Milano,
6 settembre 2016 - Ayming, gruppo internazionale di Business Performance
Consulting nato dall’unione di Lowendalmasaï e Alma Consulting Group, ha
presentato l’8° Edizione del Barometro sull’Assenteismo, il Coinvolgimento e la
Motivazione dei dipendenti, che quest’anno, per la prima volta, è stato
condotto a livello europeo, con il coinvolgimento dei seguenti paesi: Italia,
Francia, Benelux, Regno Unito, Germania, Spagna e Portogallo.
La
ricerca, condotta nel giugno 2016, ha interessato due diversi target: i
direttori HR e i dipendenti di aziende private. Le interviste ai direttori HR
sono state gestite direttamente da Ayming, che ha somministrato via e-mail un
questionario a un totale di circa 500 direttori HR, di cui 118 italiani. Il
sondaggio che ha coinvolto i dipendenti ha visto la collaborazione di TNS
Sofre, che ha intervistato un totale di 3.009 dipendenti, di cui 500 in Italia.
Il
Barometro Ayming ha lo scopo di delineare un quadro sul tema dell’assenteismo e
della motivazione dei dipendenti a livello europeo, cercando al contempo di
comprendere come le aziende private gestiscono queste tematiche, profondamente
correlate tra loro, e se questi sono ritenuti oggi punti centrali per l’agenda dei
direttori delle risorse umane.
L’assenteismo
costituisce un elemento rilevante nella gestione delle risorse umane, perché ha
un impatto significativo anche dal punto di vista economico: Ayming stima
infatti che 1 punto percentuale del tasso di assenteismo generi un costo
variabile pari a un range dallo 0,3% al 1,87% del totale della retribuzione dei
collaboratori.
Il
concetto di “assenteismo” - se inteso come uno stile di comportamento delle
persone che si assentano dal luogo di lavoro in maniera sistematica -
rappresenta il sintomo di un rapporto di scarsa fiducia tra collaboratori e
azienda; sintomo che deve essere analizzato, interpretato e, ove possibile,
corretto.
Solo disponendo di dati che ne misurano l’impatto e permettono di
circoscriverne cause e caratteristiche si può distinguere l’assenteismo “fisiologico”,
sul quale la gestione delle risorse umane non può intervenire, ma può limitarsi
a gestirlo nella maniera più corretta, dall’assenteismo legato a motivazioni di
contesto organizzativo.
È dimostrato infatti che negli ambienti di lavoro dove
esiste senso di collaborazione, fiducia nei confronti del management e
riconoscimento delle persone a tutti i livelli i tassi di assenze sono inferiori.
Ha
dichiarato Yannick Jarlaud, Direttore dello studio all’interno della Business
Line HR performance del gruppo Ayming: "I dipendenti europei hanno molte
“facce” e il loro rapporto con il lavoro è multiforme, come la percezione che
hanno della loro motivazione e del loro coinvolgimento all’interno dell’azienda,
fortemente influenzata dalla loro nazionalità. Questo primo studio qualitativo
pan-europeo consente di identificare delle aree comuni di gestione
multiculturale sulle quali le aziende europee dovrebbero concentrare i propri
sforzi".
Caratteristiche del campione intervistato
I due
campioni intervistati fanno parte di aziende private con un numero di
collaboratori da 9 a oltre 1.000, appartenenti ai settori edilizia, commercio,
industria, sanità e servizi.
Per quanto riguarda i dipendenti, gli intervistati
sono per il 44% donne e per il 56% uomini, di un’età compresa tra i 16 e i 62
anni, con una percentuale maggiore - pari al 32% sul totale - di dipendenti
nella fascia di età tra i 41 e i 50 anni. I ruoli professionali vanno dai
quadri con funzione di management (13%), agli operai (17%), agli impiegati
(46%), altro 24%.
L’assenteismo dal punto di vista dei direttori HR
Il
primo dato emerso dal Barometro Ayming, che accomuna quasi tutti i paesi
coinvolti nella ricerca, è la poca uniformità nella definizione dei manager del
termine “assenteismo” e nell’indicare quali tipologie di “assenza” dovrebbero
rientrare sotto questa voce.
Infatti, anche se la maggior parte dei direttori HR
a livello europeo afferma di misurare il tasso di assenteismo nella propria
azienda, in Italia è il 74% a calcolarlo, l’84% in Francia e l’82% in
Portogallo, non esiste uno strumento comune, e ogni realtà lo misura secondo
propri parametri.
