“Furore prende il
titolo dal grande romanzo di John Steinbeck, uscito nel 1939; leggendolo si
capisce come la crisi umana, sociale e politica di quegli anni assomiglia alla
disperazione dell’oggi. Il romanzo sociale è tale perché rimette al centro la
vita delle donne e degli uomini in carne e ossa, in questo tempo dello
spettacolo e della finzione.”
– Francesco S. Mangone
Francesco Siciliano
Mangone è nato e vive a Trebisacce sul golfo di Sibari. È stato docente nelle Medie e presso il
Liceo della sua cittadina. Ha collaborato con la redazione della rivista
letteraria “La colpa di scrivere” e successivamente nel “Fiacre n° 9”.
Per anni, come
volontario nell’associazione Passaggi, ha insegnato ai migranti ed ancora conduce un laboratorio teatrale di
giovani e anziani.
Le sue passioni sono i libri, la barca a vela, le api, ed ultimamente
l’orto e le sue coltivazioni. Ha pubblicato romanzi, raccolte di poesie e
saggi. Ricordiamo “Schnellboot s-57” (Aljon, 2009), “Jonion” (Robin Edizioni,
2011), “1961, Le vacche di Fanfani” (Robin Edizioni 2012), “Misura minore” (Pungitopo
Editrice, 2016), “Il maestro illecito” (Robin Edizioni, 2018).
Con l’associazione
culturale il Musagete di Bonifacio Vincenzi ha partecipato alle tante iniziative svolte sul territorio e
recentemente ha preso l’incarico di condurre la neo collana della casa editrice
Macabor Editore “Furore
– il romanzo sociale”. La collana è
inaugurata proprio con un romanzo di Francesco S. Mangone: “La spazzola dell’ingegnere”.
A.M.: Salve Francesco è un piacere poter dialogare
con lei per presentare ai lettori due novità della casa editrice Macabor
Editore. Partendo dalla prima: com’è nata la collaborazione con l’editore
Bonifacio Vincenzi per la creazione della collana di narrativa “Furore – il
romanzo sociale”?
Francesco S. Mangone: Grazie Alessia, con Bonifacio
Vincenzi ci conosciamo da anni, dapprima che diventasse editore. Con lui,
fondatore dell’associazione il Musagete, per anni abbiamo fatto tantissime
cose, dalla promozione del libro, serate dedicate all’arte, alla cultura, in
giro per i paesi calabro-lucani intorno al Pollino. Successivamente a gestire
la rivista letteraria “La colpa di scrivere” e in seguito con “Il fiacre n° 9”.
Anni di passione e formazione. Qualche mese fa ci siamo rivisti e gli ho
proposto di pubblicare “La spazzola dell’ingegnere”, ma di farlo in una collana
apposita, che avesse il profilo del romanzo sociale. E lui subito mi propose di
occuparmene. Così venne fuori l’idea di Furore. Prende il titolo dal grande
romanzo di John Steinbeck, uscito nel 1939; leggendolo si capisce come la crisi
umana, sociale e politica di quegli anni assomiglia alla disperazione
dell’oggi. Il romanzo sociale è tale perché rimette al centro la vita delle
donne e degli uomini in carne e ossa, in questo tempo dello spettacolo e della
finzione. All’inizio del terzo millennio, furono dati per finiti la storia e i
conflitti sociali che lacerarono il Novecento. In questa visione, anche l’opera
d’arte doveva ridursi a una questione di linguaggio, di stile. Ridurre i
contenuti a un semplice gioco letterario. Non è così. Vedi, ritornano i drammi,
gli orrori, la necessità della Storia, per capire.
A.M.: La seconda novità di cui mi piacerebbe parlare
è l’uscita del primo romanzo della collana “La spazzola dell’ingegnere”.
