Italia e
Germania si amano. Anzi, in verità si odiano. Sono corrette entrambe le affermazioni e
per comprendere l’ennesima esternazione tedesca contro il Bel Paese e i suoi
governati occorre rivisitare la spinosa love-story che coinvolge le due nazioni
da tempo immemorabile. Cominciamo coi fatti. L’aspirante Cancelliere teutonico Peer
Steinbrück ha commento l’esito delle Elezioni politiche italiane con parole
infelici: “Eletti due clown”. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
si è sentito offeso e ha annullato l’incontro previsto con Steinbrück invitando
la Germania a rispettare l’Italia così come l’Italia rispetta la Germania. Va
da sé che dietro la battuta del rappresentante politico dell’Spd si cela
l’evidente nervosismo dei tedeschi, Merkel su tutti, per il fatto che il loro
“amico” Monti sia stato trombato e che la sudditanza economico-politica
dell’Italia nei confronti della Germania potrebbe scemare. Non è la prima volta
né sarà l’ultima che i tognini, o kartoffeln, o mangiacrauti (chi più ne ha più
ne metta) sfogano il loro disagio contro di noi. Per altro, il fatto che loro ci
chiamino spaghetti, makkaroni e mafiosi indica quale considerazione abbiano di
noi. La verità è che noi ammiriamo i tedeschi ma non li amiamo, non li abbiamo
mai amati. Loro, i crucchi, non ci stimano, sovente ci disprezzano però ci
amano.
Aldilà delle parole, c’è un famoso quadro del pittore tedesco Friedrich
Overbeck (1789-1869) che fissa la strana relazione che lega i due Paesi. Si intitola Italia und Germania e si trova alla Neue Pinakothek di Monaco di
Baviera. Nel dipinto sono raffigurate due fanciulle, allegoria delle due
nazioni, che siedono l’una accanto all’altra e si tengono per mano. Sono colte
in un atteggiamento intimo che esprime chiaramente l’amore bruciante di una di
loro (la bionda, che corteggia, cioè l’anima tedesca ardente e volitiva) per
l’altra (la bruna, che è corteggiata, anima dell’Italia bisognosa di conforto).
Si intuisce dalla ritrosia della fanciulla italiana che si tratta di un amore
difficile, incompreso, impossibile. C’è incompatibilità fra le due anime,
romantica quella tedesca, e classicista l’italiana. I poli opposti si
attraggono e la storia dei rapporti fra Italia e Germania è intessuta di
corteggiamenti e respingimenti, lusinghe e tradimenti, amore e odio mai domo. Ma
forse i poli non sono poi così opposti: li avvicina il comune spirito idealista
e spiritualista, che si oppone a quello materialista e razionalista
dell’Inghilterra e della Francia.
Tutto ha avuto inizio coi Cesari, che
passarono il Reno convinti di domare le tribù germaniche come avevano fatto coi
Galli, i Britanni e molti altri popoli. Ma i germanici erano tosti e respinsero le
aquile. È certamente casuale ma bizzarro
che l’offesa di Steinbrück cada a distanza di 2.000 anni esatti dall’impresa
militare del Generale romano Germanico le cui legioni vendicarono la disfatta
di Teutoburgo e devastarono il territorio oltre il Reno, infliggendo sconfitte
e umiliazioni al re dei Cherusci Arminio. Altri tempi, d’accordo, ma qualcuno
glielo ricordi a quell’idiota di Steinbrück. E gli ricordi anche il celeberrimo
4-3 dei Mondiali di Calcio del 1970 e il 3-1 della finalissima di Madrid del
1982. Ai tedeschi brucia particolarmente il fatto che regolarmente gli
spezziamo le corna, quanto meno su un campo di calcio. Da allora (intendo
l’anno 13 d.C.), gli umori del popolo tedesco nei nostri confronti sono dettati
da sentimenti inconfessati. I crucchi ci invidiano il sole, la fantasia,
l’allegria, la bellezza e l’antica gloria. Sono attratti dall’Italia e dalla
sua luce calda come l’amante è sedotto dall’amata, che tuttavia si concede quando
e come vuole e non prova pari amore. Il grande storico Ferdinand Gregorovius,
autore del monumentale Storia della città
di Roma nel Medioevo, ha giustamente rimarcato che il popolo tedesco
e
quello italiano hanno condiviso gran parte della loro storia e sono
uniti, nel
bene come nel male, da un legame doloroso e misterioso che sembra
perenne. È
vero, siamo uniti alla Germania dalla storia, in particolare dall’idea
dell’Impero. Roma passò il testimone alla Germania. Ci unisce anche il
fatto
che siamo state le due ultime grandi nazioni europee a ricomporci in
unità
nazionali. Il miraggio dell’impero ha impedito che sorgessero, nella
caotica
Italia, come nella frazionata Germania, quelle monarchie nazionali che
invece
nascevano e si consolidavano in Inghilterra, Francia, Spagna,
Portogallo, Danimarca e Svezia. Italia e Germania sono Stati moderni
giovani e tormentati. La
Germania in particolare, smembrata in due parti fino a pochi anni fa a
causa
della sua vocazione alle guerre dettate dalla volontà di potenza che
insieme
all’arroganza e alla mancanza di ironia è una delle caratteristiche del
suo popolo.