Non
solo. Alla domanda “Quale tipologia di assenza considerate nel calcolare il
tasso di assenteismo?”, quasi il 100% del campione di aziende italiane
intervistate considera parte del fenomeno, oltre alle assenze ingiustificate,
anche quelle per malattia personale/professionale, incidenti sul lavoro/infortunio
e congedo maternità/paternità.
Questo dato è il riflesso di un orientamento
culturale secondo il quale l’assenza del collaboratore, a prescindere dalla
motivazione, viene percepita e valutata dall’azienda in modo negativo.
Rispetto
ad altri paesi europei ad esempio, l’abitudine italiana di considerare i
congedi parentali come legati al concetto di “assenteismo” riflette una cultura
in cui la genitorialità dei collaboratori è ancora lontana dall’essere
percepita come un valore, quanto piuttosto rappresenta un rallentamento organizzativo
e, nei casi più eclatanti, un ostacolo allo sviluppo professionale e alla
carriera.
Passando
ai numeri analizzati, qual è il tasso di assenteismo registrato dai direttori
HR? L’Italia emerge come il paese con il valore più contenuto, pari al 5,49% se
si confronta con il 6% della Spagna, il 6,21% del Portogallo e il 7% della
Francia.
Tale
5,49% si differenzia in modo importante in funzione della dimensione
dell’organizzazione: da una percentuale minima dell’1,28% in organizzazioni con
un numero di collaboratori compreso tra 20 e 49, fino ad arrivare al dato
massimo del’8,01% in aziende che impiegano dai 250 ai 499 dipendenti.
Nelle
organizzazioni più piccole, infatti, l’assenza di un collaboratore ha un
impatto maggiore sui processi aziendali e sulla programmazione del lavoro
stesso; il concetto del “se il mio lavoro non lo faccio io, non lo può fare
nessun altro” appare come uno dei principali freni all’assenza delle persone,
seppur per giustificata causa.
Inoltre, probabilmente, il dipendente di una piccola
realtà, a prescindere dal suo ruolo in azienda, si sente anche più responsabile
dei “risultati” della propria organizzazione, perché più coinvolto.
Inoltre,
quello che il 56% degli HR manager italiani intervistati aggiunge è che il
tasso di assenteismo nel 2015 è risultato stabile rispetto all’anno precedente,
mentre il 28% afferma che nella propria realtà è diminuito e solo il 17% registra
una crescita.
Dati, questi, in contrasto ad esempio con la Francia, dove ben il
49% degli intervistati dichiara che il tasso di assenteismo è aumentato
nell’ultimo anno, il 24% ritiene che è diminuito e il 27% afferma che è stabile.
Evidentemente,
considerando che la maggioranza dei manager ritiene il fenomeno stabile nel
tempo, non lo si valuta un tema strategico sul quale investire per quasi metà
del campione intervistato.
Alla domanda “Avete messo in atto qualche iniziativa
per ridurre l’assenteismo?” il 49,4% dei direttori HR italiani intervistati ha
risposto negativamente, il 24,1% ha agito nell’anno in corso e il 26,3% esprime
la volontà di agire nel futuro.
Ma il
risultato che mostra come il tema dell’assenteismo sia probabilmente un “nuovo”
argomento per i direttori HR italiani, è che il 54% di chi ha messo in pista
una qualche attività, lo ha fatto da meno di un anno.
Il dato
interessante è che le azioni avviate, pur avendo come obiettivo il fenomeno dell’assenteismo,
puntano anche all’incremento della motivazione e al miglioramento della qualità
della vita professionale dei collaboratori.
Le 3 iniziative principali adottate
dagli intervistati sono:
- formazione del middle management alla gestione dell’assenza;
- utilizzo di un sistema informatico per la gestione delle assenze;
- avvio di un chiaro piano di comunicazione interna sul tema dell’assenteismo.
Tra le
aziende italiane che hanno già avviato un programma per ridurre l’assenteismo,
i primi risultati sono già evidenti:
- il 36% ha registrato una diminuzione delle percentuali dell’assenteismo;
- il 23% ha registrato un maggiore coinvolgimento dei propri dipendenti;
- il 20 % ha ottenuto un miglioramento delle performance sociali ed economiche dell’impresa;
- il 14% ha registrato un aumento della collaborazione tra colleghi.
