“la mia casa non ha
faccia/ la sorreggono muri di cieli nomadi,/ le finestre sono tappe di
caravanserragli/ e in giardino crescono alghe e nani di cartongesso” da Unità
abitativa.
È dedicata alla
parola, definita come “infedele amica dell’uomo”, la raccolta poetica di
Gabriella Montanari dal titolo “Abbecedario di una ex buona a nulla”. Edita da
Rupe Mutevole, nella collana Le due anime, l’opera rappresenta la terza silloge
dell’autrice, ed è stata pubblicata nel febbraio del 2015.
Gabriella Montanari è
nata nel 1971 a Lugo di Romagna, ed è anche pittrice, scultrice e fotografa
– per quanto riguarda la fotografia, è riuscita a creare un bel connubio fra
scatti e poesie - , oltre che traduttrice di testi teatrali. Vive e lavora a
Parigi.
Il libro è
strutturato come fosse un abbecedario, ovvero quel testo che contiene le
lettere dell’alfabeto e insegna a leggere e a scrivere. Al solo nominarlo, viene spontaneo pensare al Pinocchio di Collodi,
che ha venduto il suo abbecedario, che Geppetto gli aveva comprato con tanti
sacrifici, per poter accedere al teatro dei burattini, e che quindi non ha mai
aperto.
In questa silloge, ad
ogni lettera dell’alfabeto corrisponde infatti una poesia, e talvolta più
di una.
Forse le motivazioni
che l’hanno spinta a scrivere questa raccolta, le palesa in maniera
impeccabile l’autrice stessa, che la considera come una sorta di “promemoria”.
“Nella mia – inteso
lista – ho infilato i vivi e i morti preferiti, un paio di pensieri ossessivi a
cui sono affezionata, qualche rompicapo esistenziale che spero mai risolvere e
alcuni luoghi che non mi decido ad abitare o ad abbandonare per
sempre….Ventisei lettere non sono tante, come non sono tante le cose o le
persone di cui abbiamo davvero bisogno. O che perlomeno non ci sono
d’intralcio”.
Sì, perché l’ironia è
sempre presente, e talvolta fa capolino in maniera preponderante. L’autrice
intende tirare un po’ le somme, di quello che si è rivelato un vero e proprio
“mestiere”. Si definisce una “buona a nulla”, con quella commiserazione che
altro non potrebbe essere se non “autoinflitta”, e a cui, per azzerare
qualunque vena patetica, aggiunge un “ex”. Perché nella vita si cambia, si cresce.
Ma poi tutto ritorna. E si ricomincia daccapo, da quella lettera A, alla quale
segue un concatenamento di molte altre lettere.
I giochi di parole
sono molteplici, in quest’opera, così come i francesismi. Sono liriche dove
spesso manca volutamente la punteggiatura; sono bandite le lettere maiuscole,
come se l’autrice si affidasse alla forza che hanno le parole, conscia del
fatto che, per farsi sentire, non sia necessario gridare. Senza troppi
panegirici, Gabriella Montanari arriva dritta al concetto, perché la parola è
un’arma micidiale che riesce sempre a cogliere l’obiettivo. Essa basta e
avanza, se posta con maestria.
Esente da ogni tipo
di sentimentalismo sdolcinato, la poetica di quest’autrice poliedrica si
rivela di grande impatto. Sorge l’idea di riuscire a tradurre in versi
qualunque argomento.
Nelle liriche vengono
toccate tematiche che spaziano davvero in maniera notevole. Da quel mare
Adriatico - sempre presente poiché teatro della sua infanzia - , in particolare
“quel deprimente tratto di costa romagnola compreso tra le sempre meno ridenti
località balneari di Marina Romea e Lido di Spina”, un mare “circonciso”, che
“boccheggia”, di cui rimane un alone di “putrido”, associato alla mucillagine.
Non mancano la solitudine, la morte associata a figure di persone care,
l’olocausto, la stregoneria, e persino l’aborto.
C’è profondità in
questi versi, così come c’è talento nel modo di esprimerli. Amo alla follia
Charles Bukowski e ne ho troppo rispetto per fare qualunque tipo di paragone.
Ma ritengo che il vero successo per uno scrittore stia nel riuscire a “toccare”
il lettore, senza utilizzare frasi “toccanti”.
Faccio l’esempio
della mia poesia preferita, che corrisponde alla lettera N, e s’intitola
“Nutrice”:
“beh, visto che me lo
chiedi…/ qui il mare non si è mosso,/ la villa è abitata da nuovi volti,/ la
magnolia è cresciuta – s’è fatta donna, le è spuntata la fica / e i tuoi nipoti
mi chiedono/ se hai ali e se mangi abbastanza/ dimmi solo -/ se le stagioni
senza tempo ti son lievi/ se i morti se la tirano/ e, se almeno là, le parole
non servono/ svolazza pure dove vuoi, io ti tengo/ libera e stretta/ radice
aerea/ dell’universo albero/.
Insomma, nel grande “gioco” della vita, che in questo caso
potremmo paragonare ad un immenso Scarabeo, la voce di Gabriella Montanari sorge incontrastata e, attraverso
uno stile personalissimo, sparge tutt’attorno la sua eco. Sono parole che
rimbombano dentro e dimostrano che la buona poesia non sia mai cosa banale.
Written by Cristina Biolcati
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