Firenze, 15 Settembre 2016. Ieri è stato pubblicato dall'ufficio studi della Consob un ottimo rapporto sull'approccio degli italiani agli investimenti finanziari (1).
Il lavoro è veramente molto apprezzabile e descrive la realtà dei fatti.
Nel nostro piccolo, purtroppo, noi che da 15 anni abbiamo a che fare quotidianamente con gli investitori constatiamo la sostanza delle risultanze di questo studio.
Leggendo il rapporto Consob si vede, ad esempio, come solo il 6% del campione comprende correttamente la nozione di diversificazione e questo sebbene, alla fine del 2015, una famiglia su due partecipi ai mercati finanziari. Quindi abbiamo la quasi totalità di coloro che investono nei mercati finanziari i quali non sanno neppure cosa significhi diversificare e perché ciò sia così fondamentale!
Sarebbe un po' come avere la quasi totalità di cittadini alla guida del proprio automezzo che non conosce il significato delle tre luci dei semafori. Prospettiva incoraggiante, vero?
Nello studio viene ribadito, purtroppo, un dato che era già emerso da altre ricerche. Paradossalmente, maggiore è la cultura finanziaria e maggiore è la domanda di consulenza finanziaria, mentre più le persone sono ignoranti e più si affidano ad amici, colleghi, parenti o fanno da soli (in genere facendo grandi danni).
Interessante il fatto che più del 5% degli italiani che investono dichiari di avvalersi di una consulenza finanziaria indipendente. Questo è un dato certamente errato, derivante – probabilmente - dal fatto che questi investitori sono convinti di avere un consulente indipendente, mentre nella grande maggioranza dei casi si tratta di promotori finanziari che si "spacciano" per indipendenti con la "scusa" che vendono prodotti finanziari di varie società (così detti "multi-brand").
Personalmente, lavorando nel settore da molto prima che la consulenza finanziari indipendente fosse un'opzione riconosciuta dalla legge, non credo che più dell'1% degli investitori si avvalga realmente di un vero consulente finanziario indipendente (ovvero retribuito direttamente dal cliente, non dalle banche).
Il quadro generale che emerge da questa ricerca è decisamente sconsolante, ma ciò che la ricerca non dice (perché non era il suo compito, ovviamente) è quali conclusioni trarre per poter tutelare questa massa di persone.
Nelle schede di presentazione del lavoro, gli stessi autori inseriscono una frase significativa: "Le iniziative regolamentari e di policy mirate ad innalzare la protezione degli investitori possono risultare poco efficaci se non tengono in conto e non riflettono i comportamenti reali".
La realtà sotto gli occhi di tutti è che queste norme non tutelano gli investitori.
Tutti i casi così detti di "Risparmio Tradito" che periodicamente coinvolgono migliaia di risparmiatori sono lì a testimoniare chiaramente che c'è qualcosa di strutturale che non funziona nella tutela degli investitori.
Questo qualcosa è chiaramente connesso con i dati di questa ricerca.
Il problema di fondo è la scarsissima competenza degli investitori che rende totalmente inutile l'approccio vigente basato sul concetto "di fornire tutte le informazioni necessarie affinché l'investitore faccia scelte d'investimento consapevoli".
Pretendere che l'investitore faccia, grazie alle informazioni fornite dagli intermediari, scelte d'investimento consapevoli è una pia illusione.
Anche pensare di alfabetizzare una quota d'investitori consistente è una pia illusione. La realtà ci dice che gli investitori sono ignoranti per la buona ragione che esiste una quota impressionante di analfabetismo funzionale. Prima ancora di essere ignoranti finanziariamente, purtroppo, una quota impressionante d'italiani è ignorante in senso lato.
Che fare allora?
