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martedì 9 marzo 2021

Intervista di Alessia Mocci a Zoe Tami Kirsten: “Trycia”, avvincente metafora del mondo sulle ali della scrittura

“Lo sceriffo sapeva qualcosa, che presumeva dovesse riguardare Trycia, che fino ad allora aveva tenuto nascosto a Robert per timore che lui potesse agire d’impulso, compromettendo l’indagine. Gli agenti della squadra che aveva mandato sul luogo dell’incidente lo avevano informato subito di aver trovato i segni delle ruote di una motocicletta impresse nella terra, oltre il ciglio della strada, proprio accanto all’auto guasta di Robert.” – “Trycia – Orrore a Tower’s Bridge”

Zoe Tami Kirsten è nata nel 1991 negli USA. Dopo aver brillantemente concluso gli studi universitari in Storia contemporanea e Letterature moderne comparate, da circa due anni e mezzo vive in Italia. 

Ha lavorato prima come correttrice di bozze poi come redattrice e traduttrice per varie case editrici statunitensi e, per un breve periodo, anche nel Regno Unito.

“Trycia – Orrore a Tower’s Bridge” è il suo primo romanzo, edito a gennaio 2021 dalla casa editrice SensoInverso edizioni nella collana AcquaFragile. Una storia di intrecci, una donna scomparsa, un gruppo sociale che vortica seguendo i propri moventi, morti violente, ambiguità, corruzione e tutti quei meccanismi che deturpano l’esistenza: “Trycia – Orrore a Tower’s Bridge” è un giallo-thriller che si diverte a cambiare registro letterario per mostrare quanto il linguaggio possa e debba manifestarsi come “creazione”, libera immaginazione; capacità di astrazione, direbbero alcuni. 

Zoe Tami Kirsten, in questa intervista, ha presentato la sua opera narrativa e ha motivato la scelta di non mostrare il volto come autrice. 


A.M.: Buongiorno Zoe, la ringrazio per la disponibilità che ha mostrato per questa nostra intervista e mi complimento per la recente pubblicazione “Trycia – Orrore a Tower’s Bridge”. Per iniziare mi piacerebbe discutere sulla scelta dell’anonimato. Perché un’autrice (ed un autore) sceglie di pubblicare con un nome d’arte? 

Zoe Tami Kirsten: Buongiorno Alessia, la ringrazio anch’io per la sua attenzione e per i complimenti che spero di poter meritare. E la ringrazio anche per questa bella domanda! In realtà, non so perché una donna, autrice, oggi, possa scegliere di pubblicare con un nome d’arte. Posso fare delle ipotesi, ma mi riesce ancora più difficile mettermi nei panni di un autore uomo. In ogni caso, come lei sa il mio non è un nome d’arte: Zoe Tami Kirsten è il mio vero nome. La mia richiesta di discrezione non riguarda il mio nome ma notizie della mia vita, che non voglio pubblicizzare, come anche della mia fisionomia, se non quelle che sono esposte sul retro di copertina del libro: sono una giovane scrittrice americana che vive in Italia... Per tornare alle ragioni dell’anonimato in letteratura, i casi sono tanti, così mi vengono in mente Louisa May Alcott e Stephen King miei grandissimi connazionali e scrittori di epoche differenti e lontane tra loro che, per alcuni libri hanno usato un altro nome... Se ci penso, credo che vi siano varie motivazioni alla base del desiderio di celare il proprio nome: di solito, ma questo vale solo per noi donne, si tratta di esistenze vissute in società retrograde (ma parliamo forse di un passato ormai remoto) nelle quali alle donne non era concessa la libertà di scrivere libri, considerando che quelle donne spesso erano ostacolate anche nell’istruirsi; in altre situazioni, si tratta di donne e di uomini che hanno vissuto in società che non consentivano le manifestazioni di un pensiero divergente da quello ufficiale se non mantenendo la segretezza sull’identità dell’autore. La storia ci dice che gli uomini non avevano motivazioni di ‘genere’ per cercare l’anonimato, ma solo ideologiche (o, altre volte, del tutto personali, come per Alberto Moravia il cui vero cognome non è appunto Moravia ma Pincherle). Per le donne, invece, come sempre, è stato tutto più difficile (in qualsiasi ambito della vita sociale, politica e culturale): per questo, molte scrittrici prima che il proprio lavoro fosse ufficialmente riconosciuto per il suo valore hanno dovuto utilizzare nomi d’arte, a causa dei pesanti pregiudizi della società maschilista e patriarcale in cui hanno vissuto. Vorrei sottolineare, però, che in realtà, le grandi donne, quelle che hanno contribuito alla crescita collettiva non sono soltanto le donne diventate poi famose, ma sono quelle ben più numerose e allo stesso modo importanti che non si nominano mai perché ancor oggi sono perfette sconosciute, in ogni tempo e in ogni luogo, ma alle quali dobbiamo molto, tutti, perché sono queste ultime, con i propri gesti quotidiani di silenziosa ribellione a un ordine precostituito oppure con la loro efficace e ordinata presenza che, nei secoli, ci hanno rese consapevoli dei nostri diritti. Ma non voglio sembrare così radicale, non lo sono affatto!: io amo la vita in tutte le sue sfumature, e so che è tutto molto naturale e che – abbandonando l’ambito lavorativo o politico – i rapporti interpersonali tra donna e uomo non dovrebbero essere governati da rivendicazioni di ‘genere’ né da una parte né dall’altra, altrimenti, seppure nella consapevolezza delle nostre nature, non parliamo d’amore ma di qualcos’altro. Certo, per chi crede nell’amore… io sì, ci credo!


