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giovedì 11 luglio 2019

Prozac: funziona ma ad oggi non si sa bene perché

Team di scienziati italiani getta nuova luce sul funzionamento del Prozac (che funziona ma ad oggi non si sa bene perché)

La ricerca pubblicata su "ACS Chemical Neuroscience" coordinata dall'Università di Pisa

 

Un team di ricercatori italiani coordinati dal professore Massimo Pasqualetti dell'Università di Pisa ha gettato nuova luce sul funzionamento della fluoxetina meglio conosciuta con il nome commerciale di Prozac®. Questo farmaco è stato introdotto nel mercato statunitense per il trattamento della depressione nel 1988 ma a più di trenta anni di distanza gli scienziati non sanno ancora esattamente spiegare il suo effetto positivo sul tono dell'umore dei pazienti.

Questa nuova ricerca tutta italiana appena pubblicata su "ACS Chemical Neuroscience" ha rivelato per la prima volta che la fluoxetina rimodella e riorganizza le fibre nervose che rilasciano la serotonina nell'ippocampo andando quindi ad agire sulla struttura fisica del cervello.

"La fluoxetina è stato il primo farmaco nella classe di composti noti come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ad essere approvato dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti, in altre parole si tratta di farmaci che bloccano il riassorbimento della serotonina prodotta dai nostri neuroni – spiega Massimo Pasqualetti – quello che ora abbiamo scoperto è che la fluoxetina modifica anche la densità e il numero delle fibre che rilasciano la serotonina nell'ippocampo, quindi la sua azione non è solo a livello funzionale, ma va ad agire anche su quello che possiamo definire l'hardware del cervello".

I ricercatori del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa hanno svolto lo studio su un modello murino marcando i neuroni che producono la serotonina del cervello con una proteina fluorescente verde (GFP). Hanno quindi somministrato ad un gruppo la fluoxetina nell'acqua per 28 giorni e confrontato i segnali del marcatore GFP con il gruppo di controllo che non aveva ricevuto il farmaco. Il risultato è che nel gruppo che assumeva la fluoxetina le fibre nervose deputate a rilasciare la serotonina nell'ippocampo, una regione del nostro cervello fortemente coinvolta nella regolazione dell'umore, diventavano meno numerose e più piccole di diametro rispetto a quanto osservato nel gruppo di controllo.

"Le conseguenze di questo riarrangiamento strutturale del cervello devono ancora essere approfondite – conclude Massimo Pasqualetti – ma certo costituisce un ulteriore tassello per capire come gli antidepressivi esercitano il loro effetto terapeutico".

Il team di ricerca dell'Università di Pisa guidato dal professore Pasqualetti da si occupa anni di indagare come la serotonina, la cosiddetta molecola della felicità, agisce sul cervello regolandone lo sviluppo ed il funzionamento. Tali ricerche, pubblicate in prestigiose riviste internazionali, costituiscono una base indispensabile per approfondire le nostre conoscenze e per migliorare le cure in disturbi neuropsichiatrici come la depressione. Gli autori dello studio coordinati dal professore Massimo Pasqualetti sono la dottoressa Serena Nazzi, Giacomo Maddaloni (borsista postdoc presso la Harvard Medical School) e Marta Pratelli (borsista postdoc presso l'Università della California, San Diego).

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Didascalia foto:

Massimo Pasqualetti e Serena Nazzi

 

Grazie alla presenza della proteina fluorescente verde (GFP) sono messe in evidenza le fibre che rilasciano serotonina nell'ippocampo prima (a sinistra) e dopo (a destra) la somministrazione di fluoxetina per 4 settimane.



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