Bisogna prendere atto, come noi predichiamo inascoltati da anni, che la grande maggioranza degli investitori non è in grado di fare scelte finanziarie da soli. E' necessario che l'autorità di vigilanza sia proattiva e proponga delle scelte standard che diano una "spinta gentile (2)" (per parafrasare il famoso libro di Thaler e Sunstein) agli investitori che sanno di non sapere niente e preferirebbero affidarsi alla scelta standard proposta da un'autorità di vigilanza indipendente piuttosto che ai consigli interessati delle banche.
Naturalmente rimarrebbero coloro che intendono fare da soli, ma questi dovrebbero dimostrare, attraverso specifici esami, di avere almeno le competenze minime.
Rimarrebbero, anche coloro che intendono avvalersi di un consulente ed in questo caso dovrebbe essere il consulente ad assumersi la responsabilità legata al fatto che gli investimenti proposti siano realmente adeguati alle caratteristiche ed agli obbiettivi d'investimento dichiarati dal cliente.
Un modello di questo tipo (che abbiamo esposto in maniera meno coincisa qui: "Una riforma radicale per una vera tutela del risparmio - 3) tenderebbe anche a spingere gli investitori verso una maggiore formazione finanziaria. Rendersi conto che, per fare certe scelte d'investimento, è necessario passare un esame oppure affidarsi alle scelte standard proposte dalle autorità di vigilanza (oppure ancora rivolgersi ad un consulente) fa capire immediatamente al risparmiatore che investire non è qualcosa che si può fare a cuor leggero, proprio come guidare una macchina. Sono scelte che richiedono nozioni che vanno acquisite.
Abbiamo molto apprezzato la ricerca pubblicata dalla Consob, auspicheremmo però che prima o poi (meglio prima...) ci si decida a rivedere in modo radicale i concetti che stanno alla base dell'attuale normativa a tutela degli investitori. Poiché è chiaro come il sole che questi non funzionano.
1 - http://www.consob.it/documents/11973/287812/Report+famiglie+2016/e275d816-e38a-4c55-aa21-13703a436469
2 - http://www.aduc.it/editoriale/spinta+gentile+come+consigliare+investitori_18448.php
3 - http://www.aduc.it/editoriale/riforma+radicale+vera+tutela+risparmio_21720.php
Alessandro Pedone, resonsabile Aduc Tutela del Risparmio
Nel nostro piccolo, purtroppo, noi che da 15 anni abbiamo a che fare quotidianamente con gli investitori constatiamo la sostanza delle risultanze di questo studio.
Leggendo il rapporto Consob si vede, ad esempio, come solo il 6% del campione comprende correttamente la nozione di diversificazione e questo sebbene, alla fine del 2015, una famiglia su due partecipi ai mercati finanziari. Quindi abbiamo la quasi totalità di coloro che investono nei mercati finanziari i quali non sanno neppure cosa significhi diversificare e perché ciò sia così fondamentale!
Sarebbe un po' come avere la quasi totalità di cittadini alla guida del proprio automezzo che non conosce il significato delle tre luci dei semafori. Prospettiva incoraggiante, vero?
Nello studio viene ribadito, purtroppo, un dato che era già emerso da altre ricerche. Paradossalmente, maggiore è la cultura finanziaria e maggiore è la domanda di consulenza finanziaria, mentre più le persone sono ignoranti e più si affidano ad amici, colleghi, parenti o fanno da soli (in genere facendo grandi danni).
Interessante il fatto che più del 5% degli italiani che investono dichiari di avvalersi di una consulenza finanziaria indipendente. Questo è un dato certamente errato, derivante – probabilmente - dal fatto che questi investitori sono convinti di avere un consulente indipendente, mentre nella grande maggioranza dei casi si tratta di promotori finanziari che si "spacciano" per indipendenti con la "scusa" che vendono prodotti finanziari di varie società (così detti "multi-brand").
Personalmente, lavorando nel settore da molto prima che la consulenza finanziari indipendente fosse un'opzione riconosciuta dalla legge, non credo che più dell'1% degli investitori si avvalga realmente di un vero consulente finanziario indipendente (ovvero retribuito direttamente dal cliente, non dalle banche).
