“Da quel giorno aveva ammirato la preghiera di Hayat fatta di silenzioso rapporto con la natura e la vita. Aveva capito solo in quel giorno la presenza di Dio in ogni cosa, Dio che si rivela sotto occhi attenti e nel silenzio. Dio non vuole voci e preghiere, Dio si incontra nell’intimità del cuore, si palesa nell’anima dell’uomo e nella contemplazione di ogni cosa, sì!”
“Fu al suono di un’arpa eolica” di Uccia Paone è
stato pubblicato a luglio 2020 dalla casa editrice Rupe Mutevole nella collana
“Letteratura di Confine”. La grafica di copertina è stata curata da Gianluca
Serratore.
“Cocci e brillanti”, “Gocce di schiuma”, “Ricordi di una
conchiglia” sono i titoli dei libri precedentemente pubblicati dalla nostra
autrice che come ella stessa dichiara: “scrivendo dialoga con persone
immaginate davanti a un panorama sempre mutevole”.
E non poteva che essere Rupe Mutevole la casa editrice
adatta ad Uccia Paone, quel mutevole che come il colore su una rupe
risveglia nell’essere umano fantasie arcaiche e, perciò, degne di essere
raccontate.
L’editrice Cristina Del Torchio scrive nella sua
nota: “Una storia ammaliante. I margini di ogni pagina saranno mistero, come
fragranze magiche. L’autrice rimescola le regole e la narrazione diventa un
gioco di verità silenziose. Sono mito e storia, fiaba e dramma, oscurità e
bagliore. E sul palcoscenico di questa esistenza, nelle notti più buie e
silenziose, si alza forte il verso di un uccello che interpreta, sempre uguale,
l’annuncio di sventure. Gli elementi si dispongono sulla scacchiera della vita
e ogni pedina recita bene i suoi passi. Una solitudine muta non dimentica
inganni e le chiusure antiche non sanno illuminarsi, mentre occhi nascosti
tramano imbrogli.”
A.M.: “Fu al suono di un’arpa eolica” è stato
pubblicato qualche mese fa e più precisamente a luglio, le vorrei chiedere di
far un ulteriore salto indietro nel tempo per raccontare ai nostri lettori la
genesi di questo romanzo.
Uccia Paone: Il persistente ricordo del giardino della
mia infanzia mi spinse un giorno a riviverlo scrivendone. Un ricordo dietro
l’altro, pensiero dopo pensiero, mi accorsi che in una ventina di pagine avevo
iniziato un racconto, nebbioso e vago, nel quale un personaggio singolare, un
orientale dell’India, passeggiava pensoso. Pagina dopo pagina accadeva qualcosa
sempre più distintamente ma mancava lo scenario nel quale inquadrare le vicende
iniziali. Amo la storia e feci un volo tra secoli e luoghi per scegliere la
scenografia adeguata, convincendomi infine a considerare quella dell’Impero
Ottomano. Il racconto cominciò a consolidarsi in una trama romanzesca e dopo un
centinaio di pagine mi sentivo coinvolta alle vicende narrate. MI appassionai e
quando fui alle ultime pagine cominciai a smaniare per trovare un editore che
credesse in me. Fui fortunata: spedii il classico file, gli piacque e ora
eccomi qui!
A.M.: Il titolo rievoca uno strumento musicale
abbastanza particolare ed inusuale, l’arpa eolica infatti è un tipo particolare
di arpa le cui corde sono fatte vibrare dal vento, così che le melodie siano
sempre casuali e diverse. Che cosa rappresenta per lei questo strumento?
Uccia Paone: La mia attrazione per l’arpa eolica nacque
quando alla scuola media incontrai Omero, gli aedi e i citaredi e da alcune
illustrazioni mi sedussero Apollo e altri dèi con la cetra tra le braccia.
Conosco e ammiro l’arpa moderna che primeggia per eleganza nelle orchestre, ma
nessuno strumento musicale supera l’arpa eolica col suo fascino misterioso.
L’arpa eolica ha un suono confidenziale, romantico, toccante, che può dirsi
anche canto. Per suonare l’arpa eolica rifugge dal pentagramma e dal rigore
matematico di un rigo musicale: è lo strumento libero per eccellenza, che suona
col vento di cui esprime la provvisorietà e gli improvvisi eccessi. D’impulso
l’ho voluta nel titolo del mio libro, lei sola a raccontarci tutto, tra soffi,
folate e raffiche.
