Quali sono gli effetti e i rischi psicologici provocati dal terremoto?
Le calamità naturali
come il terremoto che ha colpito l’Italia Centrale nei giorni scorsi sono
eventi che superano l'ambito della normale esperienza e che quindi, dal punto
di vista psicologico, rappresentano traumi tali da indurre stress in chiunque li
abbia vissuti. Come è comprensibile, essere travolti da un evento di questo
tipo mette a durissima prova le nostre capacità di adattamento e la nostra
salute psicologica, sebbene le reazioni di stress vengano considerate una
reazione normale a eventi eccezionali.
Fondamentalmente,
i rischi per la sfera psicologica sono legati all’insorgenza di patologie, spesso
gravi, conseguenti alla cronicizzazione della paura, che diventa angoscia
quando l’evento sismico non si esaurisce in breve ma si protrae nel tempo.
Una simile
sollecitazione emotiva innesca una serie di effetti tipicamente legati
all’esposizione cronica di stress, quali modificazioni dei livelli ormonali
(cortisolo e catecolamine, nelle donne anche gli estrogeni), alterazioni del
sonno e, nel lungo termine, variazioni cardiovascolari associate a un maggior
rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto del miocardio.
Tutto questo crea una via preferenziale per l’insorgenza di patologie come la
depressione e il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS).
Inoltre è
necessario distinguere tra la percezione dello stress degli adulti e dei
bambini, dato il differente approccio con cui vivono un’esperienza così
traumatica e le diverse terapie a cui dovranno essere sottoposti.
Quali emozioni innesca il terremoto nelle popolazioni che lo subiscono?
Il terremoto produce nelle persone uno choc emozionale
intenso, tipicamente scatenando ansia, paura e attacchi di panico. L’ansia è
generalmente un’emozione a due facce: da un lato può spingere l’individuo a dare il massimo mediante una serie di processi dinamici
neurali, fisiologici, comportamentali e cognitivi che portano all’adattamento;
dall’altro può limitare l’esistenza dell’individuo stesso inducendo alterazioni neurali, fisiologiche,
comportamentali e cognitive che aumentano la vulnerabilità a manifestare
patologie.
Alcuni studi hanno dimostrato come, anche in
situazioni drammatiche come sopravvivere ad un terremoto, le vittime possano
sperimentare emozioni positive, altrettanto intense e persistenti di quelle
negative. E’ noto infatti che l’esposizione ad eventi avversi provoca una vasta
gamma di reazioni psicopatologiche; tuttavia, non è così chiaro come
l’esistenza di emozioni positive possa in qualche modo ridurre o mediare
l’impatto del trauma. Studi specifici sull’adattamento allo stress hanno dimostrato
come i fattori di personalità relativamente stabili, ad esempio la felicità e
l’ottimismo, possano mediare gli effetti negativi dello stress. A questo
proposito, evidenze sperimentali indicano che, di fronte ad eventi di vita
negativi, persone che in precedenza hanno avuto esperienze positive,
attingevano da questo “bagaglio emotivo” per poter esercitare un tale controllo
psicologico in modo da adattarsi allo stress, ed esibendo una minor
vulnerabilità a sviluppare le classiche patologie stress-correlate.
Inoltre, per meglio comprendere l’impatto di un
terremoto sulla sfera emotiva, è necessario conoscere le alterate funzioni
cerebrali evidenti già nelle prime fasi dell’adattamento al trauma. Studi in
modelli animali dell’impatto dello stress acuto e cronico, hanno evidenziato
cambiamenti fisiologici e morfologici in molte regioni cerebrali, in
particolare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale. Questi
risultati sono coerenti con quanto riscontrato in uno studio umano condotto nei
sopravvissuti al terribile terremoto di magnitudo 8.0 che sconvolse una zona
della Cina nel 2008, in cui si monitorò la funzionalità cerebrale per mezzo
della risonanza magnetica funzionale (fMRI). Rispetto ai controlli, i
sopravvissuti mostravano, già 25 giorni dopo l’evento, un’iperattività a
livello del sistema limbico e della corteccia pre-frontale e un’attenuata
connettività funzionale nelle aree limbiche frontali e nelle regioni striatali,
notoriamente coinvolte nel processa mento delle emozioni.
L’esposizione a fattori di stress di natura così
intensa, oltre a modificazioni di funzionalità cerebrale, innesca, nel giro di
pochi minuti, anche alterazioni a livello molecolare, in particolare a carico
delle proteine c-fos e NGF e
predisponendo così allo sviluppo della sintomatologia depressiva e del Disturbo
Post Traumatico da Stress.
Che tipo di assistenza psicologica è necessaria?
Innanzitutto
occorre fare una prevenzione primaria, in cui si mette l’individuo in
condizioni di conoscere le proprie emozioni e saper controllare gli effetti che
queste hanno sul comportamento e sulla salute psicologica, attraverso una
formazione specifica con l’aiuto di corsi e tecniche da attuarsi ovviamente in
periodi precedenti al disastro. Riuscire ad educare la nostra mente e il nostro
corpo mediante ad esempio la meditazione, ci permetterebbe di controllare le
nostre emozioni, le nostre ansie e paure in modo da essere in grado di
adattarci anche a situazioni drammatiche quali sono gli eventi sismici.
