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mercoledì 10 agosto 2016

Iran : "Nemiche dello Stato" Amnesty denuncia nuovo giro di vite contro le attiviste per i diritti delle donne


Secondo una ricerca diffusa oggi da Amnesty International, nella prima metà del 2016 le autorità iraniane hanno intensificato la repressione contro le attiviste per i diritti delle donne, attraverso duri interrogatori e il sempre più frequente accostamento ad attività criminali delle iniziative collettive sui diritti delle donne.
L'organizzazione per i diritti umani denuncia che da gennaio una quindicina di donne sono state convocate dalle Guardie rivoluzionarie per lunghi, estenuanti interrogatori nel corso dei quali sono state minacciate d'arresto per reati contro la sicurezza nazionale. Molte di loro erano coinvolte in una campagna lanciata nell'ottobre 2015 con l'obiettivo di accrescere la rappresentanza delle donne nel parlamento che sarebbe stato eletto nel febbraio 2016.

"Il fatto che attiviste pacifiche che promuovono una maggiore partecipazione delle donne ai processi decisionali siano equiparate a nemiche dello stato è particolarmente vergognoso. Rivendicare l'uguaglianza di genere non è un reato. Chiediamo l'immediata fine di questa campagna di minacce e intimidazioni, che rappresenta un altro duro colpo ai diritti delle donne in Iran" - ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

"Invece di affrontare la preoccupante situazione dei diritti delle donne nel paese, le autorità iraniane hanno ancora una volta scelto la repressione, accusando le attiviste per i diritti delle donne di essere coinvolte in complotti orchestrati dall'Occidente e facendo dunque sì che le prassi discriminatorie contro le donne rimanessero in vigore" - ha aggiunto Mughrabi.

Convocate senza conoscerne il motivo, durante gli interrogatori le attiviste sono state ripetutamente accusate di essere spie e di colludere con "correnti basate all'estero che intendono rovesciare la Repubblica islamica". 

Secondo quanto appreso da Amnesty International, le Guardia rivoluzionarie hanno rivolto alle attiviste insulti e offese sessiste. In alcuni casi, gli interrogatori sono durati fino a otto ore, senza avvocato.

Gli interrogatori hanno riguardato in particolare due iniziative: un sito chiamato "Scuola femminista", che pubblica rapporti e commenti sulla teoria e sulla prassi femminista e sulla situazione dei diritti delle donne in Iran e nel mondo; e la Campagna per cambiare il volto maschile del Parlamento, lanciata alla vigilia delle elezioni del febbraio 2016 per incrementare la presenza delle donne nell'organo legislativo.

Le attiviste di entrambe le iniziative hanno subito pressioni per cessare o sospendere le loro attività e sono state costrette all'autocensura. Il sito "Scuola femminista" non è più aggiornato da febbraio.

Nel suo comunicato finale, la Campagna per cambiare il volto maschile del Parlamento ha spiegato come l'aver ottenuto l'aumento di cinque volte del numero delle candidate, aver rivendicato pubblicamente l'uguaglianza di genere e aver fatto i nomi dei candidati responsabili di dichiarazioni sessiste abbiano attirato l'attenzione degli organi di sicurezza e dato luogo a convocazioni, minacce, interrogatori prolungati e anche all'apertura di una nuova inchiesta per reati contro la sicurezza nazionale.

Da ultimo, il 26 luglio ha annunciato la chiusura la nota rivista "Zanan-e Emrooz" (Donne oggi)
"Le autorità iraniane non devono illudersi: intimidirle attraverso gli interrogatori e costringerle a chiudere le loro pubblicazioni non passerà inosservato" - ha sottolineato Mughrabi.

Il nuovo assalto contro le attiviste per i diritti delle donne si è manifestato nel modo più estremo con l'arresto arbitrario, avvenuto il 6 giugno, della docente irano-canadese di Antropologia Homa Hoodfar, nota da decenni per i suoi lavori accademici sulle questioni femminili. Detenuta nel carcere di Evin a Teheran, ha potuto incontrare il suo avvocato solo una volta e per un breve colloquio.

Homa Hoodfar aveva collaborato a "Donne che vivono sotto le leggi islamiche", una rete femminista internazionale che lotta per l'uguaglianza delle donne e i loro diritti nei sistemi normativi islamici.

In un'intervista rilasciata il 24 giugno, il procuratore generale di Teheran ha affermato che contro Homa Hoodfar è in corso "un'inchiesta penale" relativa alle "sue attività nel campo del femminismo e della sicurezza nazionale". 

Alcuni giorni prima, organi di stampa legati alle Guardia rivoluzionarie avevano descritto Homa Hoodfar come "l'agente iraniano di un network operativo femminista" e che la Campagna per cambiare il volto maschile del Parlamento costituiva "il più recente progetto" della docente universitaria. Inoltre, secondo questi articoli, la rete "Donne che vivono sotto le leggi islamiche" avrebbe lo scopo di "danneggiare l'ordine pubblico" e "promuovere cambiamenti socio culturali il cui obiettivo finale è rovesciare il governo senza l'uso della forza".

"Appare incredibile che le autorità iraniane paragonino a reati contro la sicurezza nazionale l'importante lavoro di Homa Hoodfar sul femminismo e i diritti delle donne nei sistemi normativi islamici. Questo preoccupante sviluppo mette in luce fino a che punto, assurdo ed estremo, le autorità iraniane siano disposte ad arrivare per ridurre al silenzio chi sfida la discriminazione di stato" - ha commentato Mughrabi.

"Le autorità iraniane devono rilasciare immediatamente e senza condizioni Homa Hoodfar e porre fine all'incessante campagna di intimidazioni contro le attiviste per i diritti delle donne" - ha concluso Mughrabi. 

                            
Roma, 10 agosto 2016 

Ulteriori informazioni
In Iran le donne sono sottoposte a forte discriminazione tanto per legge quanto nella prassi, in settori quali il matrimonio e il divorzio, la custodia dei figli, la libertà di movimento, l'impiego e l'accesso a cariche politiche. Le donne e le bambine sono insufficientemente protette contro la violenza domestica e altre forme di violenza come i matrimoni forzati e precoci e lo stupro coniugale. L'obbligo di portare il velo è fatto rispettare dalle forze di polizia e da gruppi militari che regolarmente minacciano, picchiano e arrestano le donne che non l'osservano.

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