A.M.: Troviamo come incipit del libro una bellissima citazione tratta da “Lezioni americane” di Italo Calvino: “Sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”. Ho riportato la citazione in prosa, mentre sul libro è in versi, sarebbe interessante sapere se è stata lei a metterla in versi – con tagli sagaci – oppure se è stata una scelta del suo editore. La citazione, comunque, richiamando l’importanza del linguaggio, sembra invitare anche a prestare attenzione allo stile di scrittura che lei ha utilizzato nel libro. È così?  

Zoe Tami Kirsten: Come lei ha ben intuito non è un caso l’inserimento all’inizio del libro di quella frase di Italo Calvino: io adoro Calvino, conosciuto e molto apprezzato, e le sue opere studiate in diversi importanti atenei nel mondo. Anch’io l’ho conosciuto studiandolo all’università, negli USA. Così, ho trovato che quella particolare citazione potesse indicare uno degli aspetti più importanti del mio libro. Penso, infatti, che anche oggi ci troviamo nella situazione descritta in quei pochi righi dallo Scrittore italiano: la malattia del mondo contemporaneo non poteva non colpire anche la parola e il linguaggio con un’epidemia pestilenziale che, poi, non per un puro caso, credo, coincide in questo periodo con un’altra virulenta pandemia che sembra proprio giungere come un corollario all’attuale perdita della nostra capacità di comunicare. Oggi siamo, mi sembra, in un tempo in cui l’incomunicabilità è imperante (la medesima situazione si è verificata nei primi decenni del Novecento: ho in mente Pirandello, per esempio) e si manifesta anche nell’uso approssimativo del linguaggio. Si tratta forse di un dato ricorrente ad ogni inizio di un nuovo millennio? Anche all’inizio dell’Anno Mille i popoli erano ammutoliti: si avvertiva un cambiamento di cui non si conosceva ancora il contenuto né la portata… Anche oggi, mi sembra, stiamo vivendo in un clima di cambiamento davvero profondo. L’intuizione di Calvino, che risale alla metà degli anni ’80 del Novecento, è quella per cui è necessario che il linguaggio metta le ali, così come deve farlo il pensiero e che si smetta di ridurre il linguaggio alla semplice urgenza del comunicare che oggi produce spesso, aggiungo io, il degrado della lingua parlata e scritta, anche letteraria. Come dice lui stesso, lo stile e il pensiero devono, invece, accordarsi a «una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte». Scrittura come conoscenza. Io, con umiltà, ho cercato di rispettare questi che ritengo veri e propri insegnamenti per chiunque voglia prendere consapevolezza della scrittura nella sua funzione comunicativa e in quella letteraria. Ho utilizzato per questa ragione, nella narrazione della storia di Trycia, diversi, molteplici registri linguistici, per tentare di corrispondere, infine, anche all’ultima raccomandazione di Calvino: valorizzare – di fronte alla mortificante approssimazione odierna nell’uso del linguaggio – la ‘capacità immaginifica’ della parola (altrimenti si è in assenza di una visione). Riguardo alla forma con la quale è stata inserita la citazione nella prima pagina del libro, è stata decisa congiuntamente da me e dall’Editore, SensoInverso, un editore molto competente e brillante. Infine, voglio sottolineare che sono molto grata alla traduttrice Costanza D’Alletra che mi ha aiutato con maestria a restituire in lingua italiana (nonostante io conosca abbastanza bene la vostra lingua madre) tutte quelle più piccole sfumature delle parole essenziali alla scrittura di questo romanzo. E anche riguardo a questa intervista! 



A.M.: Tower’s Bridge, laddove è ambientato il romanzo, non può che far venire in mente il famoso ponte mobile situato sul Tamigi. Come mai ha scelto proprio questa denominazione? 

