Zeno Cosini, 57enne benestante e ipocondriaco, si rivolge a questa “nuova” medicina alla ricerca di un rimedio a molti disturbi (strane amnesie, dolori, addirittura zoppìa intermittente) che i medici non sono mai riusciti a curare. All'analista racconta la sua vita di figlio di papà nullafacente, del difficile rapporto col padre che non si fidava di lui, al punto di mettere per testamento nelle mani di un amministratore la ditta di famiglia. Non è cattivo Zeno, solo che non ha niente da fare e si sente un inetto. Mediocre violinista, insofferente a qualsiasi impegno serio, ha anche un problema col fumo: 50 sigarette al giorno, proprio non riesce a smettere. O meglio, molte volte ha fumato l'ultima sigaretta. Si invaghisce della bellissima Ada, maggiore delle 4 figlie di un uomo d'affari, ma quando lei lo respinge per sposare quello che oggi definiremmo un finanziere d'assalto non si dispera più di tanto e chiede in matrimonio la sorella Augusta, meno bella ma più solida e innamorata di lui. Ben presto tradisce la moglie con Carla, una pretesa cantante lirica, ma non fa una piega quando lei lo lascia per sposarsi col maestro di canto di cui lui pagava le lezioni. Dopo anni di vita quieta e monotona, passata più al caffè accanto alla Borsa che alla Borsa stessa, a seguito del suicidio del cognato maneggione il fragile, superficiale, autoironico e autoassolutorio Zeno, con un'abilità e un buon senso che forse nemmeno lui sapeva di avere, salva la famiglia di Ada dal crollo economico e si merita finalmente la stima e il rispetto di tutte le donne di casa.
Tullio Kezich trasse nel 1964 dal romanzo questo adattamento teatrale con una certa riluttanza, sia per la difficoltà di trasportare sul palcoscenico la lingua di Svevo, “un italiano paradialettale re-imparato da un allievo di scuole tedesche”, sia perché sosteneva che “le riduzioni dei romanzi sono da abbandonare ai divertimenti del pubblico televisivo. Appartengono alla civiltà analfabetizzante dei digest, sono il sintomo di un'anemia dello spirito contemporaneo”. Spinto soprattutto dalla comune origine triestina con l'autore, infine si convinse e riuscì a fare un lavoro egregio, come per l'altro suo grande adattamento da IL FU MATTIA PASCAL di Pirandello: e dopo quasi cinquant'anni il testo mantiene ancora tutta la sua freschezza ed ha soprattutto l'attualità del capolavoro.
Un protagonista davvero indimenticabile, un uomo che ha la sua forza nella sua stessa debolezza, che pensa sempre alla morte e ride di tutto il resto, oltre all'ancora attuale “utilità” di LA COSCIENZA DI ZENO, sono le ragioni che hanno portato Maurizio Scaparro a metterlo in scena, con una regia classica e curatissima in ogni particolare, consegnandoci uno spettacolo che riesce ad unire alla grande densità di contenuti un'inaspettata lievità; aiutato in questo anche dalla bella colonna musicale curata da Giancarlo Chiaramello, che ci accompagna lungo il percorso con languidi valzer, marcette austro-ungariche e brani popolari. Uno spettacolo impegnativo, con ben 23 cambi di scena: elegantissime le ariose scenografie jungendstil di Lorenzo Cutùli, con fondali magistralmente dipinti da Rinaldo Rinaldi, e splendidi i costumi di Carla Ricotti per il ricco cast.
Zeno è un magistrale, duttilissimo Giuseppe Pambieri, che passa con naturalezza da una scena all'altra ad interpretare il gentiluomo maturo e il giovane innamorato, prestando al disegno del suo personaggio l'esperienza di decenni di palcoscenico. Accanto a lui un gruppo di giovani attrici, fra cui spiccano la bellezza klimtiana Guenda Goria (Ada), anche ottima pianista dal vivo, Antonia Renzella (Augusta) e Marta Ossoli (Carla) oltre ai veterani Enzo Turrin e Giancarlo Condé, che recita alcune battute in tedesco, e l'unico triestino del gruppo Raffaele Sinkovich, col suo accento volutamente dialettale: un semplice ma utile artificio per non farci dimenticare che ci troviamo ancora nella Felix Austria.
Tanto di cappello infine al Teatro Carcano di Milano, che ha avuto il coraggio di buttarsi nella produzione di uno spettacolo con un grande regista, scene e costumi sontuosi e una compagnia di ben 11 attori, per una tournée di tre mesi (che si concluderà al Quirino di Roma dal 2 al 14 aprile) in una situazione economica come quella attuale, in cui 2 spettacoli su 3 sono monologhi autoprodotti, molti teatri chiudono e diverse tournée quest'anno sono state annullate. Un coraggio trovato nella ferma convinzione che “LA CULTURA COSTA, MA L'INCULTURA COSTA ANCORA DI PIÚ” (F. Garcia Lorca).
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