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venerdì 30 marzo 2007

"L'editoria è alla svolta, vince il digitale Ma i giornali potranno ancora crescere"

Burda, il "re" della stampa tedesca, spiega il passaggio dalla carta al web
"Stiamo vivendo la stessa rivoluzione dei tempi di Gutenberg"
"L'editoria è alla svolta, vince il digitale Ma i giornali potranno ancora crescere"
di ANDREA TARQUINI


ROMA - La rivoluzione digitale è l'evento più importante nella comunicazione da quando Gutenberg inventò la stampa. Lo afferma Hubert Burda, uno dei più importanti imprenditori dell'editoria, che partecipa oggi alla tavola rotonda promossa dalla Fieg, "Lo scenario futuro dei media, la stampa tra crisi e cambiamento".

Lei ha paragonato la rivoluzione digitale all'invenzione della stampa. Il mondo dei media lo sa o rischia di finire come scribi e amanuensi?
"La rivoluzione digitale ha lo stesso effetto storico della rivoluzione di Gutenberg. Di ciò non dubita più nessuno. Certo, Gutenberg, esaltato da tutti, è stato anche, scrisse Victor Hugo, l'uomo che ha distrutto un intero mondo: i libri scritti a mano, le illustrazioni filigranate... Lutero capì subito che doveva usare questa rivoluzione per propagare le sue tesi. Ma nel Nord Europa protestante sparirono le immagini. Rimasero da voi: c'erano Michelangelo e Raffaello. La Cappella Sistina fu il pendant della Bibbia di Gutenberg: comunicazione iconica contro comunicazione semantica. La rivoluzione digitale è la disponibilità delle immagini a tariffa zero. Quando per la prima volta BUNTE introdusse otto pagine con foto a colori, ciò costò 80mila marchi a numero. Oggi, il mondo digitale è gratis, e grazie a servizi come "flickr" o "youtube" le immagini sono tutte mobili".

Ciò non la induce a un certo pessimismo sui media tradizionali?
"Così si pensa molto spesso. Giornali, riviste, reti tv che non colgono l'occasione di andare su questa nuova piattaforma invecchieranno. Ma altro è se ho un marchio forte da medium tradizionale accoppiato a un website ben fatto. Le piattaforme video sono il making of the event, non solo l'evento in sé. Chi ha un grande marchio - Repubblica, l'Espresso, Panorama, Oggi, la Stampa, il Corriere - ha una chance. Gli editori di letteratura dovrebbero pensarci: si può fare una fiera del libro online quotidiana".

In Europa il mondo dei media è a volte accusato di tendere a rifiutare le nuove realtà. Ciò la spinge al pessimismo?
"Finché entrate pubblicitarie e vendite lo consentono si possono coprire i costi del personale. Ma qui sono piuttosto pessimista: ricavi ed entrate non cresceranno. Spuntano free sheets, quotidiani gratis, come Matin plus in Francia. La crescita delle entrate verrà dai media digitali. Nascono nuovi volti del mestiere: videogiornalista, online editor, esperto di affari online. Lo sviluppo di questi nuovi volti della professione verrà ritardato se ci si ostina ad aggrapparsi ai vecchi volti. Imparare a scrivere bene resta molto importante. Ma le illustrazioni hanno un nuovo ruolo: la comunicazione più veloce".

I portali online sono anche community: ce la fanno i media tradizionali a esserlo?
"Sì, sì. I lettori della Frankfurter Allgemeine sono una community. Quelli di FOCUS anche. In questo senso il giornale cartaceo vale molto meno dell'online. La stampa cartacea ha un suo ruolo: dà un ordine a fatti, analisi, idee. La nuova tv digitale invece è una tv di "snack", di spuntini. Le nuove possibilità possono arricchire il cartaceo. E portare entrate pubblicitarie molto più cospicue. Noi offriamo al pubblico online portali per communities diversificate: viaggi, soldi, lifestyle... I media cambiano ogni giorno, tocca al product manager cogliere il trend. La carta stampata ha un vantaggio: i marchi. C'è un'identificazione di community, nel lettorato dei marchi cartacei, che si può benissimo adattare al nuovo mondo. Anche nei media tradizionali si deve mirare a nuovi ricavi. Puntando a raggiungere online le communities e allo e-commerce. Noi anche così nei prossimi anni arriveremo a realizzare ben un quarto del fatturato in Internet e in direct marketing".

Come cambia il pubblico?
"Il mondo è già diviso in due. C'è chi è cresciuto leggendo i classici giornali. E ci sono i 15-18enni. Per loro viaggiando in metrò è più facile, e più "in", scaricare contenuti online col telefonino che non sfogliare un giornale. Chi ha un marchio dovrà poter inviare sul telefonino la tv col marchio della testata. Se chi viaggia accanto a me nel metrò vede che leggo ad esempio Repubblica sul telefonino ha un'opinione migliore di me: come lettore, elettronico, di un marchio. Noi della nostra generazione siamo cresciuti informandoci con testi ben redatti e foto di supporto. Dobbiamo imparare un nuovo modo di pensare. L'Italia è molto avanti: i nuovi media sembrano fatti apposta per l'Italia che è un mondo ottico".

Lei per descrivere l'Europa meno innovatrice dell'America, ha evocato la differenza, nel '68, tra l'estremista Rudi Dutschke e Bob Dylan. Paragone ancora valido?
"Sì. La rivoluzione digitale viene al 90 per cento dall'America. Noi europei abbiamo poco da contrapporre a Microsoft o a Google. Ci manca gente come Sergey Brin, Larry Page... questa generazione americana è cresciuta dallo spirito del rock'n roll. Le loro invenzioni hanno l'importanza di quelle di Leonardo come ingegnere. O delle innovazioni tecnologiche che consentirono al Brunelleschi di costruire la cupola del duomo di Firenze. In Europa avevamo una generazione così tra il '62 e il '64. Poi venne il 68. Molti intellettuali da noi - Habermas, Enzensberger, Grass, il mio amico Peter Handke - sono ostili alla tecnologia. E' una generazione che sta sparendo. Ne cresce una nuova, vuole far soldi, farsi avanti. Al momento possiamo solo seguire il più veloci possibile quanto viene dall'America".



Origine: Repubblica

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