Gli avvocati vanno all’attacco. E replicano all’Antitrust
Questa volta gli avvocati non ci stanno. E vanno all’attacco. Definiscono l’Antitrust “un’organizzazione rappresentativa d’interessi” piuttosto che un’istituzione pubblica che responsabilmente conforma la propria azione di tutela in termini coerenti con altri interesse pubblici rilevanti. Accusano il Governo di aver ignorato sistematicamente, nei suoi interventi anticrisi, le attività professionali per rivolgersi alle sole imprese. E puntano il dito contro l’uso strumentale che i poteri forti farebbero delle liberalizzazioni.
E’ durissima la replica del Consiglio nazionale forense alla segnalazione che l’Authority ha inviato lo scorso 21 settembre a Governo e Parlamento. Un Ddl, quello di riforma della professione forense, che secondo l’Authority limiterebbe la concorrenza e farebbe aumentare i costi a carico dei clienti. “Considerare la concorrenza come unico pilastro nell’universo giuridico-economico, che si regge soprattutto sui diritti, porta e conseguenze inaccettabili”. Così il presidente del Cnf, Guido Alpa, ha voluto difendere la posizione dell’Avvocatura evidenziando che i rilievi mossi dall’Antitrust sono “spuntati alla prova dei fatti”. Nel documento di 20 pagine che i vertici dei legali invieranno a loro volta a Governo e Parlamento lo “cahiers de doléance" è ampio e tocca quasi tutti i nodi di fondo della riforma. Se proprio di concorrenza bisogna parlare – dicono gli avvocati – va fatto innanzitutto notare il silenzio “assordante” dell'Agcm a proposito della ricorrente mancata inclusione delle libere professioni in ogni provvedimento normativo che miri a sostenere i comparti economico produttivi in questo delicato frangente storico di crisi. Quanto alle liberalizzazioni, che hanno cancellato le tariffe minime obbligatorie, l’unico effetto paradossale che si è potuto registrare – denuncia il Cnf - è che ad avvantaggiarsene non sono stati i consumatori ma le grandi imprese (banche e assicurazioni in primis), che hanno imposto ai legali condizioni inique, generando un abbassamento dei livelli di qualità e deontologia. La riforma in discussione al Senato che punta alla revisione dell’accesso, a un nuovo procedimento disciplinare non corrisponde a prese di posizione corporativa ma ad esigenze di qualificazione professionale degli avvocati e quindi di garanzia per i cittadini. “C'è poco tempo da perdere – conclude Alpa - perché ogni anno passano l'esame 15 mila candidati e nel complesso la loro preparazione è molto modesta”. Gli albi, in pratica sono intasati da laureati in giurisprudenza che tutto fanno tranne che andare in udienza. I 280 emendamenti al Ddl presentati dal comitato ristretto della commissione Giustizia del Senato non toccano i nodi cardine della riforma. Motivo per cui, gli avvocati, nonostante le intemperanze dell’Antitrust, si dicono fiduciosi in un’approvazione rapida alla Camera entro l’anno.
Questa volta gli avvocati non ci stanno. E vanno all’attacco. Definiscono l’Antitrust “un’organizzazione rappresentativa d’interessi” piuttosto che un’istituzione pubblica che responsabilmente conforma la propria azione di tutela in termini coerenti con altri interesse pubblici rilevanti. Accusano il Governo di aver ignorato sistematicamente, nei suoi interventi anticrisi, le attività professionali per rivolgersi alle sole imprese. E puntano il dito contro l’uso strumentale che i poteri forti farebbero delle liberalizzazioni.
E’ durissima la replica del Consiglio nazionale forense alla segnalazione che l’Authority ha inviato lo scorso 21 settembre a Governo e Parlamento. Un Ddl, quello di riforma della professione forense, che secondo l’Authority limiterebbe la concorrenza e farebbe aumentare i costi a carico dei clienti. “Considerare la concorrenza come unico pilastro nell’universo giuridico-economico, che si regge soprattutto sui diritti, porta e conseguenze inaccettabili”. Così il presidente del Cnf, Guido Alpa, ha voluto difendere la posizione dell’Avvocatura evidenziando che i rilievi mossi dall’Antitrust sono “spuntati alla prova dei fatti”. Nel documento di 20 pagine che i vertici dei legali invieranno a loro volta a Governo e Parlamento lo “cahiers de doléance" è ampio e tocca quasi tutti i nodi di fondo della riforma. Se proprio di concorrenza bisogna parlare – dicono gli avvocati – va fatto innanzitutto notare il silenzio “assordante” dell'Agcm a proposito della ricorrente mancata inclusione delle libere professioni in ogni provvedimento normativo che miri a sostenere i comparti economico produttivi in questo delicato frangente storico di crisi. Quanto alle liberalizzazioni, che hanno cancellato le tariffe minime obbligatorie, l’unico effetto paradossale che si è potuto registrare – denuncia il Cnf - è che ad avvantaggiarsene non sono stati i consumatori ma le grandi imprese (banche e assicurazioni in primis), che hanno imposto ai legali condizioni inique, generando un abbassamento dei livelli di qualità e deontologia. La riforma in discussione al Senato che punta alla revisione dell’accesso, a un nuovo procedimento disciplinare non corrisponde a prese di posizione corporativa ma ad esigenze di qualificazione professionale degli avvocati e quindi di garanzia per i cittadini. “C'è poco tempo da perdere – conclude Alpa - perché ogni anno passano l'esame 15 mila candidati e nel complesso la loro preparazione è molto modesta”. Gli albi, in pratica sono intasati da laureati in giurisprudenza che tutto fanno tranne che andare in udienza. I 280 emendamenti al Ddl presentati dal comitato ristretto della commissione Giustizia del Senato non toccano i nodi cardine della riforma. Motivo per cui, gli avvocati, nonostante le intemperanze dell’Antitrust, si dicono fiduciosi in un’approvazione rapida alla Camera entro l’anno.
Daniele Memola
link:www.opinione.it
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