C’è chi dice che sia troppo tardi, chi finge che il problema non esista, chi continua a terrorizzarci con il presagio di imminenti catastrofi, chi sdrammatizza e chi ne sa troppo poco. C’è, soprattutto, chi vorrebbe fare qualcosa ma non sa come, sviato da un’informazione incompleta, parziale e troppo spesso asservita all’economia e ai fantomatici “poteri forti”.
È a questi ultimi, forse, che noi ambientalisti dovremmo rivolgerci nei nostri “lucidi deliri” da salvatori del mondo e della patria. Senza eccessiva enfasi e senza pretendere di essere i detentori della verità assoluta, a questi nostri “compagni d’avventura” dovremmo semplicemente far capire che non c’è nessuno da convincere a “fare qualcosa” se non noi stessi, ciascuno di noi, tutti quelli che vorrebbero fare qualcosa ma non sanno cosa. Perché di cose da fare ce ne sono tante e, molto spesso, sono più facili di quanto non saremmo propensi a credere.
Esiste, ad esempio (e pochi lo sanno), un indice per calcolare quale sia il rapporto tra i nostri consumi reali e quelli in linea con un progresso sostenibile; non è un indice esatto ed inconfutabile, ma è sicuramente un parametro che potrebbe e dovrebbe aprirci un po’ gli occhi. Quel parametro è la cosiddetta “impronta ecologica”, ovvero quel “numerino” che, a fronte di un indice di “biocapacità media mondiale” di 1.9 ettari pro capite (che scende ad 1.7 se si tiene conto della necessità di mantenere un livello accettabile di biodiversità), anno dopo anno ci dice qual è il consumo di ciascun popolo rispetto alla popolazione ed alle disponibilità del proprio territorio. Bene, secondo una stima del 1999 (più o meno confermata dalle successive sino ad oggi) la nostra Italia ha una impronta ecologica (ecological footprint) pari a 4.2, a fronte di una capacità biologica (biological capacity) di 1.3 ettari pro capite, con un deficit ecologico (ecological deficit) di 2.9, il che significa che la nostra popolazione sta consumando oggi più di “3 italie”!
E non siamo neppure i consumatori più accaniti del globo… se escludiamo Singapore e Hong Kong, i cui dati sono decisamente fuori parametro, gli USA hanno un deficit ecologico di 3.6, a fronte di un territorio immenso, il Belgio addirittura di 3.7 e prima di noi, nella classifica dei “magnaccioni” ci sono almeno altre 6 nazioni; ma se riflettiamo sul dato che emerge dai cosiddetti paesi in via di sviluppo (Egitto 1.0, Nigeria 0.9, Etiopia ed India 0.3, e la media mondiale di deficit pari a 0.7) ci rendiamo chiaramente conto che stiamo mangiando e consumando anche la terra degli altri, oltre alla nostra e, peggio ancora, anche la terra dei nostri figli !
Secondo Mathis Wackernagel nel 1961 l'umanità usava soltanto il 70% della capacità globale della biosfera, ma è arrivata al 120% nel 1999 e sta andando oltre, giorno dopo giorno. Questi dati non sono la fotografia reale della situazione e, sebbene estremamente allarmanti, rappresentano una sottostima del problema e non tengono conto, nel loro metodo di calcolo, di fattori estremamente importanti ma impossibili o molto difficili da quantificare. A differenza di altre argomentazioni e moniti ambientalistici che tendono ad illustrare parametri essenzialmente negativi e catastrofici (surriscaldamento, effetto serra, inquinamento, etc.), però, l’impronta ecologica è un valore che può e deve essere interpretato anche (e soprattutto) in modo positivo.
Un limite fisiologico, infatti, non è un muro che divide una civiltà dai suoi sogni e dalle sue lecite ambizioni; al contrario è una sfida quotidiana che per migliaia di anni ci ha visti migliorare e progredire e che, soltanto oggi, ci risulta meno attraente e meno degna di essere affrontata “a mani nude” rispetto a questioni più squisitamente tecnologiche e futuristiche. Ci preoccupiamo dei nostri telefonini, dei nostri computer, delle automobili, dei TV al plasma, dei climatizzatori… poi facciamo una “volata” al supermercato e compriamo un po’ di tutto, senza troppo preoccuparci e senza pensare che ogni volta che riempiamo un carrello di generi alimentari provenienti da ogni parte del mondo stiamo ingrassando noi stessi e affamando qualcuno, da qualche parte!
Mangiamo troppo, mangiamo male, consumiamo anziché nutrirci e ci illudiamo che lo sforzo per differenziare i nostri rifiuti o per diminuire i nostri consumi energetici sia sufficiente per farci stare in pace con noi stessi e con la nostra coscienza e per garantirci un futuro… Non è così, ed è ora che ce ne rendiamo conto, recuperando un regime alimentare decente e tarando i nostri consumi, facendo sì che siano in linea con le capacità produttive del nostro territorio; imparando a mangiare e a consumare il giusto faremo del bene a noi stessi, alle nostre finanze, alla nostra nazione e al mondo e diminuiremo il deficit ecologico della nostra area. Non è un’utopia, non è un proclama o un progetto inattuabile; è la nostra vita quotidiana che deve cambiare e siamo noi che dobbiamo “educare” i nostri “spacciatori” di sogni e di illusioni ad una realtà nuova, fatta di buon senso, di sostenibilità, di dignità e di rispetto per gli altri.
http://www.cohousing-italy.com.
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