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martedì 28 settembre 2010

Giustizia: meno “binari morti” per far partire il treno delle riforme

Giustizia e riforme, due parole che se trapiantate dal linguaggio politico al gergo dei reality vincerebbero quasi sicuramente la lunga sfida delle ”nomination”. Peccato che, dietro l’uso (e abuso) di questi due termini, a quanto pare inconciliabili tra loro, ci sia poco, pochissimo, degli ingredienti tipici dell’info-entertainment. Ma al contrario, tante (e forse troppe) problematiche ancora irrisolte. O meglio che la politica rifiuta di affrontare nella giusta maniera. Troppi i “binari morti” dell’ iter parlamentare che oggi rischiano di far deragliare definitivamente il treno dell’efficienza del sistema giustizia. Troppe le diatribe e i veti incrociati tra gli scranni del Palazzo che rendono “irragionevole” qualsiasi partenza nella direzione giusta. La legge anticorruzione, dal binario privilegiato, è ormai al palo da marzo; le intercettazioni, dopo estenuanti trattative in commissione Giustizia, sono finite nel dimenticatoio; il piano carceri, dopo innumerevoli “stop and go”, è finito inesorabilmente al solo stop. Eppure 69 mila detenuti ammassati in istituti che ne possono contenere al massimo 43 mila risulta ancora oggi un rapporto difficilmente digeribile. Anche sulla banca dati del Dna (il database da utilizzare con finalità investigative) non è dato sapere. La riforma costituzionale, per quanto annunciata, gridata, contestata, applaudita o fischiata, gira che ti rigira, resta sempre legata alle intenzioni di voler separare le carriere tra giudici e pm. Ma resta sempre anch’essa sul “binario morto”. Processo breve, Lodo Alfano costituzionale, parità tra accusa e difesa. Tra “scudi” e scudieri le barricate appaiono giorno dopo giorno sempre più fitte e difficili da superare. Tant’è che qualcuno ha iniziato a far da sé. Gli avvocati ad esempio (si veda articolo), stanchi del continuo postdatare del’approvazione della riforma forense, hanno deciso di accelerare sulle specializzazioni, con la definizione delle regole per attribuire agli avvocati il titolo di specialista nelle varie aree del diritto. Nel testo bloccato al Senato si parlava anche di questo, ma il disegno di legge è ancora lì, in attesa di riprendere il suo percorso. Gli industriali, dopo le aperture di inizio legislatura, non si dicono più disposti ad avere pazienza. E questo perché, in una logica economica, una giustizia lenta è una giustizia costosa per tutti, imprese in primis. E Confindustria non vuole pagarne le conseguenze, soprattutto in un periodo di fragile ripresa economica. Si spiegano quindi i patti per la competitività innescati con i sindacati e la riforma della contrattazione. Se tutto è teatrino politico, meglio fare da sé.
L’onorevole Ghedini, il ministro Alfano e i vari Berselli e Bongiorno conoscono bene quali sono i “cancri del sistema” e si dicono d’accordo che le riforme vanno fatte perché non si può continuare a trattare in eterno. Di binari morti non se ne ha più bisogno. Ma nemmeno si può più pensare che ogni timido tentativo riformatore sia da intendersi come ennesimo scudo ai processi del premier. C’è dibattito e dibattito. Se la si pensa allo stesso modo sarebbe logico andare avanti. Da qui devono partire le riforme della giustizia. Perché sullo smaltimento dell’arretrato civile e penale, sui processi telematici, sull’edilizia carceraria, sul “tesoretto” del Fondo Unico giustizia occorre fare discorsi franchi ( e non più “tiratori”). E’ arrivata l’ora di far partire il treno. Alla politica il difficile compito di limitare il proliferare dei binari morti. E perché no, fare anche un po’ di sana autocritica.

Daniele Memola

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