La tournée lombarda del mio nuovo libro L’inferno chiamato Afghanistan continua
con un ritmo incessante. Dopo Sondrio, Bormio, Como, Monza e Bergamo, adesso saranno
Lecco e poi Tradate a ospitare i miei incontri-presentazioni. Il
10 ottobre 2012, alle ore 18:00, il pubblico di Lecco e dintorni potrà
conoscere un Afghanistan differente dai vieti cliché imposti dai telegiornali e
dai reportage dei giornalisti embedded,
cioè al seguito delle truppe dell’Isaf-Nato. Presenterò il mio libro all’IBS
Bookshop di via Cavour 44, nel centro della città manzoniana, e dialogherà con
me Fulvio Panzeri, noto giornalista e critico letterario che si occupa
soprattutto della nuova narrativa italiana e che ha curato l’edizione delle
opere complete di Giovanni Testori. Il giorno dopo, giovedì 11 ottobre, sarò a
Tradate, presso la bellissima Biblioteca civica “Frera” in via Zara 37. L’incontro
avrà inizio alle ore 20:45 e accanto a me ci sarà la poetessa Enrica
Cortellezzi Parmigiani. Si tratta di una scelta ponderata: nelle mie precedenti
presentazioni ho posto l’accento soprattutto sugli aspetti drammatici della way of life afghana. Mi riferisco alla triste condizione femminile e a quella non meno
disperata dei bambini, alla quotidianità nelle carceri e nei campi per profughi
e sfollati, ai retroscena delle operazioni di guerra e di pace a un tempo del
nostro contingente militare e degli aiuti umanitari, al fenomeno dilagante
della droga, al vuoto sanitario, alla corruzione politica. A Tradate, parlerò
anche degli aspetti poetici e spirituali di un popolo che pare condannato
all’inferno benché ami la vita. Nel capitolo del mio libro intitolato “gli
afghani avrebbero amato il Leopardi” ho infatti sottolineato la strana
commistione di odio e amore, durezza e anelito verso la bellezza che alberga
nel cuore del popolo afghano, capace di compiere le peggiori efferatezze e
insieme dilettarsi di poesia, amare il suono degli antichi strumenti musicali
come il rubab, il sitar e il surnai, e commuoversi per il canto degli uccelli. Durante
il mio soggiorno in Afghanistan ho scoperto che fra i caratteri peculiari dei
suoi abitanti c’è la malinconia, associata a una profonda sensibilità poetica.
Ma di ciò parlerò per l’appunto a Tradate.
Confesso, per altro, che non sono
mai riuscito a capire come si possa conciliare un “cuore di tenebra” con la
delicatezza d’animo. Eppure, di ciò ho avuto prove tangibili nel paese dei
Talebani, dove ho vissuto in mezzo alla gente comune, dimorando nelle loro
case, concedendomi anche momenti di festa domestica insieme a loro. E per
quanto io sia stato un osservatore attento e un cronista impietoso e oggi mi
sforzi di essere un affabulatore, continuo a pensare che il popolo afghano mi
abbia nascosto un segreto. Quale sia non saprei dire ma la caparbietà con cui
esso sa resistere agli orrori di una guerra che dura da trent’anni e che ha
lacerato l’anima collettiva e non solo il tessuto connettivo del Paese, ha del
miracoloso. Qualunque altro popolo avrebbe rinunciato alla lotta da tempo. Gli
afghani no, sono caparbi, vendicativi, gravidi di rancore e fiduciosi che
arriverà la resa dei conti. Ma per chi e contro chi? Mistero, per l’appunto. Anche
se il vero nemico degli afghani si annida nella loro mente inquieta, nel loro
animo violentato da secoli di faide e lotte intestine.
A Lecco e a Tradate parlerò
anche degli aspetti che non ho avuto tempo né modo di raccontare nel mio libro,
dipingerò con tratti lievi lo spirito della nazione afghana. E certamente ricorderò
al pubblico che interverrà che tale spirito è indomito. Basti pensare che l’unica
tribù che riuscì a fermare Alessandro il Grande nel corso della sua impresa in
Asia fu quella dei Pathani, gli antenati dei Pashtun, l’etnia guerriera ancora
oggi dominante in Afghanistan.
Recentemente, più di una persona mi ha detto
che ho avuto molto coraggio quando ero laggiù. Ho risposto che il vero coraggio
me l’hanno insegnato i bambini di strada di Kabul. Sono creature inermi, lacere,
affamate, umiliate e offese. Eppure, sorridono. E se mostri loro un po’ di
compassione, riescono anche a ridere. “Chi ha il coraggio di ridere è padrone
del mondo” ha scritto quel Giacomo Leopardi che gli afghani, ne sono certo,
amerebbero se solo potessero leggere le sue poesie.
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