Francesco S. Mangone: Il titolo trova soluzione
nell’esergo di W. Benjamin. Laddove la visione storicistica vede una linearità
crescente del progresso in un determinismo teleologico, l’ingegnere Carlo
Sarracini, seguendo il filosofo tedesco, racconta (spazzola) la storia non dal
lato dei vincitori ma da quello dei perdenti, degli ultimi (di contropelo,
cioè). Nel romanzo si parla dell’inganno della fabbrica negli anni ’50 al Sud,
del suo lato oscuro, e della sottomissione dell’uomo alla “macchina” fordista,
mentre si pone la questione della nascita della dualità italiana. (L’attualità
anche in questo caso è evidente. In questi giorni, il governo sta per varare la
cosiddetta autonomia fiscale delle tre regioni più ricche d’Italia.) Si
continuano a ribadire le politiche che separano l’Italia. Nel tempo si è fatto
del Nord una macroregione ricca, sviluppata ed europea, e dell’Italia di giù
una terra di mafie, di servitù militari, mercato del lavoro; di briganti ed
emigranti. I buoni al Nord e i cattivi al Sud. Il romanzo raccoglie e struttura
questa complessità, per ricordarla. Quando lavoro a un romanzo so che è solo
una tessera di un più complesso metaromanzo. In questo modo scrivo
contemporaneamente più cose, mentre leggo e prendo appunti su altre storie e
personaggi. Impiego anni per scrivere. Da questa massa di scrittura viene fuori
il romanzo e io con loro. Vivo e cresco leggendo e scrivendo. Spesso sono i
personaggi o le maschere che mi indicano direzioni, dove andare. La scrittura è
spostare la dicibilità e la visibilità del mondo, del mio tempo.
A.M.: Il romanzo è ambientato in Calabria ma possiamo
ben affermare che racconta una realtà che si è verificata in varie regioni
d’Italia. Quel “Fare il Sud come il Nord”
è la promessa di benessere che non è stata mantenuta e “l’utopia di strada” è la soluzione comunicativa dell’ingegnere Carlo
Sarracini. “Procedere a piedi. Sentire il
corpo abitare gli spazi. Deambulare. […] Vedere d’intorno il lavoro e la cura
che ebbero gli avi.”
Francesco S. Mangone: “Fare il Sud come il Nord” è un
inganno. Una frase a effetto usata dai politici d’accatto. Non vale forzare,
imitare. Bisogna partire dalla cultura e dalle radici d’un popolo, di là si
parte per migliorare. Sapere del genius loci che accompagna le eccellenze
intime e speciali dei luoghi. Assecondare le vocazioni, mai più la speculazione
e lo sfruttamento, ma la Cura. In molti pensano che vale invece vendersi
l’anima. Sarracini viene deluso dalla fabbrica e dal consumismo che porta, così
opera quella inversione che sarebbe necessaria a noi singolarmente e
collettivamente. È un passaggio dall’io individualistico e nichilista al noi
della comunità solidale e inclusiva. Dal basso dice Sarracini, dai “giovani
innamorati dell’ambiente”. L’utopia di strada viene da sé, significa porsi
sullo stesso piano dell’altro da noi. S’incontra l’altro non solo per aiutarlo,
ma anche per imparare da lui.
A.M.: Carlo Sarracini è solito dire: “La morte, quando Nostro Signore vorrà, non
mi troverà di certo indifferente e in ozio… ma nel pieno del mio essere
cristiano”. Quando l’esser cristiano di Carlo è divenuto “un soggetto storico pronto ad accogliere il
messia, la rivoluzione”?
Francesco S. Mangone: Non mi sento un credente, ma
leggendo i Vangeli ho compreso la carica rivoluzionaria che c’è ancora in
quegli Annunci. Mi hanno colpito i riferimenti al corpo degli ultimi. Corpi
ammalati, folli, impazziti e piagati dalla miseria, e così via. Da quella
prassi, credo, Cristo abbia imparato ad amare la fragilità dell’uomo. Ne è
caduto follemente in amore. “Il maestro illecito” (Robin Edizioni), il romanzo
precedente uscito la scorsa estate, parla del maestro Rolando dell’A, lui,
laico reduce dal Maggio ’68, che insegna italiano ai migranti tra la miseria e
la violenza nella Piana di Sibari. In quel caso le premesse sono differenti, ma
l’umanità messa in campo identica. Per Sarracini, di cultura e formazione
cattolica, è essenziale la concordanza tra lettura dei vangeli e la propria
vita. Ma attenzione, non è un mero formalismo il suo: apre qualità nuove di
resistenza. Sarracini ha imparato che solo quando il tempo diventa storia e
l’anima si concilia con il corpo si apre la possibilità d’una inversione. Lui
l’ha sperimentato. Curiosamente Sarracini “incontra”, senza saperlo, Walter
Benjamin ed Ernest Bloch.