Zoe Tami Kirsten: Perché volevo richiamasse solidità e stravaganza: quelle due torri centrali del Tower Bridge sono straordinarie, secondo me, nell’accostare con eleganza il volume massiccio dei bastioni con la leggerezza delle loro guglie, nello stile vittoriano… Quel ponte, per la sua particolare fattura ha anche il pregio di far scattare l’immaginazione, la visione, che è quello che anche mi interessava… non è un caso credo che proprio questa sua particolare forma, con quella passerella sopraelevata, abbia convinto alcuni intrepidi personaggi (ma questi episodi non hanno a che fare col libro, sono eventi realmente accaduti, a Londra) a passare pericolosamente in aereo proprio nel mezzo del ponte!… un’evoluzione liberatrice che è anche, un po’, come un mettere le ali al pensiero, no? Anche quel ponte è una metafora: ricorda il personaggio del professore nel film Dead Poets Society che in Italia è noto come “L’attimo fuggente”, interpretato dal bravissimo e compianto Robin Williams?… Il suo gesto di salire in piedi sulla cattedra e di invitare i suoi studenti a fare la stessa cosa, significa proprio sollecitare a guardare il mondo da un’altra prospettiva, così come può fare il linguaggio quando scopriamo che si può aprire in molteplici direzioni, e ci eleva, sulle sue ali…


A.M.: Nel primo capitolo del romanzo si presentano Robert e Brandon, mentre Trycia compare nel secondo capitolo o forse dovrei dire “scompare”… 

Zoe Tami Kirsten: In realtà, Trycia compare e scompare fin dai primi dieci righi del romanzo. Nell’incipit, Robert, suo marito, la lascia nell’auto in panne, in mezzo ad una strada di campagna, mentre lui va a cercare aiuto…  Fino a questo momento la donna è una presenza anonima, poi apprenderemo che si chiama Trycia e che di lei si sono perdute le tracce misteriosamente. Ho deciso così di portare subito il lettore in medias res, come si dice, nel vivo degli eventi. Non preparo gradualmente il lettore a questa strana sparizione ma lo porto immediatamente di fronte al fatto compiuto e alle conseguenze che esso provoca, nei comportamenti del marito, l’avvocato Robert Dalyne, e di tutti gli altri personaggi del libro che ci seguiranno fino alla fine della storia. Come lo stesso Brandon, un umile agricoltore che, però, proprio per non cadere in un’abusata convenzione, non descrivo come la figura innocente ritratta da certa letteratura di maniera. Piuttosto come una delle tante vittime dell’ambiente perverso in cui vivono i personaggi della narrazione. 


A.M.: Verso metà romanzo leggiamo: “Ma quanti altri roghi, sinistri roghi nella Storia!… E quante libbre di carne l’intervento di un giudice da pantomima non ha potuto evitare che fossero smembrate! E quanto è finito in cenere nel mondo senza aver ricevuto neppure… il privilegio del genio letterario?!... Oh! L’elenco è lungo, e lugubre… in epoca contemporanea, non solo noi Ebrei, Marystella… prima ancora, ma dimenticato da tutti, il genocidio degli Armeni… e poi quello degli Ucraini dell’Holodomor, e dei Cambogiani… carneficine ovunque… nel Bengala e ancora nel Biafra, nel Rwanda e il massacro dei Musulmani Bosniaci a Srebrenica… e le violenze indicibili perpetrate contro le loro donne, per quella che i persecutori assassini chiamarono pulizia etnica… e in Sudan, nel Darfur… o in Somalia e ancor prima la caccia spietata a Giuliani, Istriani, Dalmati… le foibe… e giunge fino ad oggi… e sempre vite umane… e… libri…” È il professor Joseph Loëwenthâmm che spiega a Marystella i roghi di libri e di esseri umani, all’interno di una storia che scopriamo molto ben articolata nel presentarci, seppure nella forma di un avvincente romanzo, eventi reali che cambiano le nostre vite… Chi sono questi due personaggi? 

