,7% degli italiani, specialmente quelli del Centro (44,5%), è convinto che l'Italia possa superare la crisi affidandosi all'agricoltura e all'agroalimentare.


            Se questo è il contesto, guardando ai giovani si scopre che complessivamente un italiano su due (50%) coltiva un orto, e tra i giovani la quota è persino più elevata (51,2%), anche se in buona parte lo fa saltuariamente (34,9%); ancora di più sono coloro che nutrono la passione per il giardinaggio (70,1%). Ed ecco che il rapporto con l'agricoltura diventa meno sporadico e si converte in voglia di "intraprendere".


            Infatti oggi le imprese agricole "under 35" sono in crescita costante e segnano importanti mutamenti: i giovani prendono in affitto le terre per espandere le dimensioni aziendali, oltre un quarto di loro segue coltivazioni biologiche, quasi tutte le imprese "under 35" seguono protocolli di ricerca e risultano fortemente innovative anche in virtù dell'alta qualificazione degli imprenditori. Sono queste imprese il volto nuovo dell'agricoltura che è orientata alla tutela della biodiversità, al mercato, alla ricerca e all'integrazione di filiera e che poggia su un alto livello di qualificazione professionale.


            Sempre dalla ricerca Censis-Cia si evince che dal 2010 sono nate quasi 117 mila nuove attività, di cui 106 mila in ambito agricolo e quasi 11 mila in quello agroalimentare. I due settori insieme hanno rappresentato l'area di attività prescelta dal 10,1% degli imprenditori che hanno avviato un'azienda negli ultimi tre anni. E se si osserva l'anzianità delle imprese agricole e agroalimentari, la quota di quante sono nate dopo il 2010 è pari al 14,2%; mentre nell'agroalimentare il dato sale al 18,1%. Sono stati quasi 17 mila gli "under 30" che hanno avviato un'impresa agricola a partire dal 2010. Il che significa, che su 100 start-up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell'agroalimentare, il loro contributo alla creazione di nuova impresa è arrivato al 18,3%, mentre in agricoltura è stato del 14,9%. Guardando ai settori agricoli e agroalimentari in cui si sono concentrate le nuove iniziative imprenditoriali, l'86,7% ha riguardato le coltivazioni agricole, permanenti nel 30,2% dei casi e non permanenti nel 37,3%. Nel 9,7% si è trattato di nuove attività legate all'allevamento, mentre nel 9,2% di agroalimentare.


            Tra le attività più gettonate spiccano la coltivazione di cereali, legumi da granella e semi oleosi (quasi 24 mila nuove aziende, pari al 21,7% del totale delle aziende avviate in agricoltura dal 2010 in poi), coltivazione di ortaggi, meloni, radici (13 mila), coltivazione di uva (12 mila), coltivazioni miste di cereali (11 mila) coltivazioni di frutti oleosi (quasi 10 mila), coltivazioni associate all'allevamento (6 mila). Da segnalare anche le quasi 5 mila nuove imprese di produzione di prodotti di panetteria freschi e circa 3 mila di floricultura.


            In più, se tra gli imprenditori con più di 40 anni, la maggioranza (38%) ha al massimo la licenza elementare, e il 31,2% quella media, tra i giovani imprenditori agricoli il livello medio di istruzione cresce sensibilmente. Tra i 25-39enni, il 45,3% è in possesso di un diploma di scuola superiore e l'11,2% ha una laurea. E tra quanti decidono di intraprendere l'attività agricola prima dei 25 anni, ben il 65,3% ha un diploma superiore e il 5,2% è già laureato. E questo provoca un effetto trascinamento e attrazione. Tra 2009 e 2013, mentre diminuisce del 13,8% il numero degli immatricolati nelle università italiane, passato da circa 294 mila a 253 mila (41 mila in meno), aumenta di misura quello degli iscritti alle facoltà collegate al settore primario: +43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9% per scienze e tecnologie alimentari, +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali.


            E' questo il futuro che la Cia porta in Expo, convinta che dai giovani verrà la spinta a superare i troppi gap che ancora frenano il settore agricolo italiano. Perché se è vero che è percepito come un comparto d'eccellenza, è altrettanto vero che sconta ancora troppi ritardi e un fortissimo potenziale inespresso. L'Italia agricola, nel 2013, ha registrato un valore aggiunto superiore ai 30 miliardi di euro, con una quota sul valore aggiunto nazionale del 2,1%. Il volume di lavoro coinvolto nel settore è pari a 928mila occupati. E tuttavia, pur essendo quella italiana la seconda agricoltura d'Europa, lo Stivale si collocava nel 2013 "solo" al sesto posto tra i Paesi europei per volumi di esportazioni, preceduto nell'ordine dai Paesi Bassi (63 miliardi), Germania (61), Francia (55), Spagna (33) e Belgio (31). E anche se si guarda al valore che l'export agricolo e agroalimentare ha su quello complessivo delle nostre esportazioni, esistono ancora molti margini di miglioramento: se in Italia, l'export agricolo e agroalimentare pesa per il 7,7%, in Spagna si arriva al 14,1%, in Francia e Paesi Bassi al 12,6%.


            Per migliorare questa performance servono integrazioni di filiera, più dinamismo delle aziende, più valore aggiunto nelle produzioni, una visione dell'agricoltura come settore multifunzionale. Esattamente il progetto della Cia, esattamente quello che fanno i giovani imprenditori di Agia. Per questo "Giovani: il vivaio da coltivare per far crescere il Paese".



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