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sabato 27 novembre 2010
XXX Congresso Forense "Il difficile dialogo che merita risposte nell’interesse di tutti"
Il difficile dialogo che merita risposte nell’interesse di tutti.
All’apertura di giovedì del XXX Congresso Nazionale Forense, il messaggio politico che è risuonato tra i 2500 avvocati riuniti a Genova è stato chiaro: orgoglio comune per portare avanti le sfide che il sistema giustizia comporta nel nostro Paese. E al contempo, difesa a tutto tondo del ruolo di tutore dei diritti che la legge riconosce. Accesso alla giustizia prima di tutto alla luce dei più recenti interventi legislativi, ma anche appello al Parlamento affinchè venga affrontata, una volta per tutte, la questione dell’eccessivo numero dei legali in Italia. Il Presidente del Cnf, Guido Alpa, dopo l’auspicio di una rapida approvazione finale alla Camera della riforma forense è entrato subito nel dettaglio delle preoccupazioni “concrete” dell’Avvocatura. “Sono molteplici – attacca Alpa nella sua relazione - gli interventi legislativi che esonerano coloro che vogliono accedere alla giustizia dall'obbligo di munirsi di difensore: dal decreto ingiuntivo europeo, all'arbitrato bancario, al dlgs sulla mediazione e conciliazione, alle misure sulla legge Pinto. Tutte misure in vigore che limitano l'assistenza forense”. E’ in particolare sulle conciliazione che i legali, nel corso dell’assise genovese, hanno puntato il dito: “visto il milione di cause interessate dal tentativo obbligatorio, i quattro mesi per la conclusione non saranno rispettati mentre i costi per il cittadino sono destinati a crescere” sostiene Alpa. Venerdì in presenza del ministro della giustizia, Angelino Alfano, le richieste degli avvocati italiani si sono fatte più pressanti. E sono volati i fischi e i cartellini rossi. Ma il Guardasigilli ha parato e cercato di rispondere colpo su colpo. Dalla riforma dell' avvocatura alla conciliazione obbligatoria.
Quanto alla prima il ministro ha evidenziato di aver tenuto fede alla promessa fatta a Bologna un anno fa. Ha ricordato la questione delle tariffe minime e del patto di quota lite e l’abrogazione della Bersani, invitando al contempo l’Avvocatura a non arroccarsi per non perdere la sfida riformatrice. “Per cancellare il decreto Bersani occorre l'appoggio di tutta l'avvocatura anche alla Camera”.
Chiusura netta invece, sull’altro tema che ha sollevato la bordata di fischi degli avvocati, la conciliazione obbligatoria. “Le parti potranno sempre andare dal giudice” e “i cittadini andranno comunque da chi dà loro fiducia, quindi dagli avvocati”. Sarà comunque convocato un tavolo di confronto tra ministero, avvocatura e opposizioni. E sul piatto della discussione ci saranno di nuovo la riforma forense, il decreto Bersani e la facoltatività della conciliazione. “Occorre prendere una decisione e ognuno si deve assumere le proprie responsabilità” ha tuonato Alfano davanti al congresso forense. “La prossima mossa” - ha continuato il ministro- sarà la riforma costituzionale della giustizia per far sì che l'avvocato e il magistrato siano posti esattamente sullo stesso livello. Ci vuole un processo giusto e rapido, con la parità tra accusa e difesa”. Sui temi caldi insomma la distanza tra avvocati e governo resta. I legali chiedono una rapida approvazione alla Camera della riforma forense ”senza ulteriori mutilazioni” e una discontinuità del governo rispetto al decreto Bersani; la presenza di un avvocato nel procedimento di mediazione e che sia l'avvocato, per quanto riguarda la conciliazione, a poter suggerire al cliente se accettarla o meno. In pratica che sia una facoltà non un obbligo.
E allora, se il Guardasigilli ha lasciato intendere di non essere più disposto a buttare risorse per un sistema giustizia che non funziona e gli avvocati da anni chiedono maggiore rigore all’accesso alla professione, perché 230mila legali sono un assurdo, si pone una domanda.
Perché tra un botta e risposta, su questo continuo braccio di ferro non si riesce mai a mettere la parola fine? Se per gli avvocati la riforma forense è un fatto “irrinunciabile” perché rimette mano, affrontandoli, i problemi di una professione che rischia di collassare ( e che del sistema Giustizia ne è parte integrante); e il ministro concorda che la “giustizia per com’è, non va bene” e che la “soluzione” per il futuro sarà la riduzione dei riti e il processo telematico, tanto vale mettersi d’accordo per il bene comune. Una giustizia che sia al contempo giusta, paritaria e ragionevole.
Daniele Memola
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