A.M.: “La spazzola dell’ingegnere” porta avanti una
tematica calda anche se inizia il suo racconto nel 1990 quando la motonave
Jolly Rosso si è insabbiata in zona Formiciche. Infatti, anche se il processo
che indaga sull’avvelenamento della vallata del fiume Oliva è stato formalmente
chiuso nel 2017, recentemente è stato riesumato in Corte d’Appello d’Assise a
Catanzaro. Forse quella sentenza di due anni fa che proclamava l’assoluzione di
tutti gli indagati è stato un ulteriore maltrattamento dei calabresi? C’è
possibilità che la giustizia corra il suo corso? E com’è la situazione odierna
visto il meteo incerto di questa primavera?
Francesco S. Mangone: Le cosiddette “navi a perdere”,
“carrette del mare” o “navi dei veleni” sono l’argomento d’un altro mio romanzo
“Jonion” del 2008. Dentro questa storia c’è l’alleanza tra malavita del Sud e
industriali del Nord. Sono temi scandalosi, difficili da accettare. Oggi questa
storia sembra finita. Ma si sa che le nuove discariche sono diventate zone del
mondo a bassa capacità di controllo democratico. Sono vicende che nei nostri
media vecchi e nuovi, restano sfrangiate, sempre nuove. Occasione di
chiacchiericcio, con noi a stupirci e impotenti. Ecco il limite del giornalismo
o dei talk show televisivi. Restano frammenti e mai che si riesce a mostrare la
razionalità che presente in noi li fa accadere (Sì, perché noi non siamo
innocenti). È diffusa invece da qualche tempo una sorta d’irrazionalità che fa
sembrare l’accadere come colpa d’un destino cinico e baro. In cui forse la magia
o le affezioni salvifiche sono demandate all’uomo solo al comando, che ci salva
e libera. A complicare le cose le sentenze della magistratura, che anch’esse
arrivano in ritardo oppure si contraddicono a secondo dei livelli di giudizio.
Intercorre una crisi più generale che è quella della verità. Sembrerebbe che la
stessa Magistratura resti nel guado d’un mutamento del diritto e che non riesca
a produrre chiarezza sui ciò che bisogna intendere per “giustizia”. Sarebbe
necessario perciò ricostruire, affidarsi a un nuovo pensiero critico,
restituendo alla ragione e alla cultura il primato che ora sembrano aver perso.
Ma si sa che poco può fare la magistratura se deve supplire la politica e la
coscienza della gente.
A.M.: Ma oltre al Cesio 137, nel romanzo si racconta
della diossina TCDD che, il 10 luglio 1976, fuoriuscì dall’azienda ICMESA di
Meda ed investì una vasta area dei comuni adiacenti toccando particolarmente
Seveso e delle 40 tonnellate di MIC (isocianato di metile) della multinazionale
statunitense Union Carbide (oggi proprietà di Dow Chemical) che, il 3 dicembre
1984 nella città indiana di Bhopal, provocarono la morte di un numero ancora
non chiaro di vittime (alcune agenzie governative parlano di 15.000). Quando si
avrà modo di punire i colpevoli?
Francesco S. Mangone: Di questi disastri parla il
romanzo. Le cose dal mio punto di vista non sono cambiate. Il Cesio 137, la
diossina e i tanti veleni che a profusione immettiamo nei nostri circuiti
alimentari e di vita restano conosciuti e chi avrebbe il compito di intervenire
non lo fa. Sarracini con il giovane Greg Malari sono protagonisti
nell’informazione e controinformazione su queste sciagure. Ma ad entrambi tocca
fare un lavoro oscuro nell’indifferenza. Come il romanzo, Sarracini non si
piega all’ignavia. Col tempo diventa una sorta di megafono della verità, dal
basso. Andando per le strade a realizzare l’utopia vera, non quella minestra
cucinata dall’alto. Così si ispira al Cristo, ma anche allo stesso Mao della
lunga marcia. Ma la crisi attuale è qualcosa di molto più grave e decisiva. Le
multinazionali della chimica hanno potere immenso e producono qualsiasi cosa
pur di ottenere il profitto del capitale investito. Non ci resta che insistere.
Sapendo che oltre c’è l’indifferenza. La cosa folle del pensiero corrente è che
nelle crisi ci si rimanda sempre al futuro, alla tecnica. E con la tecnologia e
gli algoritmi si sostituiscono le scelte umane e si indeboliscono le sue
capacità di giudizio. L’impotenza di punire i colpevoli corrisponde all’impossibilità
di risalire e giungere al dominus d’una tale razionalità. Non si tratta di
singole persone, dunque, ma d’un sistema logico astratto che tutto tiene:
potenti e deboli, vittime e carnefici. S’intreccia il dominio ferreo delle
élite finanziarie ai poteri vasti delle multinazionali: il pericolo è per la
stessa democrazia e come l’abbiamo conosciuta e realizzata dal dopoguerra a
oggi.
