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giovedì 12 maggio 2005
L'ORA DELLE BANANE BUONE: FAIRTRADE E RESPONSABILITÀ SOCIALE D'IMPRESA
Attualmente 5 multinazionali controllano l’80% del commercio mondiale. Tre imprese multinazionali a capitale prevalentemente Usa (Chiquita, Dole, Del Monte) controllano circa i due terzi del commercio mondiale delle banane. Ad esse si aggiungono l’ecuadoriana Noboa e l’anglo-irlandese Fyffes. Meno del 10% del prodotto esportato proviene da piccoli coltivatori, quelli che lavorano appezzamenti inferiori ai dieci ettari. Il grande affare non sta però tanto nella produzione, quanto nell’esportazione, che interessa tra i 12 e i 13 milioni di tonnellate di banane all’anno.
Secondo Bananalink (Ong britannica impegnata nella difesa dei lavoratori bananieri) per ogni banana solo il 12% del prezzo finale al consumatore rimane nel Paese produttore. Ai piccoli produttori va dal 5 al 10%. Ai braccianti tra l’1 e il 2%. Il vero guadagno nell’affare banane, sempre secondo Bananalink, è nel passaggio alla grande distribuzione e nella successiva vendita al consumatore: il 35-40% del prezzo si ferma qui.
Chiquita è un tipico caso di azienda che si avvia verso un nuovo stile di politiche aziendali orientate ad un atteggiamento di responsabilità sociale. Giunta sull'orlo della bancarotta nel 2000, ha poi riconosciuto unilateralmente un codice di condotta sulla responsabilità sociale, cui è seguito un accordo sindacale monitorato dalI'I.L.O., International Labour Organisation, che ha infine dato luogo agli attuali Core Values aziendali (Integrità, rispetto, opportunità, responsabilità) cui la company statunitense dichiara di attenersi per il proprio business. Quello che non ci deve sfuggire come consumatori è la scelta (imposta dagli eventi ma sopratutto strategica) di Chiquita di usare la responsabilità sociale come strumento di marketing avanzato. Una scelta sempre più frequentemente applicata dalle aziende che individuano come prioritarie per il loro mercato le nuove esigenze sociali di un consumo più etico, più pulito, più rispettoso dei diritti umani. Quello che invece ci deve preoccupare alquanto, non solo come consumatori ma soprattutto come esseri umani, è lo scollamento tra i valori fondamentali che ci permettono di costruire un mondo migliore e le scelte economiche di un mercato che usa gli stessi valori come strumenti promozionali e di vendita, svuotandoli così del loro reale significato.
La responsabilità sociale d'impresa si rivela perciò una potente arma a doppio taglio, da un lato può migliorare sostanzialmente l'etica della produzione e del commercio ma dall'altro può creare una cortina fumogena che impedisce di vedere la realtà delle cose. Se, infatti, la responsabilità sociale d'impresa diviene principalmente strategia di marketing e di comunicazione significa che non fa parte della cultura dell'impresa, dove troverebbe la completa e diretta assunzione di responsabilità, ma si trasforma solo in una questione d’immagine, che è una modalità di applicazione deleteria e aberrante.
Ci aspetta perciò un futuro in cui sarà difficile distinguere dove sta la sostanza e dove la forma, possiamo trovare e acquistare prodotti che sono realmente frutto di una responsabilità sociale d'azienda e allo stesso tempo prodotti che invece non lo sono per niente, pur presentandosi con una accattivante veste pseudo-etica. Quando facendo la spesa prendiamo in mano uno di questi prodotti, ricordiamoci che la decisione ultima spetta a noi consumatori, che siamo la giuria che dichiara il migliore sul campo. Come all'inizio è stato uno sparuto gruppo di adepti del consumo critico, che con il loro lavoro hanno raccolto e guidato schiere di consumatori sempre più numerose a preferire i prodotti etici, così ora siamo noi che dobbiamo porre la massima attenzione ed acquistare in modo accorto, per premiare chi fa scelte realmente etiche, contribuendo a costruire un mondo più giusto.
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