Diventare avvocato? Si può, basta crederci veramente.
Riforma processo civile, atto I. riforma delle professioni, forse si alza il sipario. Sul dialogo tanto atteso sui mali della giustizia su i possibili “rimedi” per fa ripartire una “macchina” ormai arrugginita nel tempo ( e nei tempi di durata dei processi n.d.r) siamo tornati velocemente all’incomunicabilità tra i politici stessi e tra questi e la magistratura. Il Guardasigilli Angelino Alfano comunque ci sta provando a portare una boccata di novità. L’importante è essere tornati a parlare di riforma del processo, di quello telematico e di accelerazione dei processi e di riti alternativi”. Le novità recenti della mini-riforma del Codice di procedura civile sono in attesa di pubblicazione in “Gazzetta ufficiale” (non senza problemi applicativi però per la fase “transitoria”). Insomma, si è partiti dal settore civile, con i filtri per i ricorsi in Cassazione (50 mila all'anno), le “sanzioni” anti dilatazione dei tempi processuali etc. Si passa ora a riformare dall’interno le professioni giuridico-economiche. Un compito non proprio facile facile. . Di mezzo ci sono le tariffe professionali (sui minimi inderogabili nessuno mai molla), c’è la separazione delle carriere tra giudici e pm, ci sono i paletti della Costituzione, l’Europa e le sue direttive. La riforma dell’avvocatura, a quanto pare sembra però riacquistare “priorità” nel Palazzo di Via Arenula: troppa la litigiosità nei tribunali, troppi gli avvocati in circolazione (circa 213mila). Secondo il ministro Alfano,sulla scia di una non meglio precisata concezione ”liberalizzata” della professione, sono troppi i legali (non solo in termini quantitativi) che spingono per arrivare a causa a tutti i costi. Diventa urgente quindi riscrivere l’accesso alla professione rendendolo più selettivo. Troppi sono gli orpelli e inutili burocratismi da eliminare se si vuol rendere la giustizia “ragionevole”. A dire il vero, sulla “riforma a pacchetti” per le categorie giuridico-economiche da inserire poi nel più ampio progetto della riforma della Giustizia, si discute dall’estate scorsa. Notai, avvocati e dottori commercialisti erano stati “invitati” a presentare una proposta unitaria per snellire la macchina della giustizia e più di qualcuno alla commissione Affari costituzionali – Giustizia sembrava crederci. Poi, sono venuti i “freni” da una parte e dall’altra, i “se” e i tanti “ma”. E ciascuna categoria è andata per conto suo. O quasi. Per gli avvocati, qualcosa si era mosso a ridosso del 29esimo Congresso nazionale forense di Bologna. Dal Congresso, le varie anime dell’avvocatura (Consiglio nazionale forense, Oua, Ordini e associazioni forensi) si erano ritrovate unanimi nel chiedere alla politica le “risposte” attese da tempo: unificazione dei riti, una diversa e più efficiente geografia giudiziaria (troppi i piccoli tribunali sparsi in Italia), la partenza della class action (le azioni risarcitorie collettive) e più ricorso ai riti alternativi. Il ministro Alfano, dal canto suo aveva assicurato la massima disponibilità ad un testo condiviso di riforma della professione forense e della Giustizia nel complesso. Gli avvocati quel testo lo hanno terminato da tempo. Per i legali, il presidente del Cnf Guido Alpa ha messo sulla bilancia tre risultati da raggiungere subito: riforma dell’ordinamento forense in primis (dal tirocinio, all’abilitazione, alla formazione e aggiornamento); ma anche una cancellazione, visto i risultati opposti a quelli ricercati, della legge Bersani (nelle parti relative all’abolizione dei minimi tariffari, all’introduzione della pubblicità commerciale per gli studi e al patto di quota lite); e infine di rivisitare il sistema fiscale che affligge senza logica le professioni intellettuali. Ora le questioni sembrano venire la pettine e si ritorna a parlare di riforma delle professioni: più selezione al’accesso per il mondo forense e parità tra accusa e difesa. Dagli avvocati la ricetta resta la medesima: tirocinio a numero programmato, formazione permanente obbligatoria attarverso la scuola forense, e abilitazione a tempo: chi proprio non vuole decidere se fare l’avvocato, dopo 5 anni dal superamento dell’esame di abilitazione perde il treno e ritorna sui libri a studiare. La professione forense insomma, non può essere l’ultima chance per fare un lavoro qualsiasi. Ci si deve credere e bisogna dimostrare di volerla “praticare”.
