Osservatorio Export
ANCORA POCO ECOMMERCE A SUPPORTO DELLE ESPORTAZIONI ITALIANE
L'EXPORT DI BENI DI CONSUMO ONLINE VALE 6 MILIARDI DI EURO, SOLO IL 4% DEL TOTALE
Le
esportazioni sono sempre più importanti per l'economia italiana: oltre
un quarto della domanda finale proviene da mercati esteri. L'innovazione
digitale può favorire l'Export e aprire nuovi mercati ma è ancora poco
utilizzata per ostacoli logistici, normativi, commerciali, nella
comunicazione e nei pagamenti.
L'Export
online diretto (con operatore italiano) di beni di consumo vale solo
1,5 miliardi di euro, quello indiretto (abilitato da operatori
stranieri) 4,5 miliardi. I grandi retailer online sono il principale
canale di eCommerce, seguito da marketplace e siti di vendite private.
Il 65% delle esportazioni online riguarda il Fashion, il 30% circa il
Food e il Design (15% ciascuno).
Food e
Fashion, grandi settori di esportazione attraverso canali tradizionali,
utilizzano ancora poco l'eCommerce. In Cina o in Usa ci sono grandi
opportunità di vendita online non sfruttate. Per avere successo servono
un modelli di Export dedicati per tipologia di Paese e per settore.
Milano, 25 febbraio 2016 - L’Export
italiano che passa attraverso canali digitali vale circa 6 miliardi di
euro e rappresenta ancora una quota marginale, di poco superiore al 4%,
delle esportazioni totali di beni di consumo. La maggior parte del
fatturato dell'Export online è riconducibile ai grandi retailer online,
seguiti dai marketplace (come eBay) e dai siti di vendite private. Il
settore più esportato attraverso canali digitali è il Fashion, che pesa
per oltre il 65% delle vendite online oltreconfine, mentre gli altri
comparti tipici del Made in Italy, ossia Food e Design, hanno
un’incidenza più contenuta con circa il 15% ciascuno. E i principali
mercati di sbocco restano quelli occidentali (Europa e USA) con
l’aggiunta di Giappone e Russia, mentre sono poco presidiati Cina e Sud
America.
Questi sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net)* presentata questa mattina a Milano al convegno “Export e Digitale, un binomio niente male”1.
La Ricerca rileva come pesi complessivamente 1,5 mi
liardi di euro l’Export online “diretto”, in cui l’interazione con il
cliente finale è gestita da un operatore con ragione sociale italiana,
attraverso i siti dei produttori (come Diesel, Giordano Vini,
Ermenegildo Zegna), i siti di retailer online o multicanale (come
LuisaViaRoma, YOOX NET-A-PORTER GROUP) o i marketplace “italiani” (come eBay.it).
L'Export online diretto è riconducibile per il 70% circa al Fashion,
seguiti dal Food e dall’Arredamento/Home Design, con il 10% ciascuno. Il
canale più rilevante è quello dei retailer nazionali che valgono per il
60%, mentre il 25% è generato da siti propri di aziende produttrici e
il 15% da marketplace con dominio .it.
Vale
invece 4,5 miliardi di euro l’Export online “indiretto”, attraverso i
siti di eCommerce dei grandi retailer online stranieri (ad esempio
Zalando, JD.com, Suning.com), i grandi marketplace (Amazon ed eBay con domini stranieri, Tmall.com) o i siti delle vendite private internazionali (Vente-privee.com, VIP.com)
che acquisiscono prodotti in Italia per poi venderli in tutti i paesi
in cui sono presenti. Anche in questo caso, la quota più rilevante (65%)
è riconducibile al Fashion, mentre Food e Arredamento/Home Design
pesano ciascuno per il 17%. Il canale più significativo è quello dei
retailer online stranieri con oltre la metà del totale transato, seguiti
dai marketplace con un terz
o e dai siti delle vendite private con poco più del 10%.
