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lunedì 4 luglio 2005

Un nuovo modello di sviluppo per un futuro sostenibile per l’umanità e per il Pianeta

Secondo la definizione contenuta nel Rapporto conclusivo della Commissione Brundtland del 1987 e ripresa dalla Conferenza di Rio de Janeiro, per sviluppo sostenibile si intende lo sviluppo che soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare i loro. I 3 principali indicatori che permettono di valutare se un processo di sviluppo sia sostenibile sono l’uso delle risorse rinnovabili, delle risorse non rinnovabili e i livelli di inquinamento. Per quanto riguarda le risorse rinnovabili, i tassi di consumo non devono superare i tassi di rigenerazione. Per esempio, la raccolta di legname è sostenibile solo se la quantità di alberi abbattuti non supera quella rimpiazzata naturalmente o artificialmente. Relativamente alle risorse non rinnovabili, i tassi di consumo non devono superare i tassi di sviluppo di risorse sostitutive rinnovabili. Il che significa che se si consuma una certa quantità di combustibile non rinnovabile occorre investire in impianti ad energia rinnovabile in modo da ottenere una quantità di energia rinnovabile equivalente a quella non rinnovabile che è stata persa per sempre. Per quanto riguarda, infine, il tasso d’inquinamento, i tassi di emissione degli agenti inquinanti non devono superare la capacità di assorbimento e rigenerazione da parte dell’ambiente. In questo ambito diviene assolutamente strategica ad esempio, una corretta gestione del ciclo dei rifiuti che deve puntare sul riciclaggio dei materiali e non andare a gravare sui sistemi naturali. Cambiare il modello di sviluppo tradizionale, ispirato al criterio della crescita illimitata, in favore di uno sviluppo sostenibile non comporta una rinuncia a priori alla crescita, ma implica semplicemente che si misuri il benessere non soltanto con il criterio del profitto.
Da questo punto di vista diventa fondamentale il discorso del risparmio e delle fonti energetiche rinnovabili.
Il problema energetico è strettamente correlato alla tutela dell’ambiente per molte ragioni: perché per produrre energia si consumano grandi quantitativi di risorse ambientali; perché le fonti più utilizzate per produrre energia sono quelle fossili come il petrolio e il carbone, altamente inquinanti e responsabili dell’effetto serra e dei conseguenti mutamenti climatici.
Non solo, è divenuto ormai inaccettabile continuare ad ignorare la responsabilità che i paesi del nord del mondo hanno nei confronti di quelli del Sud. Il modello di sviluppo e i consumi energetici imposti dal nostro stile di vita, infatti, hanno le ricadute ambientali più catastrofiche proprio nella parte del pianeta più disagiata.
Si calcola che se tutti quanti si comportassero come un cittadino di un Paese ad alto reddito ci vorrebbero altri 2,6 pianeti per soddisfare le necessità dell’umanità.
Oggi più che mai, l'accettazione di misure incisive per curare la febbre del pianeta, mette tutti davanti alla necessità di individuare strategie per attivare processi di sostenibilità energetica.
Un primo passo importantissimo in questa direzione, si è avuto con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, attraverso il quale i Governi di molti paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di CO2 e dei gas climalteranti, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
La strada da intraprendere con urgenza, per fronteggiare questa situazione, è quella della riduzione dei consumi e dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili che hanno la caratteristica di avere emissioni zero di sostanze inquinanti e di non essere esauribili.
Ma anche i singoli cittadini possono fare molto ed essere coinvolti in questo processo virtuoso adottando una serie di accorgimenti per consumi energetici più sostenibili.

Andrea Pietrarota

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