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martedì 22 marzo 2005

Il processo di riciclo delle batterie al piombo esauste

Riciclando le batterie al piombo esauste si previene la natura dall’inquinamento di sostanze tossiche e si risparmiano molte risorse che ritornano alle imprese come nuove materie prime, pronte per essere nuovamente lavorate.

Vediamo le tappe di questo processo che inizia quando il COBAT, dopo aver raccolto le batterie esauste in tutta Italia, le invia gli impianti di riciclo consorziati.

La frantumazione Prima di tutto, le batterie vengono frantumate e le diverse componenti, piombo metallico, ossidi e solfati di piombo, plastiche ed elettrolita (acido solforico), sono separate e selezionate: l’acido viene è neutralizzato mentre le plastiche (soprattutto polipropilene) vengono sciacquate e triturate sono per essere rimesse sul mercato.

La fusione Tutto il piombo contenuto nelle batterie, viene fuso ad una temperatura fra 800° e 1000°C in specifici forni che consentono il controllo delle emissioni in atmosfera. Tale piombo, detto “piombo d’opera”, viene poi avviato alla raffinazione.

La raffinazione Il piombo d’opera, a seconda del prodotto finale che si vuole ottenere, subisce diversi trattamenti in caldaie a temperature fra i 350° e 500°C. Il piombo che ha perduto tutte le impurità si chiama “piombo secondario”, ed è in tutto identico alla risorsa originaria estratta dal minerale. Tra i suoi impieghi: produzione di nuove batterie, il rivestimento di cavi elettrici, industria chimica e delle ceramiche, nonché per la produzione di apparecchiature radiologiche e lastre e tubi per l’edilizia.

andrea pietrarota

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