“L'utilizzo
dell''innovazione digitale per l'Export è un'opportunità per competere a
livello internazionale ancora poco utilizzata dalle aziende italiane –
afferma Riccardo Mangiaracina,
Direttore dell'Osservatorio Export –. La limitata diffusione
dell’eCommerce a supporto dell’Export di prodotti è un segno evidente
delle difficoltà delle nostre imprese nell’utilizzo del canale online
che, se da un lato consente di ridurre le distanze col consumatore
finale, dall'altro non elimina le difficoltà logistiche, normative e
commerciali, oltre a quelle legate alla comunicazione e ai pagamenti. È
necessario studiare le caratteristiche dei vari Paesi e dei settori per
mettere a punto modelli di Export in
grado di sbloccare il potenziale dei canali digitali”.
Lo scenario macroeconomico dell'Export
Oltre un
quarto della domanda finale italiana è riconducibile ai mercati esteri
che, visto il calo della domanda interna, sono sempre più importanti per
la nostra economia. Il Made in Italy è un fattore chiave per il
successo delle esportazioni verso i Paesi emergenti, ma i Paesi europei
restano ancora i principali mercati di sbocco. L'Osservatorio Export ha
analizzato lo scenario macroeconomico italiano rilevando come la
cosiddetta “propensione all’Export” - il rapporto tra valore complessivo
delle esportazioni e PIL - si attesti mediamente oltre il 25% e abbia
superato il 29% nel 2014. Oltre il 20% delle imprese manifatturiere
attive in Italia, circa 89.000, è esportatore. Negli ultimi anni, la
rilevanza dei mercati esteri è cresciuta, per la maggiore incidenza
della domanda estera su quella interna: il fatturato medio delle imprese
italiane all'estero nel 2015 è
; cresciuto del 18% rispetto al 2010, a fronte di una caduta sul
mercato interno di circa 10 punti.
“Questa
dicotomia è dovuta sia a fattori congiunturali come la diversa velocità
di ripresa della domanda dopo la crisi finanziaria internazionale, sia a
fattori strutturali per via del crescente peso dei mercati emergenti
extra-europei, anche in presenza di alcuni rallentamenti - spiega Lucia Tajoli,
Responsabile scientifico dell'Osservatorio Export -. Di certo, le
esportazioni rivestono un ruolo sempre più centrale per l’economia
italiana e per lo sviluppo delle imprese nazionali. Competere a livello
internazionale è un’opportunit&agrav
e; che le aziende italiane devono sfruttare fino in fondo, rivedendo se
necessario le proprie strategie di Export e sfruttando le opportunità
offerte dai canali digitali. Oggi, la ricerca dei mercati esteri, dei
settori ottimali in cui collocarsi e dei modelli di esportazione più
appropriati assume un ruolo fondamentale per tutta l’economia
italiana”.
Nel 2014 la
domanda estera netta, ossia la differenza tra esportazioni e
importazioni, ha contribuito a contenere il calo del PIL per il terzo
anno consecutivo. Le esportazioni di beni e servizi sono cresciute del
2,7%, raggiungendo quasi 475 miliardi di euro (di cui 387 da
esportazioni di beni e 98 di servizi): un dato che fa dell'Italia
l'ottavo esportatore di merci a livello mondiale e quattordicesimo per i
servizi. I dati 2015 (non ancora definitivi) mostrano un’ulteriore
accelerazione dell’Export (+3,5%). I Paesi dell’Unione Europea rimangono
i principali mercati di sbocco delle esportazioni italiane, con un peso
complessivo superiore al 50%, grazie alla vicinanza geografica,
l’assenza di barriere doganali, la somiglianza di regolamentazioni e
abitudini commerciali. Gli USA sono il terzo Paese di sbocco e il primo
mercato non europeo, seguito, tra i mercati extra-europei dalla Cina,
dove i marg
ini di crescita sono ancora ampi, vista la quota di mercato italiana
relativamente bassa e il progressivo ampliamento della classe media
potenzialmente interessata al Made in Italy.
