La buona politica trasforma la montagna da problema a opportunità
In Italia, la popolazione
montana è crollata dal 42 al 26% in 60 anni. Ma il Trentino, insieme ad Alto
Adige e Valle d'Aosta sono in netta controtendenza, grazie a politiche
pubbliche lungimiranti che hanno saputo attrarre giovani offrendo loro
opportunità di futuro
Roma,
9 febbraio 2016 - Rappresentano il
43% della superficie italiana ma i territori montani stanno assistendo a un
progressivo, silenzioso spopolamento a tutto vantaggio delle pianure. Eppure la
responsabilità non è tanto da attribuire all'orografia quanto a scelte
politiche sbagliate. Tanto è vero che, dove i decisori pubblici hanno saputo
mettere in campo policy pubbliche lungimiranti, i dati sono in
netta controtendenza, fino a rappresentare delle vere e proprie best practice per l'intero Paese. Sugli allori, in
questo senso, le esperienze di Trentino, Alto Adige e Valle d'Aosta, dove la
popolazione montana, anziché diminuire, cresce a ritmi importanti.
É,
in sintesi, il filo conduttore del rapporto "LA MONTAGNA PERDUTA.
Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano", curato dal
CER (Centro Europa Ricerche) e da TSM Trentino School of Management, con il
patrocinio del Senato della Repubblica, dell’Unione Nazionale Comuni Comunità
Enti Montani e della Fondazione Dolomiti Unesco.
«I
territori montani sono un nodo strategico per l'economia verde, in una società
che vede sempre più avanzare la crisi idrica ed energetica» ha osservato in
apertura del convegno, il
presidente del Senato, Pietro Grasso. «Adeguate
politiche pubbliche devono essere in grado di superare le condizioni di
svantaggio che limitano le potenzialità della montagna non ancora
sufficientemente sfruttate».
«Del
dissanguamento delle comunità residenti in montagna si è parlato sempre molto
poco» spiega Gianfranco Cerea, economista
dell'università di Trento e curatore della ricerca, che è stata illustrata
oggi pomeriggio in Senato, alla presenza del presidente del Senato, Pietro
Grasso. «La letteratura, che pure
abbonda di lavori sul divario Nord-Sud, quasi mai ha studiato il rapporto tra
pianura e montagna. Ecco il senso di questa ricerca, tutta dedicata alla
cosiddetta 'questione montana'»
I
numeri dello spopolamento appaiono impietosi: a fronte di una popolazione
italiana cresciuta di 12 milioni di unità negli ultimi 60 anni, la montagna ha
perso 900mila abitanti. La crescita si è quindi concentrata in pianura (8,8
milioni di residenti in più) e collina (+4 milioni). Risultato: se nel 1951 la
popolazione montana era il 41,8% rispetto a quella di pianura, oggi rappresenta
solo il 26%. «E il meccanismo si
autoalimenta» osserva ancora
Cerea.«Avere meno popolazione significa avere meno peso politico, minore
domanda di servizi e un'organizzazione più difficile con una conseguente
maggiore propensione all'emigrazione in pianura».
Ma
a dimostrare che il circolo, da vizioso, può essere al contrario trasformato in
virtuoso, ci sono tre esempi, citati dai stessi ricercatori: in Trentino-Alto
Adige e Valle d'Aosta la popolazione è cresciuta tanto da attestarsi tra le
prime cinque regioni che hanno avuto il maggiore incremento generale di
popolazione. In particolare, la provincia di Trento è la principale
destinazione delle migrazioni interne. E, accanto al saldo migratorio interno
favorevole, un altro dato è stato sottolineato nella ricerca: Trentino e Alto
Adige hanno anche il secondo più basso rapporto di anziani per bambini,
ribaltando una classifica che, 40 anni fa, le vedeva al settimo posto.
Il
merito di questa apparente contraddizione è delle buone politiche pubbliche
adottate nel corso del tempo dagli amministratori locali, che, si legge nella
ricerca, «hanno trattato la montagna non come un limite ma come una specificità, puntando su una
dotazione di infrastrutture non minore rispetto ai territori di pianura, anche
a fronte di un costo più alto, garantendo un maggiore accesso ai servizi
pubblici essenziali e una qualità di vita elevata. Elementi che hanno permesso
alle imprese di prosperare e all’agricoltura di rivoluzionarsi, divenendo moderna
e competitiva».
Per
raggiungere questi risultati invidiabili, un contributo essenziale, osservano
gli autori dello studio, è arrivato dall'autonomia gestionale delle risorse
economiche del territorio. Ma da sola l'autonomia non basta: Fatto 100 il
valore al 1970 della ricchezza di partenza tale valore, nel 2012 per il
Trentino arriva a 345, quello della provincia di Bolzano a 328 mentre la media
nazionale è ferma a 264 e la Sicilia, altra regione autonoma, ha un valore di
230. L'aver avuto a disposizione risorse aggiuntive non ha significato avere
dovunque gli stessi risultati, ma rimane centrale il tema della capacità non
solo di spendere, ma anche di spendere bene, creando reale ricchezza e
opportunità per il territorio.
«Da questa ricerca emerge con forza che le diversità delle politiche hanno
inciso dal punto di vista qualitativo», ha commentato in conclusione Ugo Rossi, presidente della
Provincia Autonoma di Trento, che
ha colto l'occasione per sottolineare l'importanza di tutelare l'autonomia
statutaria del proprio territorio «Da
più parti ci si invita a riflettere sulla nostra autonomia. Ma noi tale
riflessione l'abbiamo fatta da tempo, accettando di aumentare le nostre
competenze e diminuire al tempo stesso la percentuale di risorse locali che
tratteniamo nel nostro territorio per contribuire a ripianare il debito
pubblico nazionale. L'autonomia non è la difesa di un mondo e delle proprie
prerogative dalle minacce esterne, ma è la tutela delle nostre buone
esperienze, del nostro bagaglio di conoscenza, di uno strumento che ha
garantito la qualità di vita dei nostri cittadini».
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