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lunedì 16 novembre 2015

Napoli - Segreti dinastia borbonica

Galleria borbonica nuovo percorso


       La dinastia borbonica svela i suoi segreti. Ferdinando II di Borbone nel 1853 incaricò l’arch. Enrico Alvino di costruire un percorso coperto lungo cinquecento metri per consentire il passaggio dei militari dislocati nelle caserme di Via Pace (attuale Via Domenico Morelli), largo Ferrandina e San Pasquale a Chiaia in modo da fargli raggiungere in breve tempo la Reggia in caso di attacchi e per un’eventuale via di fuga dei regnanti.
     La cavità borbonica si fa risalire al 600 e solo da qualche anno per opera di volontari guidati dallo speleologo Gianluca Minin e da Enzo de Luzio è stata resa accessibile con lavori di scavo, verifiche e pulizia.       All’ingresso di Via Grottone, nei pressi di Piazza del Plebiscito con uscita in Via Morelli è stato scoperto un altro stupefacente passaggio in uno storico palazzo di Via Monte di Dio, sede dell’Istituto di Studi Filosofici. Alla presenza del sindaco Luigi De Magistris, dell’assessore alle politiche giovanili Alessandra Clemente e da un folto gruppo di cineoperatori e giornalisti, coordinati dell’addetto stampa, Annacarla Tredici, la spettacolosa demolizione dell’ultimo diaframma. La scala di accesso è costituita da 115 gradini che partendo dal basso terminano sotto il pavimento di un appartamento privato.
      Il nuovo percorso, denominato Via delle Memorie, aperto al pubblico ad inizio anno, è stato ricavato scavando all’interno di una cisterna, arrivando all’ingresso del ricovero bellico del Palazzo Serra di Cassano, utilizzato per diverso tempo anche dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
      Il tunnel borbonico,  ribattezzato Galleria borbonica con una profondità di 15 metri sotto il livello stradale con agorà per eventi cittadini, presenta un’enorme cisterna per la raccolta delle acque, all’interno della quale è stata creata una coltivazione di funghi cornucopia dall’intenso profumo, gallerie, materiale di risulta e una vasta gamma di auto, moto e bici abbandonate intorno agli anni ’60, quando lo spazio era utilizzato come deposito di automezzi sequestrati dall’autorità giudiziaria e dal comune.
       Il cunicolo borbonico va ad aggiungersi alle altre cavità cittadine di epoche diverse, aperte ai visitatori da anni quali la Napoli Sotterranea di Via Nardones, quella di Piazza San Gaetano, la Grotta di Seiano, la Cripta neapolitana di Mergellina e ultima in ordine di tempo quella di Pianura.
     Da un calcolo approssimativo si valuta che la città invisibile formata da cisterne, acquedotti, cave di tufo e di lapillo e pozzolana, gallerie e camminamenti supera i 900 mila metri quadrati. Spesso si è parlato di utilizzare questi spazi come parcheggi, in ultimo si è azzardata l’ipotesi di riversarci dentro i rifiuti per sopperire ai gravi disagi della città in superficie.
       Fin dall’inizio della sua storia, Napoli ha avuto a disposizione quella riserva naturale cui attingere per l’edificazione di palazzi e dalla cava che corre sotto Monte Echia fu ricavato il tufo per la costruzione della Chiesa della Nunziatella. Lavorando di piccone si otteneva oltre al tufo anche l’acqua. Da molti appartamenti era possibile attingere con dei cestelli direttamente dalle cisterne scavate, il prezioso liquido. Si calcola che nel centro antico non sono meno di dodicimila i pozzi, tutti a ridosso di importanti edifici, in buona parte ricolmi di detriti e altro materiale.
       Durante la seconda guerra mondiale, il passaggio sotterraneo dove è stato possibile costruire anche un parcheggio a sette piani per trecento auto, fu adibito, come accennato a ricovero. Le pareti furono dipinte di bianco per rendere meno cupo l’ambiente, fu abbozzato un impianto elettrico, tuttora esistente e delle cabine per i vespasiani.
       Gli scavi in città risalgono a molti secoli prima di Cristo e sono costituiti da calette ipogeiche del tipo detto “a forno” ritrovate in vico Neve a Materdei, da catacombe, da passaggi pedonali, gallerie, articolatissimi acquedotti.
       Solo negli ultimi 40 anni si è staccato quel cordone ombelicale che univa le due città, ma ancora oggi il sottosuolo conserva dipinte, scolpite e graffite nelle sue viscere quelle pagine di storia, che hanno fatto grande la Napoli di superficie.
     Arduo il lavoro degli speleologi, impegnati nella rimozione dei detriti, nell’evidenziare antiche scritte dei rifugiati nella grotta nel periodo della guerra, nell’illuminazione degli ambienti, recupero e restauro di sei statue dell’epoca fascista che riproducono imperatori romani e dei mezzi sequestrati dal comune, auto e moto abbandonati per anni e testimoni di un’epoca.
       Il sottosuolo oggi, anche se in parte abbandonato, è in ogni modo una realtà storica ed archeologica e va quindi conosciuto, l’impegno di Gianluca Minin presidente dell’Associazione Borbonica Sotterranea e del vicepresidente Enzo de Luzio.

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