Zoe Tami Kirsten: Loëwenthâmm è un anziano professore che ha subìto esperienze di una crudeltà assoluta ed è uno dei docenti universitari di Marystella alla quale racconta la sua storia. Ma è soprattutto un uomo che reagisce con dignità e fermezza di fronte alle malvagità del mondo, anche di quelle più attuali delle quali pure scrivo nel libro, perché è la storia che stiamo vivendo tutti... come del povero Giulio Regeni, barbaramente assassinato, e Patrick Zaky detenuto in carcere senza ragione, e dei quali non dobbiamo mai dimenticarci perché quelle vicende dolorosissime ci appartengono più di quanto si possa pensare, e del terrorismo… Loëwenthâmm richiama al significato dell’unità indissolubile tra Uomo e Libro, ed è il richiamo alla coscienza di ogni essere umano, come dice Borges… Marystella… non posso dire, qui, chi è Marystella, perché nella narrazione non si scopre subito... ma ha un ruolo primario nella vicenda. In realtà, poi, nessuno dei personaggi ha una funzione secondaria: tutte le loro vicende si intrecciano, sono parte di un disegno misterioso, in una metafora del mondo. Posso dire che Marystella è una giovane donna che affronta un percorso di formazione tra esperienze di diverso tipo. Ma il personaggio più complesso è Trycia, lei è l’eroina (positiva? Negativa?...) della quale però non posso aggiungere altro perché, come per Marystella, è bello scoprirla nelle pagine. Non voglio dire altro se non che la storia pretende che si presti attenzione anche a come è stata scritta, ai significati che spesso si celano nelle parole quando non si dà ad esse il senso che hanno, come per esempio anche all’intervento, nel libro, dell’umorismo che, in fondo, permea tutto il libro, un umorismo a volte amaro, a volte dirompente. Intorno alla narrazione degli accadimenti che riguardano Trycia, poi, si articolano, intrecciandovisi, appunto, altre due vicende che sono proprio ‘storie nella storia’.    


A.M.: Fra le pagine di “Trycia - Orrore a Tower’s Bridge” scorriamo il nome di tantissimi grandi autori come Jorge Luis Borges, William Shakespeare, Pablo Neruda, Julio Cortázar, Gabriel Garcia Márquez, etc. Sono questi gli autori che hanno sostato nel suo comodino e che le hanno fatto compagnia in questo viaggio chiamato vita? 

Zoe Tami Kirsten: Quelli che lei cita sono grandissimi scrittori che, credo, chiunque ami i libri abbia letto; sono classici della letteratura mondiale che non possono mancare in nessuna biblioteca, neanche nella mia, insieme, però a tanti tanti altri, tra i quali molti illustri italiani, ma non solo di epoca contemporanea o moderna. Io poi sono curiosa di natura e quindi leggo molto, di tutto. Io, Alessia, sono qui in Italia, da due anni e mezzo circa, e mi sto accorgendo che anche le mie letture di scrittori e uomini di cultura italiani, condotte prima da studentessa e poi da appassionata di letteratura, mi porgono visioni e interpretazioni del mondo che mi nutrono letteralmente di bellezza. E di conoscenza. Scrivere, in questo senso, per me è anche un omaggio a tutti questi grandi intellettuali che mi hanno dato il privilegio di conoscere le loro opere, i loro libri (anche per questo nella storia si accenna alla sciagura dell’incendio dei libri…). 


A.M.: Salutiamoci con una citazione… 

Zoe Tami Kirsten: D’accordo, però, considerato che sarebbe davvero impossibile eleggere un solo autore a questo compito, la citazione la traggo dal mio libro, che è anche il mio primo romanzo! Che spero possa piacere ai lettori che con la loro presenza danno un senso alla nostra esistenza di scrittrici:

«(…). Invaso da una sleale e immensa malinconia, chiedersi dove la sua donna fosse finita era come domandarsi in quale luogo lui stesso si fosse nascosto, dove avessero abbandonato la propria anima, dove fosse la sua dimora nella quale si poteva pensare che sopravvivesse se ora era lei, l’anima, a interpellarlo chiedendogli di rivelarle la ragione ultima dell’inquietudine che lo attanagliava. (…)»

(da “Trycia, orrore a Tower’s Bridge”, di Zoe Tami Kirsten, pagg. 98-99, SensoInverso edizioni, 2021).


A.M.: Zoe la ringrazio per l’attenzione con la quale ha voluto presentare il suo romanzo e per le riflessioni sulla società, concordo con lei sull’importanza del superamento del concetto di genere per riuscire a vedere il mondo abitato da esseri viventi, ognuno con diritto di vita e di manifestazione del sé. A tal proposito la saluto con l’Epigramma del ventunesimo Emblema dell’Atalanta Fugiens di Michael Maier: “Il maschio e la femmina divengano per te un cerchio/ Da cui sorga il quadrato dai lati uguali./ Trai da ciò un triangolo, che in ogni parte/ Si muti poi in una sfera: allora la Pietra nascerà./ Se cosa tanto facil non subito afferra la tua mente,/ Pensa alla dottrina del Geometra, e tutto saprai.”


Written by Alessia Mocci 


Info 

Acquista “Trycia – Orrore a Tower’s Bridge”

http://www.edizionisensoinverso.it/catalogo_acquafragile_trycia.htm


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/03/05/intervista-di-alessia-mocci-a-zoe-tami-kirsten-trycia-avvincente-metafora-del-mondo-sulle-ali-della-scrittura/


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