A.M.: Nubicucula è descritto come “un paese
sonnolento, dove non erano stati mai eretti monumenti, né statue, e nemmeno
steli commemorative; sì, rispecchiava proprio il paese dell’«Io non mi
impiccio». […] il paese era stato colpito da una stregoneria legata a strani uccelli
che volavano invisibili sotto il suo cielo e nidificavano in dirupati anfratti
di burroni bui e inaccessibili.” e, sin da subito, ho ricollegato il nome
ad una nota commedia di Aristofane “Gli uccelli” nella quale due uomini e gli
uccelli fondano una città denominata Nubicuculìa. In che modo il suo paese
sonnolento è collegato alla città fondata nel cielo a metà strada tra gli
uomini e gli dèi?
Uccia Paone: Oh! Io sono ladra di Aristofane, e rea
confessa: gli ho letteralmente rubato il nome di Nubicucula, città che già nel
nome si palesa sospesa tra terra e regno di nuvole e di dèi. Ma tanto
Nubicucula è in Aristofane città ideale, quanto in me è paese materiale abitato
da gente ignorante e tamarra. Entrata in casa di Aristofane, gli ho sottratto
anche un uccello dal becco singolare, ma lo raffiguro nel romanzo come uccello
preso dall’ornitologia conosciuta, il tarabuso, che imbruttisco chiamandolo
turubuzzu e che ha del vero uccello la capacità mimetica e il verso lugubre e
tanto alto da non trovarne di uguale tra gli uccelli reali.
A.M.: Ne “Fu al suono di un’arpa eolica” troviamo un
personaggio particolare, don Chicco che “Consapevole della paura che
coinvolgeva i cristiani del suo gregge, abbattuto dalla caduta di fede causa di
quella paura, egli volle dir messa anche il giorno dopo, divulgando la voce,
casa per casa, che la paura non era degna dei Cristiani, che aver fede in Dio
rende il cristiano sicuro contro ogni violenza esercitata da Allah, che è il
diavolo che insidia i cuori pompandoli di paura, e dunque tornassero alla messa
senza alcun timore!”. Fede e paura sono spesso collegati, ad esempio nel
Cattolicesimo si ha paura della morte e della pena che l’anima dovrà subire per
ciò che si è fatto in vita, così da trasmettere paura per qualsiasi azione si
compia, o perlomeno questo accadeva.
Uccia Paone: Non è semplice cercare quale sia la
scaturigine che nella vita degli uomini lega spesso insieme paura e fede. Forse
dovremmo cercarla nei primi assembramenti tribali dei diversi popoli del mondo,
senza dimenticare qualche traccia dell’antropologia. Presi insieme, paura-fede
sono un binomio dissociativo e squilibrante, tuttavia presente nei secoli e
ancora ai giorni di don Chicco, prete e predicatore legato alla pedanteria
dottrinale nella quale è stato formato. Il binomio sconcerta quando pensiamo
alla morte, all’enigma dell’evento definitivo e spesso improvviso che la morte
è, e che porta con sé la paura del “dopo”. Allora cerchiamo di esorcizzare la
paura abbracciando la fede cui spinge don Chicco, dicendoci che Dio promette la
salvezza del paradiso a chi vince quella paura entrando in chiesa con fede (e
con la frequenza che la fede esige). Ma la paura atavica cova sempre silenziosa
nel cuore degli uomini. Malgrado l’apertura di papa Francesco che invita a
sostituire col sorriso la paura (della morte e del Covid 19), l’enigma della
morte fa vacillare gli uomini; penso che quella spinta alla fede che anima il
credo di don Chicco possa essere in quel caso una valvola di sicurezza che
frena gli uomini da un’esplosione emotiva che potrebbe risolversi anche
tragicamente. Allora, in questo caso e
solo in questo senso, nel binomio squilibrante di paura-fede l’esortazione di
don Chicco, positiva, rende vittoriosa la fede, giungendo ad equilibrare il
binomio.
