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sabato 9 ottobre 2010

Informazione sovversiva: siamo tutti Luther Blisset

Informazione sovversiva: siamo tutti Luther Blisset

Luther Blissett, il nome è noto agli appassionati di calcio: inglese d’origine giamaicana, era un centravanti del Watford, che ha militato con scarsa fortuna nel Milan, nella stagione 83-84, prima dell’arrivo di Berlusconi. In realtà questo nome, da identità anagrafica, è diventato il nome-evento di un movimento che attraverso incursioni, spesso programmate, nei mezzi di informazione cerca di contrastare il potere di chi detiene il controllo sui mass-media. Luther Blissett è, quindi, uno pseudonimo di massa dietro al quale non si cela un’unica identità, un nome multiplo (di fatto, tutti i membri si chiamano Luther Blissett) che, inserendosi nei circoli di informazione ufficiale con notizie verosimili ma false, diventa un vero e proprio virus capace, a volte, di infettare la sanità di un sistema, che proprio nella credibilità dovrebbe fondare la propria ragione di esistere. La sua proposta, così come si legge sul Manifesto del progetto, è quella di alimentare la “brama di diventare protagonisti dei mass-media assecondando la smania da palcoscenico”. Luther sostiene che ogni informazione, in quanto ri-produzione e re-citazione della realtà, sia falsa. Egli mette in dubbio la professionalità di chi lavora dietro l’informazione: i giornalisti e gli operatori non sono in grado di distinguere le notizie vere dalle false. Il “Luther Blissett Project” è diventato un fenomeno mediatico contemporaneo che cerca di manifestare la presunta inconsistenza dei fenomeni mass-mediologici di questi anni. Il tentativo è quello di sconvolgere il sistema dell’informazione, mettendolo in “corto circuito” con la diffusione di notizie false preparate ad arte; egli tenta di seminare confusione e dubbi per cercare di raggiungere il suo obiettivo: mostrare la presunta fragilità dei meccanismi della comunicazione. Uno dei più importanti strumenti di adottati da Luther Blissett è la beffa mediatica. L’obiettivo è quello di colpire il sistema informativo con le sue stesse armi, le notizie, mettendo in atto una guerra fatta di bufale, leggende metropolitane e notizie inventate ad arte per farle circolare nel complesso delle fonti giornalistiche. Una guerra mediatica combattuta con le stesse armi che fa cadere i media come vittime della loro stessa prassi. E di “colpi” messi a segno ce ne sono diversi. Nel gennaio 1995, un lancio Ansa denuncia la scomparsa di un artista inglese in Friuli, un certo Harry Kipper. L’appello per il ritrovamento della persona parte da un gruppo di bolognesi che trasmettono da una radio locale, amici di Kipper. Durante un giro in bicicletta nel nord Italia l’artista ha fatto perdere le sue tracce. L’ultima apparizione è avvenuta a Udine, dove Kipper era ospite da alcuni conoscenti friulani. Chi l’ha visto? si interessa alla notizia e invia una troupe a Bologna, quindi a Udine; intervista gli amici di Kipper, i quali ricostruiscono le tappe del suo percorso e ne descrivono il carattere. Infine, la troupe della Rai si sposta a Londra, dove incontra gli amici inglesi di Kipper e filma i luoghi frequentati da questo bizzarro personaggio, la sua casa, le sue opere. Il materiale ripreso viene montato e preparato per essere mandato in onda. Ma all’ultimo momento una provvidenziale telefonata all’ambasciata britannica e una ricerca anagrafica mirata costringono i responsabili della trasmissione a bloccare tutto.
Risulta infatti che Harry Kipper non è mai esistito. E’ tutto falso. Si è trattato di una “circonvenzione” messa in pratica tra Udine, Bologna e Londra da un gruppo transnazionale di persone accomunate dall’uso della stessa sigla: Luther Blissett. Lo stesso che pochi giorni dopo rivendicherà la beffa svelandone tutti i retroscena ai quotidiani nazionali. Anche il Resto de Carlino è caduto più di una volta nella trappola di Blissett: nell’ottobre 1995 diede la notizia di una studentessa del nord Italia che, dopo essersi malata di Aids a causa di un’errata trasfusione di sangue in ospedale, si prostituiva a Bologna contagiando i suoi clienti per vendicarsi del torto subito. Negli stessi giorni veniva avvistata nel capoluogo emiliano la nota top model Naomi Campbell, in “missione estetica”. Il Carlino dedicò un articolo all’apparizione di Naomi. La notizia venne data anche dal TG2 e dal TG3 regionale. Entrambe le notizie date dal quotidiano risultarono false; un altro scherzo di Blisset. Altra beffa mediatica quella che colpì il tg del Lazio, Studio Aperto, Messaggero, Manifesto: tra il 1996 e il 1997 la città di Viterbo viene percorsa da un’ondata di panico morale. Polizia e cronisti locali, preventivamente avvertiti da telefonate anonime e misteriosi messaggi murali, rinvengono nella campagna viterbese i resti di messe nere con