I
direttori HR italiani identificano però una serie di fattori che molto spesso
ostacolano una buona politica di gestione e monitoraggio dell’assenteismo. I limiti
principali identificati sono:
- mancanza di coinvolgimento del middle management, secondo il 20% degli intervistati;
- banalizzazione dell’assenza, secondo il 14% degli intervistati;
- scarsa chiarezza nella comunicazione, secondo il 14% degli intervistati.
Dall’altro
lato, i fattori principali che secondo i responsabili italiani del personale hanno
costituito una leva per il successo delle iniziative implementate sono:
- sponsorship da parte della direzione, secondo il 23%;
- supporto dei dipendenti più motivati all’interno dell’azienda, secondo il 20%;
- coinvolgimento dei rappresentanti dei dipendenti, secondo l’11%.
E i dipendenti europei che rapporto hanno con il
proprio lavoro?
Dopo aver trattato la visione dei direttori HR in
merito al tema dell’assenteismo, la seconda parte della ricerca Ayming si
concentra sul punto di vista dei dipendenti, rispetto ai temi legati all’assenza
e alla motivazione.
Ai dipendenti è stato chiesto di quantificare la
propria presenza sul posto di lavoro: il dato emerso a livello europeo è che il
72% degli intervistati si dichiara “sempre presente”, indipendentemente dalle
assenze per congedo maternità e paternità, elemento che nella percezione dei
collaboratori non rientra nel fenomeno.
Se si analizzano i dati
per paese, la ricerca mostra che i britannici dichiarano una presenza più
costante al lavoro, raggiungendo un tasso di “sempre presenti” pari all’86%,
seguiti dagli olandesi con l’83%, dai tedeschi con l’80% e dagli spagnoli con
il 79%. I francesi e i belgi si posizionano leggermente al di sotto della media
europea, registrando il 71%.
Il dato italiano? Solo
il 41% dei dipendenti nel nostro Paese ritiene di essere stato sempre presente
al lavoro nell’ultimo anno. Come mai? L’ampia forbice tra la media europea e
quella italiana è data da alcune concrete diversità fra le legislazioni dei
paesi in tema di lavoro, ma soprattutto dalla diversa concezione dell’assenza
dal lavoro.
Infatti per alcuni paesi essere assenti significa “non recarsi sul
posto di lavoro”, mentre per altri significa “rimanere a casa”. Ad esempio, alcuni
considerano “assenza” il frequentare un corso di formazione al di fuori della
sede aziendale ufficiale, anche se la formazione è parte dell’attività
lavorativa ed è organizzata dall’azienda stessa.
D’altro canto, il dato
del 41% appare poco coerente con un fenomeno tipico della cultura italiana: il fenomeno
del “presentismo”. Esso si verifica quando un dipendente si reca in ufficio,
pur sapendo che la sua produttività sarà ridotta a causa di problemi di salute
fisica o psicologica, per paura di essere percepito come “fannullone”.
Il
presentismo appare talmente radicato nella cultura del lavoro italiana da
manifestarsi come un comportamento automatico, di cui i lavoratori italiani fanno
fatica anche a rendersi conto.
Le condizioni di vita all’interno del contesto
lavorativo rappresentano il 55% delle cause di assenza dei dipendenti a livello
europeo
Quando ai dipendenti viene
chiesto quali siano le cause della propria assenza dal luogo di lavoro, la
principale motivazione citata è relativa allo stato di salute individuale e dei
propri cari.
Le altre motivazioni sono relative alla qualità della vita
all’interno del contesto organizzativo. Se si sommano le motivazioni personali
a quelle professionali, la media di lavoratori europei che si assenta per
motivi di salute è pari al 45% delle assenze totali.
Il Barometro
Ayming ha anche analizzato l’approccio e il comportamento al lavoro dei dipendenti
europei intervistati, suddividendo la popolazione coinvolta in due macro
categorie:
-
i dipendenti “soddisfatti”, ossia appagati dalla
propria vita lavorativa, e “coinvolti”, cioè che si impegnano per il futuro
della propria organizzazione;
-
i dipendenti “non interessati” al futuro della
propria organizzazione e “insoddisfatti” della propria vita lavorativa.
Il 73% dei dipendenti europei intervistati afferma
di essere “soddisfatto” sul posto di lavoro, dato guidato dagli olandesi che si
posizionano al primo posto, raggiungendo l’82%, seguiti dai britannici con
l’80% e dai tedeschi con il 78%. Simili tra loro le percentuali dei francesi
con il 68%, degli spagnoli con il 67% e infine degli italiani con il 66%.
