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mercoledì 3 ottobre 2012

L'Afghanistan fa il giro della Lombardia: tappa a Lecco e a Tradate.

La tournée lombarda del mio nuovo libro L’inferno chiamato Afghanistan continua con un ritmo incessante. Dopo Sondrio, Bormio, Como, Monza e Bergamo, adesso saranno Lecco e poi Tradate a ospitare i miei incontri-presentazioni. Il 10 ottobre 2012, alle ore 18:00, il pubblico di Lecco e dintorni potrà conoscere un Afghanistan differente dai vieti cliché imposti dai telegiornali e dai reportage dei giornalisti embedded, cioè al seguito delle truppe dell’Isaf-Nato. Presenterò il mio libro all’IBS Bookshop di via Cavour 44, nel centro della città manzoniana, e dialogherà con me Fulvio Panzeri, noto giornalista e critico letterario che si occupa soprattutto della nuova narrativa italiana e che ha curato l’edizione delle opere complete di Giovanni Testori. Il giorno dopo, giovedì 11 ottobre, sarò a Tradate, presso la bellissima Biblioteca civica “Frera” in via Zara 37. L’incontro avrà inizio alle ore 20:45 e accanto a me ci sarà la poetessa Enrica Cortellezzi Parmigiani. Si tratta di una scelta ponderata: nelle mie precedenti presentazioni ho posto l’accento soprattutto sugli aspetti drammatici della way of life afghana. Mi riferisco alla triste condizione femminile e a quella non meno disperata dei bambini, alla quotidianità nelle carceri e nei campi per profughi e sfollati, ai retroscena delle operazioni di guerra e di pace a un tempo del nostro contingente militare e degli aiuti umanitari, al fenomeno dilagante della droga, al vuoto sanitario, alla corruzione politica. A Tradate, parlerò anche degli aspetti poetici e spirituali di un popolo che pare condannato all’inferno benché ami la vita. Nel capitolo del mio libro intitolato “gli afghani avrebbero amato il Leopardi” ho infatti sottolineato la strana commistione di odio e amore, durezza e anelito verso la bellezza che alberga nel cuore del popolo afghano, capace di compiere le peggiori efferatezze e insieme dilettarsi di poesia, amare il suono degli antichi strumenti musicali come il rubab, il sitar e il surnai, e commuoversi per il canto degli uccelli. Durante il mio soggiorno in Afghanistan ho scoperto che fra i caratteri peculiari dei suoi abitanti c’è la malinconia, associata a una profonda sensibilità poetica. Ma di ciò parlerò per l’appunto a Tradate. 
Confesso, per altro, che non sono mai riuscito a capire come si possa conciliare un “cuore di tenebra” con la delicatezza d’animo. Eppure, di ciò ho avuto prove tangibili nel paese dei Talebani, dove ho vissuto in mezzo alla gente comune, dimorando nelle loro case, concedendomi anche momenti di festa domestica insieme a loro. E per quanto io sia stato un osservatore attento e un cronista impietoso e oggi mi sforzi di essere un affabulatore, continuo a pensare che il popolo afghano mi abbia nascosto un segreto. Quale sia non saprei dire ma la caparbietà con cui esso sa resistere agli orrori di una guerra che dura da trent’anni e che ha lacerato l’anima collettiva e non solo il tessuto connettivo del Paese, ha del miracoloso. Qualunque altro popolo avrebbe rinunciato alla lotta da tempo. Gli afghani no, sono caparbi, vendicativi, gravidi di rancore e fiduciosi che arriverà la resa dei conti. Ma per chi e contro chi? Mistero, per l’appunto. Anche se il vero nemico degli afghani si annida nella loro mente inquieta, nel loro animo violentato da secoli di faide e lotte intestine. 
A Lecco e a Tradate parlerò anche degli aspetti che non ho avuto tempo né modo di raccontare nel mio libro, dipingerò con tratti lievi lo spirito della nazione afghana. E certamente ricorderò al pubblico che interverrà che tale spirito è indomito. Basti pensare che l’unica tribù che riuscì a fermare Alessandro il Grande nel corso della sua impresa in Asia fu quella dei Pathani, gli antenati dei Pashtun, l’etnia guerriera ancora oggi dominante in Afghanistan. 
Recentemente, più di una persona mi ha detto che ho avuto molto coraggio quando ero laggiù. Ho risposto che il vero coraggio me l’hanno insegnato i bambini di strada di Kabul. Sono creature inermi, lacere, affamate, umiliate e offese. Eppure, sorridono. E se mostri loro un po’ di compassione, riescono anche a ridere. “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo” ha scritto quel Giacomo Leopardi che gli afghani, ne sono certo, amerebbero se solo potessero leggere le sue poesie.

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