Il quadro generale che emerge da questa ricerca è decisamente sconsolante, ma ciò che la ricerca non dice (perché non era il suo compito, ovviamente) è quali conclusioni trarre per poter tutelare questa massa di persone.
Nelle schede di presentazione del lavoro, gli stessi autori inseriscono una frase significativa: "Le iniziative regolamentari e di policy mirate ad innalzare la protezione degli investitori possono risultare poco efficaci se non tengono in conto e non riflettono i comportamenti reali".
La realtà sotto gli occhi di tutti è che queste norme non tutelano gli investitori.
Tutti i casi così detti di "Risparmio Tradito" che periodicamente coinvolgono migliaia di risparmiatori sono lì a testimoniare chiaramente che c'è qualcosa di strutturale che non funziona nella tutela degli investitori.
Questo qualcosa è chiaramente connesso con i dati di questa ricerca.
Il problema di fondo è la scarsissima competenza degli investitori che rende totalmente inutile l'approccio vigente basato sul concetto "di fornire tutte le informazioni necessarie affinché l'investitore faccia scelte d'investimento consapevoli".
Pretendere che l'investitore faccia, grazie alle informazioni fornite dagli intermediari, scelte d'investimento consapevoli è una pia illusione.
Anche pensare di alfabetizzare una quota d'investitori consistente è una pia illusione. La realtà ci dice che gli investitori sono ignoranti per la buona ragione che esiste una quota impressionante di analfabetismo funzionale. Prima ancora di essere ignoranti finanziariamente, purtroppo, una quota impressionante d'italiani è ignorante in senso lato.
Che fare allora?
Bisogna prendere atto, come noi predichiamo inascoltati da anni, che la grande maggioranza degli investitori non è in grado di fare scelte finanziarie da soli. E' necessario che l'autorità di vigilanza sia proattiva e proponga delle scelte standard che diano una "spinta gentile (2)" (per parafrasare il famoso libro di Thaler e Sunstein) agli investitori che sanno di non sapere niente e preferirebbero affidarsi alla scelta standard proposta da un'autorità di vigilanza indipendente piuttosto che ai consigli interessati delle banche.
Naturalmente rimarrebbero coloro che intendono fare da soli, ma questi dovrebbero dimostrare, attraverso specifici esami, di avere almeno le competenze minime.
Rimarrebbero, anche coloro che intendono avvalersi di un consulente ed in questo caso dovrebbe essere il consulente ad assumersi la responsabilità legata al fatto che gli investimenti proposti siano realmente adeguati alle caratteristiche ed agli obbiettivi d'investimento dichiarati dal cliente.
Un modello di questo tipo (che abbiamo esposto in maniera meno coincisa qui: "Una riforma radicale per una vera tutela del risparmio - 3) tenderebbe anche a spingere gli investitori verso una maggiore formazione finanziaria. Rendersi conto che, per fare certe scelte d'investimento, è necessario passare un esame oppure affidarsi alle scelte standard proposte dalle autorità di vigilanza (oppure ancora rivolgersi ad un consulente) fa capire immediatamente al risparmiatore che investire non è qualcosa che si può fare a cuor leggero, proprio come guidare una macchina. Sono scelte che richiedono nozioni che vanno acquisite.
Abbiamo molto apprezzato la ricerca pubblicata dalla Consob, auspicheremmo però che prima o poi (meglio prima...) ci si decida a rivedere in modo radicale i concetti che stanno alla base dell'attuale normativa a tutela degli investitori. Poiché è chiaro come il sole che questi non funzionano.
1 - http://www.consob.it/
2 - http://www.aduc.it/editoriale/
3 - http://www.aduc.it/editoriale/
Alessandro Pedone, resonsabile Aduc Tutela del Risparmio
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