Licenziato dall’Aula della Camera in settimana, il Ddl Alfano sulle intercettazioni riapre l’eterno dibattito sul “bilanciamento” tra la libertà di manifestazione del pensiero e la difesa della dignità delle persone contro invasioni indebite della vita privata. Di sicuro tra dignità e controlli, tra intimità e trasparenza, tra diritti dell’individuo e interessi della collettività, non è attraverso una fiscale applicazione di una legge che fissa dei limiti alla stampa che tutti i nodi verranno al pettine. Sta di fatto che il disegno di legge presentato dal Governo, nel riordinare le intercettazioni telefoniche, prevede sanzioni più severe.
Ma quali sono le regole deontologiche alle quali è soggetto chi, in veste professionale, assume la funzione di “rilevanza sociale” di operatore dell’informazione? Anche se la professione è mutata, è vero anche che non sono cambiate le regole deontologiche, per prima quella che impone al giornalista l’obbligo e il dovere, nell’interesse dei lettori, di dare un’informazione il più possibile veritiera e completa. La stessa legge dell’Ordine (3/2/1963 n.69) aggiunge poi che è obbligo inderogabile del giornalista il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e buona fede. Strettamente connesso con il dovere di verità è l’obbligo imposto al giornalista di controllare le fonti della notizia. La deontologia professionale è in gran parte, se non per intero, racchiusa in queste semplici ma difficili parole: onestà, verità, libertà.
L’inseguimento dell’audience e dei gusti del pubblico, la comunicazione sempre più urlata, l’omogeneizzazione dello stile del messaggio giornalistico con quello televisivo si accompagnano con la deformazione dei fatti e la creazione di eventi che alla fine non esistono, pseudo fatti cioè, oppure fatti deformati in quanto espressi in modo del tutto non corrispondente al vero. Si può affermare che oggi sono le notizie che si dirigono verso i giornali, non il contrario, ed è sempre più ridotta la possibilità per i giornalisti di verificare la loro origine, le finalità per le quali sono state diffuse e la loro veridicità. Al contempo migliaia di eventi che realmente accadono, talvolta anche importanti, non diventano notizie perché non trovano spazio sui quotidiani. Tra questi estremi emblematici naviga oggi l’informazione. Mai nella storia dell’uomo si è saputo di più sul mondo, mai è stato così difficile interpretare e contestualizzare gli eventi. Paradossalmente il sistema dei media produce ogni giorno cumuli caotici di informazioni che immediatamente diventano invisibili. In questo contesto anche il confine tra ciò che è vero e ciò che è verosimile (o addirittura falso) diventa labile, ambiguo, indecifrabile. Ma allora quanto sono affidabili le notizie? Se da un lato infatti è innegabile quanto sia importante l’informazione oggi, quanto peso abbia nella stessa crescita delle persone che ne traggono vantaggi e benefici, dall’altro ciò che emerge non sono solo i vantaggi, ma spesso le aberrazioni del sistema: un uso sempre più distorto delle notizie, sempre più falsamente obiettive, deviate, infondate. Per cronaca, lo ricordiamo, si intende l’esposizione dei fatti, scevra di commenti, aggiunte e omissioni.
E “informare” significa non solo aggiornare continuamente i destinatari del complesso di avvenimenti che si verificano ai quattro angoli del globo come sotto l’uscio di casa propria, ma soprattutto tutelare i destinatari da ogni possibile distorsione. Altro sentiero che bisogna imboccare subito è il coraggio di venire incontro alle reali esigenze del pubblico dei lettori, considerato non più come mero acquirente muto del prodotto-giornale, ma come costante elemento di interazione critica, come coscienza viva di una realtà che ogni giorno cerca il suo piccolo spazio di libertà. Quello che occorre non è certo né la verità in senso assoluto, né una forza di verosimiglianza, quanto invece che l’autore della notizia si dimostri il più possibile aderente ai fatti narrati.
Cresce il flusso delle informazioni, come cresce la domanda di esse. Aumenta il numero dei soggetti che operano nel settore, così come aumentano fruitori e soggetti coinvolti nell’attività di divulgazione delle notizie. Ma a fondo del “dilemma”vi è un equivoco: l’attività giornalistica costituirebbe manifestazione del pensiero; ogni forma di regolamentazione finirebbe per incidere,limitandola, su questa libertà costituzionalmente garantita e dunque va scoraggiata. Un equivoco accentuato da una diffusa visione ideologica del ruolo del giornalista come – di volta in volta- “militante”, “difensore dell’opinione pubblica”, “investigatore” il quale utilizza la penna come “un’arma” per “smascherare” o “colpire” i “nemici”. L’inevitabile corollario di questa impostazione è che il giornalista diffonde “la verità”, o per essere più concreti, la “sua” verità. Chi la contesta ostacola la missione del giornalista. Laddove si aderisca ad una concezione più realistica e moderna dell’attività giornalistica le conclusioni saranno ben diverse. in pratica l’attendibilità non costituisce una qualità che spetta ad una fonte in virtù della specifica natura ma il risultato di un serio e scrupoloso lavoro di verifica che il cronista non può mai omettere. In conclusione la verità che esonera il giornalista si identifica con il criterio che attiene al metodo di ricerca: la correttezza, l’obbligo di accertare la verità dei fatti in tutte le direzioni possibili, prima fra tutte il confronto delle fonti, anche se contrapposte. Solo in tal caso infatti, sarà esclusa ogni possibilità di punibilità del giornalista…solo allora, il diritto di cronaca varrà da esimente da ogni forma di responsabilità.
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