Riforma processo civile, atto I. riforma delle professioni, forse si alza il sipario. Sul dialogo tanto atteso sui mali della giustizia su i possibili “rimedi” per fa ripartire una “macchina” ormai arrugginita nel tempo ( e nei tempi di durata dei processi n.d.r) siamo tornati velocemente all’incomunicabilità tra i politici stessi e tra questi e la magistratura. Il Guardasigilli Angelino Alfano comunque ci sta provando a portare una boccata di novità. L’importante è essere tornati a parlare di riforma del processo, di quello telematico e di accelerazione dei processi e di riti alternativi”. Le novità recenti della mini-riforma del Codice di procedura civile sono in attesa di pubblicazione in “Gazzetta ufficiale” (non senza problemi applicativi però per la fase “transitoria”). Insomma, si è partiti dal settore civile, con i filtri per i ricorsi in Cassazione (50 mila all'anno), le “sanzioni” anti dilatazione dei tempi processuali etc. Si passa ora a riformare dall’interno le professioni giuridico-economiche. Un compito non proprio facile facile. . Di mezzo ci sono le tariffe professionali (sui minimi inderogabili nessuno mai molla), c’è la separazione delle carriere tra giudici e pm, ci sono i paletti della Costituzione, l’Europa e le sue direttive. La riforma dell’avvocatura, a quanto pare sembra però riacquistare “priorità” nel Palazzo di Via Arenula: troppa la litigiosità nei tribunali, troppi gli avvocati in circolazione (circa 213mila). Secondo il ministro Alfano,sulla scia di una non meglio precisata concezione ”liberalizzata” della professione, sono troppi i legali (non solo in termini quantitativi) che spingono per arrivare a causa a tutti i costi. Diventa urgente quindi riscrivere l’accesso alla professione rendendolo più selettivo. Troppi sono gli orpelli e inutili burocratismi da eliminare se si vuol rendere la giustizia “ragionevole”. A dire il vero, sulla “riforma a pacchetti” per le categorie giuridico-economiche da inserire poi nel più ampio progetto della riforma della Giustizia, si discute dall’estate scorsa. Notai, avvocati e dottori commercialisti erano stati “invitati” a presentare una proposta unitaria per snellire la macchina della giustizia e più di qualcuno alla commissione Affari costituzionali – Giustizia sembrava crederci. Poi, sono venuti i “freni” da una parte e dall’altra, i “se” e i tanti “ma”. E ciascuna categoria è andata per conto suo. O quasi. Per gli avvocati, qualcosa si era mosso a ridosso del 29esimo Congresso nazionale forense di Bologna. Dal Congresso, le varie anime dell’avvocatura (Consiglio nazionale forense, Oua, Ordini e associazioni forensi) si erano ritrovate unanimi nel chiedere alla politica le “risposte” attese da tempo: unificazione dei riti, una diversa e più efficiente geografia giudiziaria (troppi i piccoli tribunali sparsi in Italia), la partenza della class action (le azioni risarcitorie collettive) e più ricorso ai riti alternativi. Il ministro Alfano, dal canto suo aveva assicurato la massima disponibilità ad un testo condiviso di riforma della professione forense e della Giustizia nel complesso. Gli avvocati quel testo lo hanno terminato da tempo. Per i legali, il presidente del Cnf Guido Alpa ha messo sulla bilancia tre risultati da raggiungere subito: riforma dell’ordinamento forense in primis (dal tirocinio, all’abilitazione, alla formazione e aggiornamento); ma anche una cancellazione, visto i risultati opposti a quelli ricercati, della legge Bersani (nelle parti relative all’abolizione dei minimi tariffari, all’introduzione della pubblicità commerciale per gli studi e al patto di quota lite); e infine di rivisitare il sistema fiscale che affligge senza logica le professioni intellettuali. Ora le questioni sembrano venire la pettine e si ritorna a parlare di riforma delle professioni: più selezione al’accesso per il mondo forense e parità tra accusa e difesa. Dagli avvocati la ricetta resta la medesima: tirocinio a numero programmato, formazione permanente obbligatoria attarverso la scuola forense, e abilitazione a tempo: chi proprio non vuole decidere se fare l’avvocato, dopo 5 anni dal superamento dell’esame di abilitazione perde il treno e ritorna sui libri a studiare. La professione forense insomma, non può essere l’ultima chance per fare un lavoro qualsiasi. Ci si deve credere e bisogna dimostrare di volerla “praticare”.
Daniele Memola
link: www.opinione.it
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