A.M.: “Nell’alba che sopraggiunse, come nel
risveglio in un eden segretamente cercato, cominciarono a conoscersi, a
cercarsi. Nel perdersi e conoscersi, Adele sentì che fino a quel giorno era
vissuta come un essere a metà, come un frutto dimezzato: ora sapeva che senza
Hayat sarebbe tornata a essere la metà di sempre, e sarebbe morta in una notte,
nel tempo sufficiente a un fiore di gelsomino di perdere il profumo e avvizzire
senza più vita.” Chi sono Adele ed Hayat?
Uccia Paone: Adele e Hayat sono i protagonisti del
romanzo. Si amano di un amore che al lettore appare forse inconcepibile, sono
un corpo e un’anima sola ed è Adele che ne avverte subito la magica realtà. Dei
personaggi accenno solo con un particolare, essi emergono in quel che dicono e
fanno. Lascio sempre immaginare ogni mio personaggio al lettore: deve essere
solo suo, un unicum solo suo.
A.M.: L’immobilismo ottomano è contrapposto ai
capovolgimenti dell’Europa. Perché è importante continuare a riportare in luce
gli eventi del passato?
Uccia Paone: “Historia magistra vitae”: non
l’aveva già detto Cicerone? La storia dovrebbe quindi ammaestrare chi vive il
presente e guarda al futuro. Ogni nazione ha la sua storia, detta e ridetta, ma
spesso isolata in grandi libri pieni di date e nomi che vengono studiati in
maniera asettica, senza soffermarsi sui “perché” che la Storia (quella con la s
maiuscola) esigerebbe invece per essere compresa. La Storia si forma a piccoli
passi attraverso i secoli, ma non per tutti è stato così. L’Impero Ottomano è
ricordato per il suo immobilismo, l’Europa per la sua dinamicità. Il primo si è
formato in sei sette secoli, dal 1300 circa, con la discendenza, spesso
combattuta, di sultanati. Il sultano amministrava in tutto e per tutto con
diritto di vita e di morte sui sudditi. Nei secoli il sultano governò di volta
in volta appoggiando una comunità o l’altra, aiutato da ministri fantocci
assolutamente soggetti alla sua volontà. A questa staticità politica corrispose
un forte immobilismo sociale per cui tra queste comunità, fortemente gelose
della propria individualità, non sorse mai quel confronto politico che invece
colmava di esperienza l’Europa. Organismo di politica e di forte bellicosità,
l’Impero non poteva competere con le potenze europee, avide per tradizione dei
beni oltre i propri confini. L’Europa aveva vissuto millenni di confronti
socio-culturali e di espansionismo: nei secoli dell’immobilità ottomana aveva
respirato il Medio Evo con le sue accademie competitive anche oltre i propri
confini, era passata da Martin Lutero, dalla Riforma e dalla Controriforma,
dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese e in tutto questo e in altro
generando scienza, lettere, arte, filosofia, patriottismo e sangue di eroi.
L’Italia contribuì e arricchì l’Europa con la sua arte e la sua cultura, ma
anch’essa ebbe interesse ad abbattere l’Impero Ottomano; lo fece alleandosi con
la Spagna, la Francia e anche con lo Stato Pontificio… L’Impero ottomano
dovette accettare una umiliante agonia, perdendo un pezzo dopo l’altro: si
sfaldò, si dissolse e perì per le ragioni, sempre uguali, scritte nei libri di
storia.
Dell’Unità d’Italia ho detto nel romanzo.
A.M.: Causa pandemia le presentazioni letterarie non
sono praticabili ma ho notato che in tanti hanno ben pensato di utilizzare i
social network ed il video come alternativa.
Uccia Paone: Con i libri precedenti ho sempre avuto
presentazioni fatte fisicamente. Con questo mio romanzo sono in grande
difficoltà per la pandemia e per la mia totale ignoranza a qualsiasi livello di
digitazione e social network.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Uccia Paone: “… ci sono storie irreali che non sono
false.” – Bruno Bettelheim
A.M.: A risposta dello psicoanalista austriaco che
lei ha citato lascio la parola a Luigi Pirandello, lo scrittore di
Girgenti, l’attuale Agrigento: “La realtà che ho io per voi è nella forma
che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per
me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me
stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma
costruendomi, appunto.”
Written by Alessia Mocci
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