vari ammennicoli satanici: gallinacci, candele, pentacoli e fotografie bruciate. Negli stessi mesi pervengono ai giornali locali svariate lettere di cittadini, che segnalano ulteriori tracce della presenza satanista nell’hinterland viterbese e gettano addirittura il sospetto che gli adoratori del demonio abbiano agganci nella giunta comunale. Ai giornalisti viene comunicata la nascita di un Comitato per la Salvaguardia della Morale: i cacciatori di satanisti, i cui comunicati trovano spazio nelle pagine dei quotidiani locali. Il panico cresce, il clima si surriscalda, il vescovo di Viterbo dedica svariate omelie al diffondersi del satanismo in città. E ancora lettere su lettere, articoli, scoop e controscoop: un anno di rassegna stampa. Poi alla redazione del Tg del Lazio e a quella di Studio Aperto (Italia 1) perviene una videocassetta. E’ una ripresa rubata di nascosto a un consesso satanista. Per la verità non si vede quasi niente: schermo nero frusciante, e un lumicino in lontananza con una cantilena in simil latino in sottofondo, interrotta dalle urla di una ragazza. La videocassetta è accompagnata da una lettera in cui l’anonimo videomaker rivela di aver seguito i satanisti fino al luogo del loro convegno, ma di non essersi potuto avvicinare di più per paura di essere scoperto. Il Tg regionale darà la notizia; Studio Aperto mostrerà il video con pesantissimi commenti. Una settimana più tardi al settimanale del Tg1 “TV7”, Gianluca Nicoletti mostra lo stesso filmato, ma nella versione integrale fattagli pervenire dal misterioso regista. Gli ingredienti sono gli stessi: buio, lumicino, cantilena, urla. Ma la telecamera si avvicina sempre di più, fino a entrare nella piccola costruzione, dove sta avendo luogo la messa nera: ci sono alcune figure incappucciate, intorno a un fuoco. D’un tratto si tolgono i cappucci e si gettano in una sfrenata tarantella, mostrando un poster di Luther BLissett. Nicoletti svela l’arcano. Le lettere ai giornali, il Comitato per la Salvaguardia della Morale, le scritte murali, i resti delle messe nere, le lettere fino al video rivelazione: tutto falso. Tutto orchestrato ad hoc dalla colonna laziale del Luther Blissett Project.
Anche il povero Red Ronnie e il suo programma “Help!” si sono imbattuti negli scherzi di Luter. E’ il 7 gennaio 1998. Un amico di Luther Blissett (probabilmente Luther anche lui), batterista di un ex gruppo punk ora brit-pop chiamato “Gli Strafottenti”, chiede a Luther di animare la puntata di Help! (trasmissione condotta da Red Ronnie, alla stregua di Roxy Bar, che andava in onda tutti i giorni alle 16.00 sul canale ormai sepolto TMC2) che sarebbe stata trasmessa in diretta lo stesso giorno e in cui loro avrebbero suonato. La puntata apre con un pezzo degli “Strafottenti”. Durante il programma era possibile interagire con il pubblico e con Red inviando e-mail o sms, tutto ovviamente in diretta. E’ proprio quello che fa Blissett inviando due messaggi seguiti da due diverse e-mail dove si accusava il gruppo ospite di Ronnie di avere problemi con la legge per motivi di droga. E’ un crescendo di confusione, i quattro Strafottenti continuano a parlare contemporaneamente mentre Red vuole capire cosa stia succedendo. Red Ronnie è imbarazzatissimo, non sa se continuare o fermarsi. La confusione è totale. E’ davvero sconsolato e incredulo, è indeciso se approfondire la cosa o fingere, ma ormai ha letto la lettera. Sempre più amareggiato, continua a voler capire cosa sia successo. A un certo punto, il conduttore si rivolge alla telecamera e chiede all’accusatore di firmarsi, e di essere più specifico. Luther, a quel punto, spedisce un altro messaggio: “Ecco, mi firmo, sono Luther”.
Oggi il “Luther Blissett Project” non c’è più. Al suo posto è nata una banda di scrittori nota con il nome di “WuMing” (in mandarino significa “nessun nome”) che ha firmato un libro di successo come “Q” (edito da Einaudi) e realizzato molti altri progetti, sia come gruppo sia a firma dei singoli componenti, rigorosamente indicati soltanto come WuMing1, 2, 3, 4 ecc… Buona parte delle persone che, in Italia, hanno adottato il nome di Blissett (quelle cioè che sono venute allo scoperto e hanno dichiarato di farne parte) rientravano nella tipologia del lavoratore “immateriale” o “atipico” come programmatori, web designers, traduttori, copywriters, grafici e operatori culturali. Sete di scoop, quindi, sete di non arrivare secondi? Attenzione però, Luther, evidentemente, è consapevole di questo meccanismo e ha giocato sul confine ormai inesistente tra “vero” e “falso”, se pubblicato sulla stampa. Il metodo blissettiano è quello di “ingannare chi si sente potente, proprio nel terreno in cui lavora quotidianamente, circuitare il sistema informativo, stravolgere il senso del rapporto vero-falso”. Tutto questo è Luther.


Daniele Memola

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