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giovedì 27 ottobre 2011

Chi nun tene coraggio nun se cocca ch’’e femmene belle” è in scena al teatro Quirino - recensione

Lo spettacolo dal titolo giocoso “Chi nun tene coraggio nun se cocca ch’’e femmene belle” è in scena al teatro Quirino fino al 30 ottobre.  Sul palco di questo teatro romano che porta il nome di Vittorio Gassman, ancora una volta Massimo Ranieri, l’istrione napoletano che ha scritto e ideato con Gualtiero Pierce questo recital provocatorio. Provocatorio perché protagonista non è il coraggio dei vincitori, dei potenti, ma l’eroismo dei sognatori, degli ultimi... Sul palco c’è solo lui, con i suoi monologhi, i suoi ricordi, senza la “teatralità” delle luci, delle coreografie; solo alle sue spalle l’orchestra che lo accompagna nelle sue avventure, composta da Massimiliano Rosati, Flavio Mazzocchi, Mario Guarini, Luca Trolli, Donato Sensini.
Un recital, un viaggio nel quale il cantante napoletano ci fa condurre ascoltando le note della sua voce. Il sipario si apre e su una scenografia nuda, spoglia, Ranieri in abito nero, serioso, intona “ Io ’so pazzo” di Pino Daniele per introdurci a un discorso sulla follia. Perché parlare di follia? Perché quelli che consideriamo folli sono quelli che hanno il coraggio di dire le cose stanno, ma nonostante ciò sono “ultimi”. Ultimi come è ultimo il Saponaro, la figura che racchiude in se la storia di Napoli antica e che Ranieri ha voluto ritirat fuori dal repertorio del grande commediografo e poeta Raffaele Viviani. È curioso come questo cantautore napoletano sia riuscito ad ogni parola, ad ogni riflessione, ad agganciare una canzone che sintetizza e racchiude il suo pensiero. Attraversa il grande scibile della canzone napoletana per arrivare ad interpretare brani dei più celebri cantautori italiani e internazionali: ecco allora che al ricordo del coraggio di un grande uomo come Papa Giovanni XXIII che entrando nel carcere romano di Regina Coeli accolse i fedeli con un «Benvenuti nella casa del Signore», Ranieri ci associa l’azzeccatissima canzone di Fabrizio De Andrè “Don Raffaè”; poi attinge ancora al repertorio di Luigi Tenco, di Giorgio Gaber, di Nino Taranto, per poi passare da Charles Aznavour a Violeta Parra.
Un racconto che tocca le corde della solidarietà, dell’umorismo, della pietas, aiutato dai testi del grande Eduardo De Filippo e da testi più letterari come quelli di Palazzeschi, di Lorenzini…
Uno spettacolo che dietro la verve colorata della canzone napoletana, cela le riflessioni più intime dell’artista sui temi più intimi e profondi della nostra società. (recensione di JESSICA ZECCHINATO)

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