Un uomo che arriva ad uccidere i suoi figli, la carne della sua carne, la luce dei suoi occhi, preferisce porre fine alla loro vita e morire.
Un uomo che non vede alcuna via d'uscita se non farla finita per se stesso e i suoi più stretti cari.
Un uomo che riesce a vedere solo "la fine di tutto" non è una bestia, non è un mostro.
Per noi è facile classificarlo come essere "non" umano.
Invece era un essere umano come noi.
Che andava fermato, che andava curato.
Ma soprattutto e sicuramente erano le sue vittime che andavano salvate.
Ma quando sento notizie così drammatiche non so che pensare.
Se io fossi stato un amico o collega di quell'uomo, mi sarei accorto della gravità del suo disagio mentale?
Sarei riuscito a distinguere una depressione per la fine di una relazione sentimentale e il fallimento di un senso di famiglia da un tale moto interno di nichilismo distruttivo?
Leggo che c'erano delle avvisaglie, dei campanelli d'allarme.
Leggo che era un carabiniere, quindi era armato. Aveva dato segnali di squilibrio.
Una tragedia che poteva essere fermata, ma non è stata evitata.
Io non so nulla di questo dramma in particolare.
Non so se, quali e quante responsabilità possono aver avuto tutte le persone che forse potevano fare qualcosa per evitare questa carneficina.
Resta che nessuno - istituzioni, parenti, amici, vicini di casa, colleghi - è riuscito a fare qualcosa.
Ma siamo sicuri che se fossimo stati noi l'entourage di quella disgraziata famiglia ci saremmo resi conto della gravità della situazione?
Io mi ritengo molto sensibile e attento, ma il dubbio mi tormenta.
Se io avessi conosciuto quell'uomo sarei riuscito a capirlo?
Sarei riuscito ad impedire la tragedia?
Questo mi atterrisce.
Poi resto sgomento di come possa diventare distruttivo il sentimento dell'amore.
Non cerco giustificazioni.
Non cerco attenuanti.
Tutt’altro.
Io cerco, e non ci riesco, di comprendere il cortocircuito mentale che scatta nel cervello di un essere umano quando non riesce ad accettare la separazione e preferisce distruggere ciò che più brama.
Quando arriva a tale gesto folle, distrugge pure se stesso e non gli resta che suicidarsi.
La tragedia di Cisterna è resa ancora più agghiacciante per l’uccisione delle figlie che, anche nella perdita del lume della ragione, restano totalmente incolpevoli della fine della relazione tra i genitori.
Posso, per così dire, comprendere (non giustificare) l’omicidio del partner in un momento in cui amore e odio si confondono all’asintoto e si trasformano solo in rabbia distruttiva.
Nel caso dei propri figli, a meno che uno non sia completamente insano di mente, riesco solo ad immaginare una folle disperazione che arriva a far credere che “sia meglio così”.
Il fatto che in casi come questi sia quasi sempre l’uomo il carnefice mi fa domandare quante cose siano profondamente sbagliate nella nostra cultura sociale.
Proprio perché è una continua mattanza le spiegazioni non possono ridursi alla psiche individuale.
Colpa e responsabilità, sia chiaro, restano sempre personali.
Ma forse bisognerebbe cercare di indagare le categorie sociologiche di questo terribile fenomeno.
Per me bollare queste tragedie dicendo che sono state causate da un mostro non ci aiuta a prevenirne di nuove.
Se diciamo semplicemente che questa tragedia sia stata commessa dalla follia mostruosa di un pazzo, per me è come se ci dicessimo che, meno male, a noi cose del genere non possono accadere. Perché noi non siamo pazzi.
Il problema, che io non so risolvere, è cosa scatti nella mente di un essere umano (quasi sempre un uomo) in questi frangenti.
Questo non vuol dire giustificare.
Vuol dire solo tentare di capire per cercare di non farle accadere più.
Il dolore che sto cercando di esprimere proviene dalla mia domanda interiore: sarei riuscito io a capire e impedire una cosa del genere?
Queste cose succedono sempre e solo “agli altri”?
Questo mi atterrisce.