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sabato 6 giugno 2009

Avvocati, la riforma possibile

Diventare avvocato? Si può, basta crederci veramente.

Riforma processo civile, atto I. riforma delle professioni, forse si alza il sipario. Sul dialogo tanto atteso sui mali della giustizia su i possibili “rimedi” per fa ripartire una “macchina” ormai arrugginita nel tempo ( e nei tempi di durata dei processi n.d.r) siamo tornati velocemente all’incomunicabilità tra i politici stessi e tra questi e la magistratura. Il Guardasigilli Angelino Alfano comunque ci sta provando a portare una boccata di novità. L’importante è essere tornati a parlare di riforma del processo, di quello telematico e di accelerazione dei processi e di riti alternativi”. Le novità recenti della mini-riforma del Codice di procedura civile sono in attesa di pubblicazione in “Gazzetta ufficiale” (non senza problemi applicativi però per la fase “transitoria”). Insomma, si è partiti dal settore civile, con i filtri per i ricorsi in Cassazione (50 mila all'anno), le “sanzioni” anti dilatazione dei tempi processuali etc. Si passa ora a riformare dall’interno le professioni giuridico-economiche. Un compito non proprio facile facile. . Di mezzo ci sono le tariffe professionali (sui minimi inderogabili nessuno mai molla), c’è la separazione delle carriere tra giudici e pm, ci sono i paletti della Costituzione, l’Europa e le sue direttive. La riforma dell’avvocatura, a quanto pare sembra però riacquistare “priorità” nel Palazzo di Via Arenula: troppa la litigiosità nei tribunali, troppi gli avvocati in circolazione (circa 213mila). Secondo il ministro Alfano,sulla scia di una non meglio precisata concezione ”liberalizzata” della professione, sono troppi i legali (non solo in termini quantitativi) che spingono per arrivare a causa a tutti i costi. Diventa urgente quindi riscrivere l’accesso alla professione rendendolo più selettivo. Troppi sono gli orpelli e inutili burocratismi da eliminare se si vuol rendere la giustizia “ragionevole”. A dire il vero, sulla “riforma a pacchetti” per le categorie giuridico-economiche da inserire poi nel più ampio progetto della riforma della Giustizia, si discute dall’estate scorsa. Notai, avvocati e dottori commercialisti erano stati “invitati” a presentare una proposta unitaria per snellire la macchina della giustizia e più di qualcuno alla commissione Affari costituzionali – Giustizia sembrava crederci. Poi, sono venuti i “freni” da una parte e dall’altra, i “se” e i tanti “ma”. E ciascuna categoria è andata per conto suo. O quasi. Per gli avvocati, qualcosa si era mosso a ridosso del 29esimo Congresso nazionale forense di Bologna. Dal Congresso, le varie anime dell’avvocatura (Consiglio nazionale forense, Oua, Ordini e associazioni forensi) si erano ritrovate unanimi nel chiedere alla politica le “risposte” attese da tempo: unificazione dei riti, una diversa e più efficiente geografia giudiziaria (troppi i piccoli tribunali sparsi in Italia), la partenza della class action (le azioni risarcitorie collettive) e più ricorso ai riti alternativi. Il ministro Alfano, dal canto suo aveva assicurato la massima disponibilità ad un testo condiviso di riforma della professione forense e della Giustizia nel complesso. Gli avvocati quel testo lo hanno terminato da tempo. Per i legali, il presidente del Cnf Guido Alpa ha messo sulla bilancia tre risultati da raggiungere subito: riforma dell’ordinamento forense in primis (dal tirocinio, all’abilitazione, alla formazione e aggiornamento); ma anche una cancellazione, visto i risultati opposti a quelli ricercati, della legge Bersani (nelle parti relative all’abolizione dei minimi tariffari, all’introduzione della pubblicità commerciale per gli studi e al patto di quota lite); e infine di rivisitare il sistema fiscale che affligge senza logica le professioni intellettuali. Ora le questioni sembrano venire la pettine e si ritorna a parlare di riforma delle professioni: più selezione al’accesso per il mondo forense e parità tra accusa e difesa. Dagli avvocati la ricetta resta la medesima: tirocinio a numero programmato, formazione permanente obbligatoria attarverso la scuola forense, e abilitazione a tempo: chi proprio non vuole decidere se fare l’avvocato, dopo 5 anni dal superamento dell’esame di abilitazione perde il treno e ritorna sui libri a studiare. La professione forense insomma, non può essere l’ultima chance per fare un lavoro qualsiasi. Ci si deve credere e bisogna dimostrare di volerla “praticare”.

Daniele Memola
link: www.opinione.it

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