Ad una
prevenzione primaria, deve seguire una prevenzione secondaria, in cui vengono
programmati interventi di sostegno psicologico, successivi all’evento sismico,
per sostenere le persone colpite dalla reazione acuta di stress (attacco di
panico), evitando così che questo si trasformi in un disturbo post-traumatico
da stress, ad esempio mediante centri di ascolto post-emergenza.
Dal momento che ad un evento traumatico è spesso
connesso un particolare livello di stress. Cosa accade quando una persona
soffre del Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)?
Numerosi dati
della letteratura confermano come un disastro naturale, produca un elevato stress
con conseguenze a lungo termine, di carattere sia fisiologico che psicologico,
e sintomi residui post-traumatici soprattutto nei soggetti più giovani. In
particolare, studi recenti mostrano come l’esposizione ad un evento traumatico
aumenti maggiormente la vulnerabilità a sviluppare il Disturbo Post Traumatico
da Stress nelle donne rispetto agli uomini. Questo dato è supportato anche da
evidenze sperimentali ottenute in una ricerca condotta negli individui
sopravvissuti all’attacco terroristico alle Torri Gemelle e ai terremoti in
Molise nel 2002 e dell’Abruzzo nel 2009 che mostra come circa la metà dei
soggetti studiati sviluppavano questa patologia. E’ importante tenere conto le
differenti modalità individuali di risposta al trauma, e il fatto che ogni
reazione soggettiva deve essere analizzata anche in termini oggettivi sulla
base delle caratteristiche del trauma stesso, quali ad esempio
l’imprevedibilità e l’intensità. Ovviamente, più un trauma è grave e persiste
nel tempo, più intense e durature saranno le conseguenze sull’individuo.
Generalmente, la persona affetta da DPTS tende a “rivivere” l’evento traumatico,
perdendo improvvisamente il contatto con la realtà e arrivando a provare un disagio ed un terrore molto intensi.
Talvolta, si possono manifestare delle vere e proprie amnesie legate all’evento
sismico, correlando questo senso di evitamento ad una certa difficoltà di
provare emozioni (amnesia emotiva); nelle situazioni più gravi si possono
verificare comportamenti di autolesionismo e tentativi di suicidio legati alla
visione totalmente negativa del futuro.
Solitamente, queste reazioni psicofisiologiche
possono manifestarsi mesi o anni dopo l’evento traumatico, sebbene mediamente
la comparsa dei primi sintomi si registra a partire dal secondo e terzo mese
successivo al trauma.
L’intervento
precoce sui sopravvissuti a un trauma come il terremoto, indipendentemente
dalla presenza di una diagnosi di DPTS, dovrebbe essere quindi un obiettivo
primario nell’ambito di un programma di Salute Pubblica, attuando una terapia
immediata per evitare negli anni l’instaurarsi di patologie psicosomatiche
(cardiovascolari, immunitarie, gastroenteriche, nervose e metaboliche) e
psicologiche (ansia, depressione e schizofrenia) stress-correlate.
Quali sono i consigli per affrontare tale disturbo?
Sicuramente non bisogna far passare troppo
tempo, ma occorre cominciare una terapia il prima possibile dall’insorgenza dei
sintomi. In particolare, in questi casi viene utilizzata la terapia
cognitivo-comportamentale, che prevede l’inizio della cura nei primi giorni
successivi al trauma. L’obiettivo è quello di aiutare ad elaborare la tragedia
e a “incanalare” le emozioni, in modo da arrivare lentamente a non viverle più.
Di solito viene effettuata direttamente “sul posto” da un’équipe di psicologici
specializzati negli interventi immediati; nonostante la terapia, in alcuni
soggetti il trauma psicologico può persistere o addirittura peggiorare
trasformandosi in cronico.
La triste storia degli ultimi anni, dai
terremoti che hanno colpito l’Aquila, l’Emilia Romagna fino a quello dei giorni
scorsi, e dato il rischio sismico in buona parte dell’Italia, ci portano a non
poter, né a dover non prendere in considerazione l’importante ruolo dello
psicologo dell’emergenza sia in condizioni di calamità naturali che in quelle
legate ad attacchi terroristici. La Psicologia dell’emergenza rappresenta un
ampio insieme di contributi diversi della psicologia, dalla Psicologia clinica,
Psicologia sociale, fino alla Psicologia di comunità e della salute, finalizzata
a comprendere i processi psicologici,
sia psicofisiologici, cognitivi, emotivi, che
comportamentali, attivati in tali condizioni. Tutto questo ovviamente
senza trascurare gli esiti nel breve e nel lungo termine che andranno
inevitabilmente ad incidere sulle capacità di adattamento e sul benessere delle
persone e delle comunità colpite. Gli interventi dovranno essere indirizzati
sia alle persone coinvolte direttamente nell’evento, che i soccorritori che a
loro volta hanno vissuto in prima persona o meno gli eventi critici
verificatisi.
In generale, dal punto di vista psicologico, le
due categorie più a rischio sono soprattutto i bambini e gli anziani; in questo
caso, si devono predisporre delle strategie da adottare individualmente. Nel
caso dei bambini, per esempio, si continua con la psicoterapia, che viene
praticata anche sui genitori e sugli insegnanti, in modo da creare una vera e
propria rete attorno al piccolo, per aiutarlo nella guarigione. È un lavoro da
portare avanti con delicatezza, ma senza perdere tempo. Ci sono studi che, nei
bimbi vittime di traumi importanti, hanno evidenziato il pericolo di un ritardo
nello sviluppo fisico e cognitivo, difficile da recuperare se non si interviene
subito.