Siamo uniti da tante cose ma divisi da
altrettante. I tedeschi amano il nostro mare (soprattutto la Riviera
Adriatica), la pizza, la Ferrari, la “dolce vita”. Prima che queste cose
venissero di moda ci amavano perché siamo come in fondo vorrebbero essere: allegri,
creativi, geniali, imprevedibili. I loro intellettuali (da Goethe a Winckelmann,
da Hesse a Mann) ci consideravano la Terra Promessa per via dell’Arte e della
Letteratura. Attenzione, però. È una prerogativa degli intellettuali tedeschi
struggersi per l’Italia, non del Volk
germanico, il popolino che all’arte preferisce la birra. Il tedesco medio ci
disprezza. Disprezza i nostri emigranti, la nostra inaffidabilità, la leggerezza
e la furbizia con cui ci comportiamo. Non potrebbe essere diversamente. Da
parte nostra, se è vero che stimiamo i tedeschi per la loro efficienza, disciplina,
dignità, forza, compattezza e per la buona amministrazione, è anche vero che
non ci sono simpatici e in fondo li consideriamo “rozzi, grossi e stupidi”.
A
tale proposito, mi viene in mente una vecchia barzelletta che rende bene
l’idea. In tempo di guerra, un soldato italiano dice ai commilitoni appostati
in trincea: “i tedeschi si chiamano quasi tutti Franz. Gridiamo Franz e il
primo che si affaccia lo facciamo secco”. Gli altri sono d’accordo e allora lui
grida “Franz!”. Spunta la testa di un tedesco che esclama “Ja?”. Boom, il
tedesco viene colpito a morte da un cecchino italiano. La storia si ripete
altre quattro volte finché i tedeschi capiscono il trucco e cercano di copiare
l’idea. Un ufficiale dice ai soldati: “Molti italiani sono napoletani e i
napoletani si chiamano tutti Gennaro, proviamo…”. Un tedesco grida “Gennaro!”.
Dall’altra parte si leva il grido “Sei tu Franz?”. Il tedesco si alza in piedi
“Ja!”. Boom.
È chiaro che i tedeschi non sono stupidi così come noi non siamo
tutti inaffidabili, ma la barzelletta ci ricorda che i luoghi comuni sono un
forte deterrente all’amicizia fra i popoli. Quella fra Italia e Germania è
oggettivamente difficile. Sulle televisioni tedesche raccolgono applausi i
comici locali che fanno il verso agli italiani (ma noi li abbiamo preceduti nel
1974 con la macchietta del professor Kranz di Paolo Villaggio). Nel 2006, su Der Spiegel fu pubblicato un articolo di
Achim Achilles sarcastico e razzista nei confronti dell’Italia. Nel 2008, la catena di negozi di
elettrodomestici Mediamarkt promosse degli spot pubblicitari vergognosi in cui
il comico tedesco Olli Dittrich interpretava un italiano truffaldino. Nel 2010,
furoreggiò in Germania la canzone “Nur Italien nicht” il cui testo spiccava per
originalità: si offendeva l’Italia con stereotipi triti e ritriti, la pizza, la
pasta, la mafia e Berlusconi. L’allora ministro degli esteri Frattini dovette
intervenire per evitare un incidente diplomatico. Quest’anno è toccato a
Napolitano esprimere l’italica indignazione per il dileggio tedesco. Sono solo gli
esempi più recenti di come i tedeschi usino nei nostri confronti atteggiamenti
sprezzanti che a ben guardare rivelano un complesso d’inferiorità mai riconosciuto.
In un discorso tenuto al Reichstag nel 1888, Otto von Bismarck tuonò che “i
tedeschi temono Dio ma nient’altro al mondo”. Mentiva. I tedeschi temono l’Italia
e gli italiani, e non solo quando c’è di mezzo una sfida a pallone. Ci temono perché non
riescono a capire cosa abbiamo in testa e come possiamo respingere il loro
amore possessivo e autoritario. Ci amano, lo ribadisco, ma come tutti gli
amanti non corrisposti o delusi ci detestano. Nel loro immaginario collettivo noi siamo e resteremo quelli dell’8 settembre 1943. Il nostro diniego, insieme al
nostro stile di vita fatto di improvvisazione e salti della quaglia, mette in crisi la loro sicurezza, che come insegna la
storia è fragile e spesso fasulla.
In Guerra e Pace,
Tolstoj rimarcò che “il tedesco è sicuro di sé nel modo peggiore di tutti, nel
più energico e nel più ripugnante dei modi, perché si immagina di conoscere la
verità, cioè una scienza che s’è inventata lui stesso ma che per lui è
l’assoluta verità”.
Come si può amare a cuor leggero chi è così sicuro di sé da
rendersi odioso?
www.giuseppebresciani.com
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