A.M.: Quanto la gravosa questione ambientale è
sentita dalle persone? Oppure si è ancora in uno stato di alienazione tale da
non preoccuparsi perché si demanda questo problema foriero di morte alle genti
future non riflettendo sul semplice fatto che le “genti future” sono già qui e
siamo “noi del presente”?
Francesco S. Mangone: Si continua a dare segnali
contraddittori. Ci si dice che la colpa della crisi è il livello alto di vita
che abbiamo condotto, e dall’altro ci si invita a consumare, con i Governi a
promettere sviluppo. Si parla di Green Economy e si continua usare le energie
fossili e dare licenze alle multinazionali del petrolio di perforare coste,
mari e fragili territori. È un miserabile spettacolo, mentre si invoca l’uomo
forte per colpire i più poveri, i migranti, le famiglie quali responsabile del
disordine generale. A fare da grancassa i media che puntano sulle emozioni,
l’irrazionale e lo svuotamento del reale, senza andare alle radici del male.
Sarebbe necessario una visione antropologica intelligente e positiva per
tentare una presa di coscienza. L’illegalità, le mafie, la corruzione, il
disprezzo e la solitudine sembrano essere le truppe cammellate del sistema. La
cancrena che si attacca e lentamente vince. Carlo Sarracini, in un discorso a
Cetraro, la bella città sul Tirreno calabrese, parlando della nave Kunskj
affondata dalla ‘ndrangheta locale, per sollevare i cittadini, giunge ad usare
toni apocalittici sulla fine del pianeta, ma serve a poco.
A.M.: Ci sono in programma presentazioni del romanzo
“La spazzola dell’ingegnere”?
Francesco S. Mangone: Ci saranno certamente delle
presentazioni nei mesi a seguire, ma avremo modo di precisarlo meglio quanto
prima. Presso il sito della casa editrice informeremo chi sarà interessato.
A.M.: È presto per chiedere un’anticipazione sul
secondo romanzo che sarà pubblicato nella nuova collana?
Francesco S. Mangone: Bè, Sì. Abbiamo delle idee, ma è
ancora presto per decidere. La nostra intenzione è farla diventare un punto di
riferimento per scrittori che hanno in mente la storia e la lettura del
presente come storia. Mostrare lo scarto tra ideologia e vita naturale. Usando
lingua e forma non in se stesse, ma per tentare una diversa rappresentazione
della realtà. Approfittiamo perciò dell’occasione che ci concede la rivista per
invitare quanti vorranno di inviare i loro manoscritti.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Francesco S. Mangone: Essendo il romanzo in un certo
senso sotto l’egida di Benjamin, ho pensato di salutarla citando da un pensiero
comune Sarracini-Benjamin: “Ogni nostra singola azione ha il ritmo della
natura messianica, perché partecipa e anticipa il regno di Dio, perciò bisogna
operare come se il Messia ci fosse da presso.”
A.M.: Francesco ringrazio per la sincerità delle sue
parole, è complesso trattare alcune tematiche, perché è complesso interessarsi
di ciò che accade – che noi uomini facciamo accadere −. Per questo motivo ho il
piacere ed il dovere di sottolineare in chiusura una sua bellissima asserzione
che sale come grido disperato pregno di coscienza: “noi non siamo innocenti”.
Saluto con il versetto 17 del Vangelo di Tommaso: “Gesù disse: − Gli uomini
certamente credono che io sia venuto a portare la pace nel mondo, ed essi non
sanno che io sono venuto a portare sulla terra le discordie, il fuoco, la
spada, la guerra. Infatti saranno cinque in casa e si schiereranno tre contro
due e due contro tre, padre contro figlio e figlio contro padre, e si leveranno
come solitari.”
Written by Alessia Mocci
Info
Sito Macabor Editore
http://www.macaboreditore.it/home/
Acquista La spazzola dell’ingegnere
http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-products-listing/product/81-la-spazzola-dell%E2%80%99ingegnere
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/07/01/intervista-di-alessia-mocci-a-francesco-s-mangone-vi-presentiamo-la-spazzola-dellingegnere/
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