Il Food e il Fashion
L’Export
è un’attività consolidata per le aziende del Food e del Fashion
(rispettivamente il 12% e il 7% del totale delle esportazioni, secondi
solo al settore dei macchinari e apparecchi meccanici) che si basa però
prevalentemente
su canali tradizionali e ancora poco sull’eCommerce, principalmente a
causa di un utilizzo non corretto dei canali commerciali online, della
mancata comprensione dei vincoli legali e delle inadeguate strategie di
comunicazione. Sono le principali conclusioni emerse dalla survey
dell'Osservatorio Export su un campione di 110 aziende (sia produttori
sia retailer) nei settori Food e Fashion.
L’80% delle
aziende è costituita da esportatori abituali che destinano ai mercati
esteri una quota significativa del fatturato, in media il 46%. Ma circa
la metà delle aziende (48%) utilizza esclusivamente canali offline, solo
l’1% esporta tramite una strategia online pura, mentre il 28% varia la
propria strategia a seconda del Paese di destinazione e il 23% persegue
costantemente una strategia multicanale. Le principali barriere
all’eCommerce oltreconfine sono l’incapacità di usare adeguatamente i
canali commerciali online (45%), le difficoltà legate alla comunicazione
(16%) e le complessità di natura legale (16%). Una parte delle aziende,
circa il 13%, è invece frenata da caratteristiche del prodotto (ad
esempio la necessità della temperatura controllata per i prodotti
freschi). Ben il 70% delle aziende che non utilizza l’online desidera
inizi
are e identifica negli Stati Uniti, i Paesi Europei e la Cina le
destinazioni più appetibili. Il 58% delle imprese ritiene utile il
supporto di aziende locali (con cui attivare una partnership) e/o di
intermediari commerciali qualificati, Il 53% pensa che le piattaforme di
eCommerce siano un importante abilitatore dell’Export, ma che e non
siano adeguate e sufficientemente numerose.
L'eCommerce in Cina
L’eCommerce
rappresenta una chiave di ingresso di straordinaria importanza nel
mercato cinese, grazie alla possibilità di raggiungere grandi volumi,
alla significativa capacità delle piattaforme dedicate all’import di
garantire l’autenticità di prodotto e ai minori investimenti nello
sviluppo rispetto a eventuali canali fisici. Nonostante questo, le
aziende italiane utilizzano solo marginalmente il canale online. Dalla
survey condotta dall'Osservatorio Export emerge che il canale
commerciale più utilizzato per vendere in Cina è la rete fisica di
importatori locali (69% delle 110 aziende rispondenti), mentre solamente
il 22% dei rispondenti utilizza una piattaforma di eCommerce e solo il
16% ha un sito Internet proprio.
“Questo
fenomeno può essere in parte spiegato dagli alti costi e dal lento
ritorno sull’investimento dell’eCommerce in Cina – dice Lucio Lamberti,
Senior Advisor dell'Osservatorio Export -. Una presenza su una
piattaforma B2c richiede infatti investimenti consistenti sia per
sviluppare lo store sia per impostare correttamente le campagne di
comunicazione, che, nel caso di brand già affermati, possono incidere
per circa il 10-15% del fatturato in Cina nei primi anni. Sviluppare
campagne di marketing e comunicazione in un mercato culturalmente
distante come quello cinese poi implica difficoltà di individuazione di
toni, temi e contenuti coerenti con i gusti del mercato. La maggioranza
dei casi di successo di imprese occidentali su piattaforme B2c in Cina
vede u
na forte partnership tra il brand internazionale e un operatore cinese
oltre un forte coinvolgimento di specialisti di comunicazione locali”.