La relazione tra la
soddisfazione dei dipendenti sul posto di lavoro e il loro coinvolgimento
I Paesi Bassi registrano una percentuale di
dipendenti “soddisfatti e coinvolti” pari al 54%, seguiti dalla Germania con il
46%, dall’Italia con il 45% e dalla Spagna con il 44%.
Il Belgio (38%) e la
Francia (35%) si posizionano al di sotto della media europea. Gli inglesi che,
come indicato in precedenza, mostrano una percentuale di dipendenti soddisfatti
tra le più alte in Europa, registrano una percentuale di dipendenti
“soddisfatti e coinvolti” pari solo al 23%.
Tra i dipendenti europei che hanno dichiarato di
essere “soddisfatti”, il 55% afferma di sentirsi implicato nel futuro della
propria azienda mentre, tra coloro che si dichiarano “insoddisfatti” solamente il
26% si sente coinvolto nell’avvenire della propria impresa.
Riassumendo, la soddisfazione per il proprio lavoro
e il benessere organizzativo raddoppiano la predisposizione al coinvolgimento
volontario dei dipendenti per il successo futuro della propria azienda.
Questi dati confermano la relazione tra la soddisfazione
relativa all’ambiente di lavoro e la motivazione dei dipendenti: impegnarsi per
accrescere il benessere e la soddisfazione delle persone sembra essere una
buona pratica di gestione per aumentare il loro coinvolgimento professionale e migliorare
le loro performance.
Questa correlazione tra soddisfazione e impegno si
rivela anche nell’atteggiamento futuro, secondo le intenzioni manifestate dagli
intervistati. Infatti, a livello europeo, i dipendenti coinvolti e soddisfatti sono
più inclini ad accrescere il proprio impegno professionale nel futuro (76%)
rispetto ai dipendenti insoddisfatti e non interessati (24%).
In Italia, questo
dato cresce: è il 79% dei dipendenti “soddisfatti e coinvolti” che si dichiara pronto
a impegnarsi a vantaggio del futuro della propria organizzazione.
La condizione di
soddisfazione e coinvolgimento dei dipendenti ha impatto sulle motivazioni
d’assenza
A livello europeo, i principali motivi di assenza
dei dipendenti soddisfatti e coinvolti sono il proprio stato di salute (25% del
totale) e la situazione personale (13%).
Il carico di lavoro (7%), l’insoddisfazione
legata alla retribuzione (7%) o alla scarsa serenità dell’ambiente di lavoro (7%),
registrano un’incidenza più limitata, contrariamente a quanto avviene per i
collaboratori insoddisfatti.
Il tasso di assenza dei dipendenti maggiormente
identificati con l’organizzazione si dimostra quindi legato a impedimenti personali
difficilmente prevedibili, piuttosto che a motivazioni professionali.
Guardando ai dati italiani, tale tendenza è
confermata: se mediamente le assenze per motivi personali si assestano sul 45% si
nota che per la categoria di dipendenti soddisfatti e coinvolti tale
percentuale sale al 52%, e scende al 44% per la categoria degli insoddisfatti e
non interessati.
Le principali
motivazioni che generano coinvolgimento nei dipendenti
In Italia i collaboratori intervistati indicano 3 motivi
principali che generano in loro soddisfazione e interesse per la propria
azienda:
- il contenuto del proprio lavoro, secondo l’84% dei dipendenti intervistati;
- il riconoscimento da parte dell’azienda, secondo l’82% dei dipendenti intervistati;
- le relazioni umane instaurate sul posto di lavoro, secondo l’80% dei dipendenti intervistati.
Per la
categoria dei dipendenti soddisfatti e coinvolti il significato del proprio
lavoro, e l’autonomia nello svolgimento delle proprie attività, sono essenziali
per la propria motivazione. Questo gruppo considera anche una buona qualità delle relazioni all’interno del
proprio gruppo di lavoro come elemento chiave.
Tale impegno e coinvolgimento, per essere
sostenibile nel tempo, deve essere riconosciuto dall’azienda e, se possibile,
ricompensato. Relativamente al benessere al lavoro, i dipendenti più
soddisfatti e coinvolti affermano anche che apprezzerebbero un miglioramento
dell’ambiente fisico di lavoro, una maggiore attenzione alla salute fisica e una
maggiore flessibilità lavorativa.
