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sabato 27 novembre 2010
Riforma forense, tra una botta e l’altra i principi cardine hanno retto
Allo stesso tempo però “sono passati” l’art. 3 che prevede tutta una serie di incompatibilità tra l’attività forense e le altre professioni ordinistiche (oltre a quelle del pubblico impiego) e l’emendamento all’art.19 della riforma che prevede la sospensione dell'esercizio professionale in caso di incarichi politici o istituzionali.
Sul piano qualitativo c’è poi la questione formazione-specializzazione. Se per la prima la formazione continua diventa obbligatoria per legge, per la seconda l’'articolo 8, introduce il titolo di avvocato-specialista. Sulle specializzazioni il Cnf ha anticipato anche la stessa riforma forense. Il 24 settembre scorso, il regolamento sulle specializzazioni definisce le modalità per acquisire il titolo di avvocato specialista: 200 ore complessive di studio e un esame (scritto e orale) per avere il “titolo” (di specialista) nel mercato. Per mantenerlo gli avvocati saranno tenuti a conseguire in 3 anni almeno 120 crediti formativi, di cui almeno 30 in ogni singolo anno.
Concludendo, tra mille difficoltà i principi cardine della riforma forense appena approvata, sono rimasti in piedi. Maggiore deontologia, alta formazione professionale unite a tariffe legali certe che non diano spazio alla contrattazione giustificavano da sole questa lunga battaglia. Non era solo una questione di decoro o prettamente economica. Il radicale make up per gli avvocati era diventata anche una questione di sopravvivenza. La “garanzia” della prestazione, rigore e più qualificazione non sono solo a uso e consumo dei diretti interessati. Semmai sono un “riconoscimento” verso chi fino a prova contraria, tra leggi e leggine, ha come bibbia un Codice e un malato da anni in coma: l’intero malconcio carrozzone della giustizia.
Daniele Memola
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