Per l'export
online in Cina poi sono decisive le soluzioni logistiche. Per prodotti
di basso valore (1-30 €/unità), come ad esempio la pasta, è conveniente
localizzare uno o più magazzini in Cina ed effettuare il trasporto via
nave, per prodotti con un valore medio-basso (30€-90€) e volumi
contenuti è preferibile il treno. Per i beni con un valore maggiore
(oltre 90€), come ad esempio abbigliamento di fascia alta o vino
pregiato, la soluzione ottimale risulta essere la localizzazione di un
punto di transito (hub) in Cina con trasporto aereo, poiché gli elevati
costi di trasporto sono più che compensati dal contenimento dei costi
relativi alle scorte.
In
Cina inoltre bisogna affrontare il problema dei pagamenti: quelli online
sono riconducibili a un numero limitato di player nazionali, mentre il
canale mobile è in forte crescita, ma solo il 18% delle aziende italiane
offre la possibilità di pagare tramite Alipay (principale operatore del
mercato mobile), mentre sono più diffusi i pagamenti tramite carte di
credito internazionali (82%) e trasferimento bancario (50%). Un altro
ostacolo all'eCommerce in Cina è costituito dall’eccessiva
regolamentazione e incertezza legislativa per i fenomeni di pirateria e
contraffazione rendono difficile la vendita in Cina tramite eCommerce.
L'eCommerce in Usa
Nonostante
la vasta offerta del mercato eCommerce americano, le aziende italiane
non riescono a sfruttare appieno i canali commerciali disponibili online
in Usa. Circa la metà (49%) delle 110 aziende rispondenti alla survey
dell’Osservatorio Export si rivolge a importatori o a retailer fisici
per vendere in USA. In alcuni casi questa scelta è dettata da vincoli
normativi, in
altri a complessità relative sia alla comunicazione (costi elevati delle
campagne in un mercato affollato) sia alla logistica distributiva
(evidentemente non semplice su un territorio lontano e ampio).
Una
delle difficoltà legate all’utilizzo dei canali eCommerce indiretti in
Usa è riuscire a emergere differenziandosi dagli altri player: spesso le
aziende italiane preferiscono promuovere la propria iniziativa con un
sito individuale usando strumenti tipici del contesto occidentale (ad
esempio SEO, SEM, ad network).
La strategia logistica per l'eCommerce in
USA poi deve tener conto della vastità geografica del territorio, della
numerosità degli Stati, delle peculiarità di ciascuno Stato e delle
eventuali imposizioni normative. La maggior parte delle aziende italiane
(il 60%) ha deciso di localizzare il magazzino in posizione
baricentrica rispetto a tutte le aree (ad esempio in Kentucky) oppure
duplicare la propria presenza con una struttura sulla costa Est e una
sulla costa Ovest (33%). Tra le modalità di trasporto intercontinentale,
la nave è preferita all&rsqu
o;aereo e utilizzata in oltre i due terzi delle aziende (68%).
I pagamenti
online in USA avvengono prevalentemente con carta di credito, mentre
Paypal costituisce al momento l’unica alternativa significativa sul
mercato. Tra le questioni legali, i principali fattori da considerare
per vendere online in USA sono la normativa fiscale e doganale, la
protezione del marchio, il rispetto delle condizioni di vendita e di
reso; in caso di vendita diretta è inoltre consigliabile l’apertura di
un’apposita società.
La
ricerca(1) ha analizzato il ruolo dell’eCommerce a supporto dell’Export
italiano. L’attenzione si è concentrata sull’Export di beni di consumo
verso clienti finali in modalità eCommerce B2c o B2b2c (ossia attraverso
un intermediario online). Sono stati esclusi l’Export B2b di beni e
l’Export di servizi. È considerata una definizione “estesa” di Export,
inclusiva di tutte le vendite all’estero che non comportano una presenza
diretta sul mercato di destinazione, possono richiedere l’investimento
in strutture operative (ad esempio magazzini, impianti o strutture
commerciali) e determinare l’apertura di una s
ocietà con legal entity straniera controllata da società italiana.
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