Il gruppo dei dipendenti insoddisfatti e non
interessati indica come principali elementi motivanti il miglioramento del contenuto
del proprio lavoro, una maggiore flessibilità lavorativa e il miglioramento
delle relazioni umane.
Compito delle aziende dovrebbe quindi essere quello di motivare i propri collaboratori
al fine di tenere alta la loro soddisfazione e il loro coinvolgimento.
Le 3
motivazioni espresse dai dipendenti italiani in merito alla propria
soddisfazione sono infatti un comune denominatore, rispetto alla qualità del
lavoro e al proprio coinvolgimento, tra i dipendenti dei paesi coinvolti nello
studio.
Ha commentato Yannick Jarlaud: “Il “triangolo” contenuto del
lavoro/riconoscimento/relazioni umane dovrebbe essere alla base delle policy
delle aziende a livello europeo. Siamo infatti convinti che il successo
economico delle imprese sia guidato dal capitale umano. Integrando queste
tematiche all’interno delle policy aziendali, è possibile migliorare le proprie
performance e la propria crescita”.
Inoltre, i direttori HR individuano una serie di campanelli di allarme della
minore partecipazione dei dipendenti alla vita aziendale. Il dato interessante che
emerge è che l’assenza dal posto di lavoro non è tra i primi sintomi dichiarati
dai collaboratori.
Al contrario per i dipendenti italiani assentarsi dal posto
di lavoro è al 7° posto tra i comportamenti che adotterebbero se si sentissero meno
motivati sul lavoro. Al primo, al secondo e al terzo posto i dipendenti
italiani rispondono:
- “sarei presente, ma farei solo lo stretto necessario”;
- “richiederei un colloquio”;
- “non esprimerei più la mia opinione/non darei più suggerimenti”.
Tali
motivazioni risultano però differenti in funzione del gruppo di collaboratori
preso in considerazione: se i dipendenti soddisfatti e coinvolti, come prima
reazione, manifesterebbero apertamente il proprio disagio, chiedendo un
incontro con il proprio responsabile, la demotivazione della categoria degli insoddisfatti
e non interessati appare meno evidente e, in maniera latente, agisce verso il
comportamento tipico del presentismo sopra descritto.
La parte
conclusiva del Barometro Ayming ha interrogato sia i direttori HR sia i dipendenti
in merito alle principali aree di miglioramento che, nella loro attuale
esperienza, riscontrano.
Dall’analisi delle
risposte dei dipendenti emergono tre aree di miglioramento principali sulle
quali i responsabili delle risorse umane dovrebbero focalizzarsi: opportunità
uguali per tutti, sviluppo professionale e riconoscimento (economico e non) da
parte dell’azienda.
Rispetto a questi
temi, la percezione dei direttori HR sul livello di qualità nella propria
azienda appare migliore; infatti, per quanto riguarda le tre aree ritenute
deboli da parte dei collaboratori, i direttori HR si dichiarano più soddisfatti
(mediamente di 22 punti percentuale) rispetto ai dipendenti.
“In conclusione -
ha commentato Giuditta Villa, Southern Region Director HR performance di Ayming
- al fine di arginare il fenomeno dell’assenteismo e accrescere la motivazione
dei collaboratori appare evidente la necessità di costruire una cultura
organizzativa basata prima di tutto sull’ascolto delle esigenze e sul
coinvolgimento delle persone, per comprendere dove dirigere gli sforzi e assicurare
così efficienza negli investimenti organizzativi”.
Ayming
Ayming è un gruppo internazionale di Business Performance Consulting nato
dall’unione di Lowendalmasaï e Alma Consulting Group.
Con sede in 14 paesi -
Belgio, Canada, Cina, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Regno Unito,
Ungheria, Italia, Giappone, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna - nel 2015, il
Gruppo, il cui staff è composto da circa 1.500 dipendenti, ha raggiunto un
fatturato di 173 M€.
Ayming offre alle aziende un supporto strategico e
operativo per il miglioramento e lo sviluppo delle proprie performance in tre
aree chiave: Operations (supply chain, working capital, strategic purchasing),
Fiscalità & Innovazione e Risorse Umane.
La mission di Ayming è di
accompagnare i propri clienti attraverso Value Performance Program in
prevenzione e gestione del rischio, ottimizzazione dei processi,
dell’organizzazione e dei finanziamenti, sviluppo di strategie di crescita
delle risorse.
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